Il dibattito politico sulle migrazioni: le rimozioni e i nodi irrisolti
20.426 persone morte o disperse nel Mediterraneo considerando solo gli anni 2014-2020 (Fonte: UNHCR). Un numero di domande di asilo dimezzate tra il 2015 e il 2019: da 1.323.485 nel 2015 a 745.225 nel 2019. Solo il 38,8% delle decisioni sulle domande di asilo adottate nei paesi membri nel 2019 con un esito positivo e con una grande disomogeneità tra i diversi paesi: siamo al 45,6% in Germania, al 38% in Belgio, al 19,7% in Italia, all’8,5% in Ungheria. (Fonte: EUROSTAT). 141.741 casi di attraversamento “irregolare” delle frontiere registrati da Frontex ancora nel 2019, nonostante il “contrasto all’immigrazione illegale” e il controllo delle frontiere esterne abbiano costituito le priorità dell’Unione, con l’obiettivo di differenziare nettamente il regime di libera circolazione interno dal sistema di accesso dei cittadini di paesi terzi al territorio europeo.
Una riflessione attenta sulle politiche migratorie condotte sino ad oggi in Italia e in Europa e sul “Nuovo” Patto europeo su Migrazioni e Asilo presentato dalla Commissione Europea nel settembre 2020 dovrebbe innanzitutto partire da qui. Questi dati e gli esiti delle intermittenti “crisi” politiche che hanno attraversato la storia del processo di integrazione Europea, proprio con riferimento alla gestione delle politiche migratorie e sull’asilo, raccontano molto sugli errori sin qui compiuti e sulle possibili prospettive di cambiamento.
La politica europea tra realtà e rappresentazioni
Un vizio di fondo continua ad attraversare il dibattito politico sulle politiche migratorie, anche nell’ambito del mondo democratico e progressista: le strategie politico-elettorali, per lo più definite in modo subalterno alle forze reazionarie e conservatrici, prescindono dall’analisi accurata dei dati e dei risultati raggiunti. Vi è un divario profondo tra le rappresentazioni e le valutazioni pubbliche delle politiche adottate o (sempre più spesso) solo annunciate, le modalità operative con le quali queste sono gestite e i risultati effettivamente conseguiti. Tale divario è evidente considerando non solo le sofferenze e le gravi violazioni dei diritti umani delle migliaia di donne e uomini che migrano, ma anche gli stessi obiettivi di “governance” originariamente perseguiti.
Già il primo Consiglio Europeo dedicato alle politiche in materia di “Spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia” individuò gli assi in cui avrebbero dovuto articolarsi le politiche migratorie a livello europeo prevedendone il collegamento alla politica estera dell’Unione grazie a forme di “partenariato con i paesi terzi interessati” e auspicando la creazione “di un regime europeo comune in materia di asilo”, il “riavvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi”, una gestione più efficace dei flussi migratori, una politica comune in materia di visti e documenti falsi, la “lotta all’immigrazione illegale” e la cooperazione nel controllo delle frontiere esterne (Consiglio Europeo di Tampere 15 e 16 ottobre 1999, Conclusioni della Presidenza).
Quindici anni dopo e a seguito di infinite negoziazioni seguite all’ennesima strage che nei pressi di Lampedusa portò il 3 ottobre 2013 alla morte di 368 migranti, il 13 maggio 2015 la Commissione Europea adottò un’Agenda europea sulla migrazione articolata in 4 pilastri: 1. la prevenzione della migrazione irregolare; 2. la gestione delle frontiere esterne; 3. l’inaugurazione di una forte politica di asilo comune; 4. la promozione di una politica di migrazione legale.
Il Nuovo Patto Europeo su Immigrazione e Asilo
Il Nuovo Patto europeo presentato nel settembre non rappresenta certo un segnale di discontinuità. E le “novità” che ci sono, non sono buone. Quattro gli obiettivi principali individuati: 1. l’accelerazione e lo “snellimento” delle procedure di esame delle domande di asilo; 2. l’introduzione di un “sistema flessibile” di solidarietà tra i paesi membri; 3. lo sviluppo della cooperazione con i paesi terzi finalizzata al contrasto delle migrazioni e alla collaborazione in materia di riammissione; 4. la creazione di un sistema di governance comune delle migrazioni e per i rimpatri. Ancora una volta l’attenzione comunitaria è sbilanciata dalla parte delle attività di rafforzamento del controllo delle frontiere esterne, del blocco degli ingressi e delle operazioni di rimpatrio. E l’utilizzo della parola “solidarietà” per definire una maggiore collaborazione tra gli Stati membri ai fini dell’esecuzione dei rimpatri è a dir poco strumentale, meglio, irriverente.
E’ prevista una procedura integrata di frontiera che prevede accertamenti preliminari all’ingresso riguardo all’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’UE senza autorizzazione o che sono sbarcate in seguito a un’operazione di ricerca e soccorso. Tali accertamenti comprendono controlli sanitari e di sicurezza, il rilevamento delle impronte digitali e la registrazione nella banca dati Eurodac, anche per i minori. “Dopo gli accertamenti le persone possono essere instradate verso la procedura appropriata, sia questa una procedura alla frontiera per determinate categorie di richiedenti o una normale procedura di asilo.” Ciò è previsto al fine di accelerare la procedura di esame delle domande di asilo, accelerazione che aumenta il rischio di violare tale diritto, soprattutto per le persone più vulnerabili (si veda Asgi, Le criticità del patto europeo migrazione e asilo alla luce del contesto italiano, gennaio 2021).
