Israele dopo il voto, ai tempi del virus, in crisi istituzionale
Dopo una campagna virulenta di ingiurie ad personam, volgarità, mistificazioni e segnata, come nelle precedenti elezioni dell’aprile e settembre 2019, dall’isterismo ossessivo agitato dai partiti di destra contro gli arabi israeliani – circa il 20 % dell’elettorato nel paese – che lo stesso Presidente Rivlin ha definito indecente, i risultati del voto del 2 marzo confermano il senso di un paese fortemente diviso, polarizzato sugli estremi.
Una campagna elettorale polarizzante
Netanyahu, giunto alla sua ottava campagna elettorale come leader del Likud e premier con ininterrotta continuità da 11 anni, ha improntato la campagna elettorale come un plebiscito sul suo conto nell’imminenza del processo che lo attende per casi di corruzione, frode ed abuso d’ufficio. Il processo, che sarebbe dovuto iniziare il 17 marzo, è stato rinviato, su decisione del Ministro della giustizia da lui stesso recentemente nominato, alla seconda metà di maggio, in ragione del diffondersi anche in Israele dell’epidemia da coronavirus.
Il premier uscente ha anche colorato il confronto elettorale di una forte impronta ideologica: da un lato rilanciando la campagna d’opinione rivolta a delegittimare le istituzioni indipendenti e subordinare specificamente il potere giudiziario, in particolare la Corte suprema, a Parlamento e governo; dall’altro invocando l’annessione della valle del Giordano e l’estensione anche formale della sovranità di Israele sugli insediamenti nei territori palestinesi, rifacendosi al piano di pace lanciato recentemente da Trump. Il quale aveva già concesso a Netanyahu una triade di doni nel biennio trascorso: il ripudio unilaterale dell’accordo nucleare con l’Iran, lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme e la decisione di riconoscere la sovranità israeliana sulle alture del Golan siriano.
Eppure il trionfalismo del premier in carica con lo spoglio dei voti ancora in corso è stato prematuro, esagerato e forse irrilevante. Il Likud ha ottenuto 36 seggi su 120, 4 in più rispetto al settembre scorso, mentre il partito centrista Kahol Lavan, suo principale antagonista, è rimasto a 33. Ma la coalizione uscente - composta dal Likud come centro di gravità e da altri partiti religiosi e della destra nazionalista - è rimasta al di sotto della soglia maggioritaria (59 seggi contro 61).
All’opposizione la sinistra ebraica, unitasi con l’alleanza fra il partito laburista, più attento alle istanze socio-economiche – il degrado del welfare state, l’acuirsi delle disparità di reddito – e il Meretz, unico a sostenere con forza il diritto dei palestinesi ad uno Stato e a difendere la democrazia incompiuta del paese, ha subito un’ulteriore flessione al 5 per cento circa dei suffragi, soffrendo in parte anche dello slittamento del voto “utile” verso il partito di centro.
La Lista araba unita ha ottenuto un ulteriore, corposo successo giungendo a 15 seggi: vi hanno influito la crescente partecipazione al voto dei cittadini arabi di Israele; la loro volontà di incidere in misura maggiore sul corso politico del paese in parallelo al processo di integrazione economica e civile nella società israeliana; infine, la stessa disponibilità manifestata dalla leadership dei partiti unitisi nella Lista a sostenere un governo di centro-sinistra qualora sia annullata la legge dello “stato-nazione ebraico”, siano ripresi i negoziati con l’Autorità palestinese e sia promosso con più vigore il progresso delle comunità arabe di Israele, che soffrono di arretratezza, povertà e crimine. Alcuni analisti dei flussi elettorali hanno sottolineato che circa 20.000 elettori ebrei hanno spostato il loro voto dai partiti classici della sinistra ebraica alla Lista araba.
L’incarico a Benny Gantz
La novità dirimente delle elezioni è la prospettiva, per ora ancora ipotetica, di un appoggio esterno in Parlamento ad un governo guidato da Benny Gantz, il leader del partito centrista cui il Presidente Rivlin ha appena conferito l’incarico di formare il governo. Lo stesso Gantz aveva rigettato come provocatoria l’offerta di appoggio della Lista araba nel corso della campagna elettorale, volendosi “coprire a destra” e cedendo alle seduzioni dell’isteria anti-araba. Uno sviluppo siffatto rappresenterebbe la rimozione di un tabù paralizzante per il sistema politico del paese sin dalle origini: soltanto il governo guidato da Yitzhak Rabin fra il 1992 e il 1995 si avvalse infatti del sostegno dei partiti arabi, che fu rilevante nelle trattative che condussero agli accordi di pace di Oslo fra israeliani e palestinesi.
