Diritti fondamentali e frontiere esterne: quis custodiet ipsos custodes?
“Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati” (Dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio Mario Draghi, 17 febbraio 2021; enfasi mie, in questa e nelle successive citazioni).
Il breve passaggio dedicato all’immigrazione riporta in primo piano la necessità che l’Italia si doti finalmente di un’Istituzione indipendente per la tutela e la promozione dei Diritti umani (National Human Rights Institution, NHRI). Una forzatura? Sì, eppure…
Di quali diritti si tratta?
Il nuovo Patto, nonostante la formulazione limitativa (presente anche nella dichiarazione del 23 settembre 2020 della Commissaria europea per gli Affari Interni, Yilva Johansson: “Proporremo un nuovo meccanismo di monitoraggio indipendente […] per garantire che non vi siano respingimenti alle frontiere”), impone considerazioni di più ampio spettro.
La stessa Commissaria aveva chiarito in precedenza (Parlamento europeo, LIBE, 6 luglio 2020) l’ampiezza delle violazioni dei diritti delle e dei migranti: “Tutte le accuse di respingimenti, abusi, violenze devono essere indagate. [...] Non possiamo proteggere la nostra frontiera europea, violando i valori europei. Violando i diritti delle persone”.
Una cauta presa d’atto di quanto da tempo organismi internazionali e ONG denunciano: la sistematica violazione dei diritti fondamentali nel quadro delle operazioni di controllo delle frontiere dell’Ue, in particolare lungo la cosiddetta “Rotta Balcanica”; violazione per molto tempo offuscata dalla spettacolarizzazione interessata dell’immigrazione via mare.
Rapporti di numerose organizzazioni (RiVolti ai Balcani, Human Rights Watch, Border Violence Monitoring Network, Refugees Rights Europe, per ricordare solo i più recenti) hanno documentato la frequenza e il carattere strutturale degli abusi. Ci limitiamo qui a riportare la sintesi efficace che emerge dai documenti delle maggiori organizzazioni internazionali.
Il 22 dicembre 2020 Dunja Mijatović, Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, scriveva, nelle osservazioni su tre casi discussi di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani:
- “tutte le informazioni disponibili indicano l'esistenza di una prassi consolidata di rimpatri collettivi dei migranti dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina […] Questa pratica impedisce agli interessati di esercitare correttamente il loro diritto di chiedere protezione internazionale […].
- le sue [della Commissaria, ndr] stesse osservazioni, sostenute da numerose relazioni coerenti e credibili, indicano un diffuso maltrattamento dei migranti da parte delle forze dell'ordine croate nel contesto dei rimpatri collettivi e la mancanza di indagini tempestive, efficaci e indipendenti su tale trattamento […]”.
In precedenza la Commissaria aveva anche rilevato un altro aspetto, in una lettera inviata il 7 dicembre 2020 al Primo Ministro e al Ministro degli Interni di Bosnia ed Erzegovina:
“Sono anche preoccupata per le notizie di attacchi e minacce rivolti ai difensori dei diritti umani che aiutano i migranti, tra cui una campagna diffamatoria e minacce di morte contro Zehida Bihorac.”.
Ancor più chiara, e gravissima, la dichiarazione congiunta dei Relatori speciali ONU sui diritti umani dei migranti, Felipe González Morales, e sulla tortura, Nils Melzer (19 giugno 2020):
"Siamo profondamente preoccupati per il ripetuto e continuo uso sproporzionato della forza da parte della polizia croata contro i migranti nelle operazioni di respingimento. Le vittime, compresi i bambini, hanno subito abusi fisici e umiliazioni semplicemente a causa del loro status migratorio. […] Tale trattamento sembra specificamente progettato per sottoporre i migranti a tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti vietati dal diritto internazionale.”.
Quali rimedi propone il Patto?
Nella già citata audizione in LIBE, la Commissaria Yohansson ha affermato: “La Commissione non ha il potere di indagare su presunti comportamenti scorretti da parte delle autorità degli Stati membri. Ci aspettiamo che lo facciano le autorità nazionali”. Al di là di possibili osservazioni sui poteri delle Istituzioni e Agenzie Ue, consideriamo quali strumenti si propongano nel Patto per “garantire che i diritti fondamentali siano rispettati durante tutto lo screening e che qualsiasi accusa di violazione dei diritti fondamentali sia adeguatamente indagata” (COM(2020) 610).
La proposta di regolamento sullo screening alle frontiere esterne (COM(2020) 612) prevede (Art. 7.1) che gli Stati membri “adott[i]no disposizioni pertinenti per indagare sulle accuse di mancato rispetto dei diritti fondamentali in relazione allo screening” e (7.2) istituisc[ano] un meccanismo di monitoraggio indipendente” nonché mettano in atto “garanzie adeguate per garantire l'indipendenza del meccanismo”.
Chi deve garantire che quei rimedi siano effettivi?
Tra le organizzazioni della società civile c’è ampio consenso su alcuni parametri di base:
1. Il campo di applicazione deve estendersi al di là delle procedure formali e degli spazi ufficiali, come tragicamente dimostrato dalla cronaca quotidiana;
2. Occorre definire in modo specifico e dettagliato funzionamento e poteri del meccanismo proposto;
3. Le violazioni devono comportare conseguenze: per esempio condizionando in modo reale ed efficace l’accesso a fondi comunitari al rispetto dei diritti fondamentali;
4. Per assicurare l’indipendenza dei controlli e delle investigazioni, il meccanismo deve coinvolgere le organizzazioni della società civile ed essere gestito da organismi indipendenti dai Governi.
Ebbene, di quali organismi indipendenti all’altezza del compito dispone l’Italia?
L’European Network of National Human Rights Institutions, nelle osservazioni sul nuovo Patto inviate alla Commissione il 27 maggio 2020 (si veda, per una sintesi, Stronger human rights monitoring at Europe’s borders – why NHRIs are part of the solution - ENNHRI) ha presentato argomenti apprezzabili in favore del “non reinventare la ruota” e ricorrere, invece, alla consolidata esperienza e indipendenza delle Istituzioni nazionali per i Diritti umani. Uno solo tra gli Stati membri dell’Ue interessati dalla Rotta Balcanica non ha una NHRI riconosciuta: l’Italia. Se davvero il nuovo Governo intende partecipare alla costruzione di un nuovo Patto che assicuri all’Unione europea un sistema di gestione delle migrazioni “all’altezza dei suoi valori”, come richiesto dalla Presidente Ursula von der Leyen, dovrà anche impegnarsi perché l’iter della legge istitutiva di una credibile NHRI, da lungo tempo all’esame del Parlamento, trovi finalmente uno sbocco positivo.