Non sono previsti canali di ingresso legali né per i richiedenti asilo né per i migranti economici, se non per stimolare l’arrivo di “nuovi talenti” impiegabili nei settori green e I-tech. Non è un fatto nuovo: l’immigrazione selettiva costituiva un asse prioritario nell’Agenda del 2015.
Non è prevista la ricollocazione obbligatoria dei migranti. Solo in particolari situazioni (di “crisi migratoria”, pressione migratoria o di uno sbarco di migranti soccorsi in mare), la Commissione può richiedere la collaborazione dei Paesi membri che possono scegliere di esprimere la loro “solidarietà” al Paese interessato dagli arrivi optando per la ricollocazione (il trasferimento e l’accoglienza di alcuni migranti sul proprio territorio) o la “sponsorizzazione” delle operazioni di rimpatrio sotto forma di risorse o di mezzi.
La cooperazione con i paesi terzi resta piegata all’esigenza di rafforzare il contrasto delle migrazioni “illegali” e di accrescere le operazioni di rimpatrio.
Tre rimozioni colpevoli
La strategia proposta continua a orientare lo sguardo sulle frontiere esterne dell’Europa (si veda qui il contributo di Gennaro Avallone) cercando di allontanarle il più possibile.
In sottofondo restano tre grandi rimozioni.
Le stime di crescita della popolazione mondiale ci dicono che la popolazione europea è destinata nel 2050 a decrescere del 2,6%. Ciò implica una tendenza all’invecchiamento della popolazione, un conseguente aumento dell’indice di dipendenza degli anziani e una crescente instabilità dei sistemi di welfare, squilibri che, come ha riconosciuto in più occasioni la stessa Commissione Europea, potrebbero essere almeno mitigati, proprio grazie alle migrazioni.
L’Unione Europea non ha voluto dotarsi di una normativa comune sulle cosiddette migrazioni per motivi economici. Una proposta della Commissione avanzata nel 2001 non è stata mai discussa ed è stata poi ritirata (si veda, Favilli C., “Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio”, in Zorzella N., Giovannetti M. (a cura di), Ius Migrandi, Franco Angeli, 2021). Sembra proprio questo il principale vulnus delle politiche di “contrasto” alle migrazioni “illegali” sin qui adottate: l’assenza di vie di ingresso legali per le migrazioni economiche alimenta da un lato i traffici illegali di persone e dall’altro i casi di utilizzo strumentale della domanda di asilo, mette sotto pressione i sistemi di accoglienza nazionali e comporta crescenti impegni umani e finanziari negli interventi di sorveglianza, controllo, detenzione e rimpatrio.
“Ogni migrante, ogni fuga, segnala un problema globale irrisolto” (2021, Ferrajoli L., Le politiche contro i migranti tra disumanità e illegalità, in 2021, Zorzella N., Giovannetti M. (a cura di), cit.). Difficile che i Governi mondiali siano in grado di prefigurare “Il diritto di emigrare come potere costituente di un nuovo ordine mondiale”, come auspicato da Luigi Ferrajoli. E’ indubbio però che le grandi diseguaglianze economiche e sociali esistenti tra i Nord e i Sud del mondo sono destinate a rendere sempre più interdipendenti i destini delle popolazioni dei primi e dei secondi.
Le prospettive di cambiamento
Un’inversione reale della rotta sin qui seguita suggerirebbe dunque di intervenire almeno sui seguenti fronti:
- l’abbandono a livello comunitario del proibizionismo delle migrazioni cosiddette economiche;
- la riforma del Regolamento Dublino, con particolare riferimento all’obbligo di presentare domanda di asilo nel paese di primo ingresso;
- l’apertura di corridoi umanitari per i richiedenti asilo e l’introduzione di un principio di solidarietà obbligatorio nell’ambito degli interventi di accoglienza;
- l’introduzione di meccanismi di regolarizzazione ordinaria che consenta alle persone straniere stabilmente inserite nella società europea di ottenere un titolo di soggiorno;
- un maggiore impegno comunitario, anche finanziario, nelle politiche di inclusione sociale e di cittadinanza dei migranti e dei rifugiati;
- la promozione di missioni europee di ricerca e di soccorso in mare;
- il recupero di una visione della cooperazione internazionale volta a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali, diminuire le diseguaglianze economiche e sociali che ancora dividono le diverse aree del pianeta e evitare qualsiasi forma di sostegno economico ai Governi di paesi che non assicurano la garanzia dei diritti umani.
L’approccio sin qui seguito ha fallito: ha “costi” disumani eticamente inaccettabili (Lunaria, a cura di, Costi disumani. La spesa pubblica per il “contrasto dell’immigrazione irregolare, 2012); non ha portato in Europa maggiore stabilità e coesione sociale, né è riuscito (per fortuna) a barricare davvero la Fortezza Europa.
Prenderne atto e agire di conseguenza è l’unica scelta “pragmatica” possibile.
Una rinnovata azione di conflitto e di advocacy da parte dei movimenti e delle organizzazioni della società civile; la presenza nelle sedi di partecipazione, consultazione e rappresentanza democratica delle persone che hanno alle spalle un percorso migratorio e un’autentica disponibilità al confronto da parte delle forze politiche progressiste, potrebbero, forse, facilitarne l’adozione.