L’incarico temporaneo conferito a Gantz, che la prassi istituzionale di Israele limita a 28 giorni, è ovviamente fragile. La coalizione sarebbe assai eterogenea, composta, oltreché dal suo partito, dalla sinistra ebraica e dal partito Yisrael Beitenu, guidato da Lieberman, alfiere degli ebrei russi immigrati in Israele, nazionalista di destra e di impronta fortemente laica, oppositore accanito del peso coercitivo delle autorità e dei partiti religiosi sulla vita civile del paese: in toto, 46 seggi. Il sostegno esterno della Lista araba assicurerebbe un consenso maggioritario di appena 61.
Il primo e fondamentale disegno di legge proposto da Gantz ai suoi potenziali alleati sarebbe stato una norma tesa ad impedire ad un soggetto incriminato di servire come Primo ministro. La proposta avrebbe ovviato ad un vuoto della legge e della prassi parlamentare nel paese, che impongono le dimissioni di un ministro allorché oggetto di imputazione, ma non del Primo ministro.
Il coronavirus e la crisi costituzionale
In questi giorni è in atto peraltro una crisi istituzionale grave che minaccia la democrazia nel paese: il governo uscente, formatosi dopo le elezioni del 2015 e limitato agli “affari correnti” dalla fine del 2018, non ha ottenuto una maggioranza parlamentare in tre elezioni svoltesi in questo arco di tempo. Nonostante ciò, ha deciso di varare misure eccezionali che consentono alla polizia e al servizio di sicurezza di individuare contatti, movimenti e attività di pazienti infetti o sospetti, senza limiti di tempo e senza un dibattito in materia in Parlamento, che è stato chiuso per alcuni giorni per ordine del suo Presidente poi dimessosi, uomo del partito di Netanyahu, invocando pretestuosi motivi di procedura e timori di trasmissione del virus.
Negli ultimi giorni Gantz, contraddicendo i suoi impegni pre e post-elezioni, ha deciso di entrare in un governo di unità nazionale di emergenza con la destra nazional-religiosa, per evitare una quarta tornata elettorale e affrontare in modo consensuale l’esplodere dell’epidemia. Il governo dovrebbe basarsi su un patto di rotazione in virtù del quale Netanyahu resterà Primo ministro per 18 mesi, malgrado l’avvio del processo a suo carico, e Gantz gli succederà al vertice in quella data. Gantz dovrebbe ottenere per il suo partito i dicasteri degli Esteri, della Difesa e della Giustizia e altri minori. Tale decisione ha portato ad una frattura nel suo stesso partito Kahol Lavan, fondato un anno fa con la fusione di un insieme di partiti centristi: una parte resterà all’opposizione con la sinistra ebraica, la Lista araba unita e il partito nazionalista di Lieberman.
Muovendo dalle contingenze post-elettorali verso una sfera più etico-politica, concludo con il monito appassionato di David Grossman, intellettuale fra i più impegnati nell’agone pubblico del paese: “…Dopo settanta anni la maggioranza ebraica continua ad imputare la minoranza araba, fino a quando la sua innocenza sia dimostrata… Settanta anni sono una perversione della giustizia… Una minoranza indesiderata, che non appartiene pienamente al paese, sempre sul limite dell’espulsione o dell’esilio. La legge dello “stato-nazione ebraico” è tesa a rendere i cittadini arabi esclusi ed umiliati… Si è aperto un processo di israelizzazione della comunità araba che comporterà diritti e doveri, responsabilità civili e politiche che sfideranno sia la maggioranza ebraica sia lo statuto complesso della minoranza araba…. Gantz, fai appello agli arabi perché siano cittadini con eguali diritti ed obblighi nello Stato che è la patria del popolo ebraico. Puoi infrangere l’involucro di vetro che impedisce ad Israele di sollevarsi come Stato, società e democrazia… ed aprire una strada per riformulare in modo egualitario, antirazzista e rispettoso il contratto fra i due segmenti della popolazione di Israele. Hai la potestà di dare un contenuto concreto ai principi di coesistenza ed eguaglianza sanciti dalla nostra Dichiarazione di indipendenza del 1948” (Yedioth Aharonoth, 12 marzo 2020).