IL CORAGGIO DI CAMBIARE
di Piero Fassino
Dopo l'Olanda, dopo l'Austria, anche la Francia ha detto no alla destra populista e xenofoba. La conferma che c'è un'Europa democratica che rifiuta muri e paure, si unisce in nome dei valori di una società aperta e inclusiva, considera l'integrazione europea come luogo e spazio irrinunciabile per qualsiasi politica di innovazione, di giustizia e di riforme. Come ha detto Macron "un voto di speranza e di fiducia", che per essere raccolto e onorato sollecita adesso le forze democratiche a un profondo rinnovamento culturale e politico.
Le vittorie di Trump e di Brexit sul fronte conservatore e la vittoria di Macron sul fronte progressista segnano, infatti, la fine del '900, cioè delle dinamiche e dei paradigmi culturali e politici che per più di un secolo hanno segnato la dialettica tra destra e sinistra.
Per più di cento anni la destra è stata espressione politica dei ceti dirigenti e la sinistra la rappresentante dei ceti popolari, mentre oggi gli esiti elettorali ci consegnano spesso una inversione dei ruoli. Le fortune della sinistra sono state rappresentate da tre parole: lavoro, sviluppo, protezione sociale, ma il passaggio al nuovo millennio è stato segnato da una crisi che ha travolto quelle parole e il sistema di certezze che rappresentavano. Sovranazionalita', mercati aperti, globalizzazione hanno messo in causa quel rapporto tra sovranità politica nazionale e protezionismo economico che per decenni aveva garantito a ogni nazione crescita e prosperità. In tutte le democrazie occidentali si assiste ad una crisi della democrazia rappresentativa e dei suoi attori (partiti, sindacati, associazioni di categoria) a cui si contrappone il ricorso sempre più frequente a consultazioni referendarie. E vi è chi tenta di sostituire le regole della democrazia con l'utilizzo del web, senza regole che tutelino da rischi di manipolazione e regressione democratica.
E' accaduto così che nei ceti sociali più colpiti dalla crisi sia venuto crescendo un sentimento di esclusione, di solitudine, di frustrazione che spesso si traduce in rabbia e spinge chi non si sente tutelato a affidare la propria rappresentanza a partiti e movimenti che si presentano come antagonistici e antisistemici. Muri, frontiere chiuse, dazi e dogane sono proposte illusorie che tuttavia appaiono rassicuranti a chi vive nell'insicurezza e nella paura. Sta qui la radice dei voti raccolti da Trump, Farage, Le Pen, Salvini. Ma anche da Melenchon e da quell'anomalo impasto italiano di populismi di destra e di sinistra che è il Movimento 5 Stelle.
Il voto francese - e prima i voti olandese e austriaco - sono dunque importanti perché ci dicono che una deriva populista non è inevitabile. Ma quei voti ci dicono anche che per vincere bisogna andare oltre le culture e le esperienze del '900. Macron, infatti, vince presentandosi come l'espressione di un riformismo nuovo, che tiene insieme innovazione e uguaglianza, congiunge valori liberali e istanze sociali, scommette sull'integrazione europea ma con la piena consapevolezza di quanto l'Europa sia oggi ad un bivio. È una vittoria che interroga l'intero arco delle forze progressiste europee e in primo luogo i partiti socialisti e socialdemocratici che ovunque - dalla Francia all'Olanda, dalla Spagna alla Gran Bretagna - vivono una condizione di profondo affanno da cui potranno uscire solo avendo il coraggio di cambiare.
Nacque peraltro dieci anni fa proprio con questa consapevolezza il Partito Democratico: una profonda rigenerazione della sinistra come condizione imprescindibile per essere in sintonia con i grandi mutamenti della società. Allora quell'obiettivo poteva apparire presuntuoso. Oggi si rivela una urgente necessità a cui nessuna cultura politica in Europa può sottrarsi e che chiama anche il PD ad una duplice sfida: concorrere alla costruzione di un moderno riformismo europeo - essenziale per dare anche all'Unione Europea un nuovo profilo - e rilanciare ulteriormente l'innovazione della identità e della politica dello stesso Partito Democratico, perché i continui cambiamenti che investono la nostra vita sollecitano a non fermarsi. Insomma, la gioia per la vittoria di Macron deve unirsi alla consapevolezza che quello straordinario successo apre un cammino che riguarda anche noi. Dobbiamo percorrerlo mettendoci "In Marcia", con determinazione e coraggio.
Pubblicato sull'Unità il 9 maggio 2017