Il corpo-confine. Tecnologie biometriche e controllo delle frontiere
I confini europei si sono trasformati da tempo anche in confini digitali: immagini facciali, lettura dell’iride, movimenti del corpo, raccolta e analisi di impronte digitali, rappresentano pratiche costituenti l’era dell’identificazione biometrica in particolare nella gestione delle frontiere interne ed esterne degli stati. Molteplici sono le applicazioni finanziate dall’Unione Europea (UE) per aumentare l’efficacia dei controlli e in questo processo la tecnologia non è neutra quanto piuttosto uno strumento attraverso cui i confini geografici vengono digitalizzati e i corpi delle persone posti al centro di pratiche di sorveglianza e identificazione.
La conseguente depoliticizzazione del controllo dei confini derivante dall’utilizzo delle tecnologie digitali - la rappresentazione cioè del controllo delle frontiere come mero problema tecnico che può essere risolto attraverso tecniche innovative di controllo e sorveglianza – può condurre alla depoliticizzazione delle pratiche e degli effetti prodotti. L’attuale dibattito sul tema è infatti in gran parte limitato a un approccio tecnologicamente deterministico che riduce l'attenzione a un mero problema di privacy e di uso improprio dei dati, tenendo fuori dal quadro nodi fondamentali e ricadute importanti in termini di diritti umani. È invece importante prestare attenzione a quello che accade perché la virata verso l’utilizzo sistematico di dati biometrici si inserisce in un quadro più generale in cui l’intersezione tra tecnologie digitali e identità influisce in maniera determinante sulla vita delle persone, in particolare su coloro i quali si trovano in condizioni di maggiore vulnerabilità.
Tecnologie biometriche, confini e governo sulla vita
La biometria (dalle parole greche bìos = "vita" e métron = "conteggio" o "misura") è la “disciplina che studia le grandezze biofisiche allo scopo di identificarne i meccanismi di funzionamento, di misurarne il valore e di indurre un comportamento desiderato in specifici sistemi tecnologici”. Attualmente, il termine “biometria” si riferisce a una vasta gamma di tecnologie che possono essere utilizzate per verificare l’identità di un soggetto, misurando e analizzando caratteristiche umane proprie dell’individuo stesso: tra le variabili più frequentemente prese in esame ci sono le impronte digitali, la geometria della mano e del volto, la conformazione della retina o dell'iride, il timbro e la tonalità di voce. Questo riconoscimento biometrico si basa su sistemi hardware per l’acquisizione dei dati, cui si integrano le componenti software che consentono, attraverso algoritmi matematici, di effettuare l’analisi dei dati e ricostruire l’identità di una persona e riconoscerla.
Gli attacchi dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti hanno segnato l'inizio di una nuova era di attenzione per la sicurezza delle frontiere attraverso tecnologie di avanguardia. Come ha sostenuto Amoore (2013) l’espansione della biometria nel controllo strategico militare dei flussi di persone è stata parallela al controllo biometrico delle frontiere inteso a prevenire movimenti migratori indesiderati. Diversi autori hanno posto in evidenza i cambiamenti indotti da nuove forme di sicurezza delle frontiere: Johnson et al. (2011) hanno osservato in che modo la militarizzazione dei confini, che va di pari passo con il crescente uso di tecnologie come la biometria, abbia innescato una riarticolazione ed espansione della sovranità statale. Per Longo (2017), i confini "zonali" più ampi sono diventati frontiere mentre ugualmente la sovranità assomiglia a un imperium crescente, vale a dire un'autorità politica territorialmente illimitata. Per Lyon (2005) il confine ora è “ovunque”.
Amoore (2006) ha coniato il termine “confini biometrici” per descrivere il modo in cui la biometria riconfigura i confini nella società e i corpi delle persone al suo interno. Studiando la “sorveglianza dei dati” nella “guerra al terrore”, Amoore mostra come le tecniche biometriche implichino processi di oggettivazione, pratiche cioè che dividono e scompongono un soggetto in fattori di rischio calcolabili trasformando in tal modo il soggetto in oggetto. Tale oggettivizzazione si traduce in nuove tecnologie di sorveglianza che identificano “popolazioni sospette”, "gruppi a rischio", separano i “cittadini” dagli “anti-cittadini” e dai “non-cittadini”, disciplinano il "corpo indisciplinato" riportandolo in una zona di calcolo e gestibilità e recuperandolo all'interno di intervalli "normali" di accettabilità.
Il rebordering biometrico viene quindi descritto da Amoore come un esercizio di biopotere, di diritti incisi nel corpo, mediante il quale i corpi stessi si trasformano in siti di molteplici codificazioni sociali che aprono o chiudono a possibilità e pratiche di agency. Le identità essenziali sono costruite nel tessuto dei sistemi biometrici attraverso algoritmi, data mining, profiling (da segnalare il distinguo IDentities versus Identity posto da Grunenberg et al 2020), come categorizzazioni sociali materializzate di genere, classe, razza.
Per Stenum (2017) il paradigma del sistema biometrico è quello di uno "scan-opticon": capacità di gestire le popolazioni attraverso l'identificazione corporea grazie a una flessibilità spaziale che crea confini e frontiere ovunque.
Frontiere digitali interne ed esterne
Ad oggi le tecnologie biometriche sono in forte espansione: governi di tutto il mondo investono ingenti somme di fondi pubblici per far parte del sistema biometrico globale di controllo e sorveglianza e gli identificatori biometrici sono diventati sempre più un elemento chiave nella gestione delle frontiere interne ed esterne da parte dell’UE.
Eurodac, operativo dal 2003, è la banca dati biometrica a livello comunitario contenente le impronte digitali dei richiedenti asilo e dei cittadini di paesi extra-UE non appartenenti allo Spazio economico europeo (SEE) per il confronto tra i paesi dell’UE. Eurodac è elemento centrale del sistema comune di asilo, del funzionamento degli hotspot e delle procedure di ricollocazione. La giustificazione con cui era stato proposto era quella di poter identificare i richiedenti asilo per impedire che potessero richiedere l’asilo in più paesi o in un paese diverso da quello in cui erano entrati la prima volta (in attuazione della Convenzione di Dublino). Negli anni ne è poi stato proposto l'allargamento anche ad altre categorie di persone divenendo uno strumento di controllo sui loro spostamenti all'interno degli stati aderenti all'accordo di Schengen.
Ma la politica sulle migrazioni dell’UE si fonda anche sulle esternalizzazioni delle frontiere, come ricorda Avallone (2021) in questo stesso Forum, dunque su una serie di accordi con stati terzi volti a contrastare la mobilità delle persone provenienti da paesi non europei prevedendo la collaborazione con questi paesi anche sotto il profilo della condivisione dei dati biometrici relativi ai migranti. Il Sistema di Informazioni sui Migranti e di Analisi dei Dati (MIDAS) è un database che raccoglie, elabora, archivia e analizza i dati (impronte digitali e scansione dell’iride) dei viaggiatori in tempo reale, grazie ad una capillare rete di frontiera. Parzialmente sovvenzionato dalla UE ed installato nei territori di confine - in particolare il Niger è al centro di politiche di esternalizzazione negli ultimi anni - è già in grado di collegarsi a database che a loro volta possono essere consultati da altri Stati e dall’Interpol. E ancora il Free Movement of Persons and Migration in West Africa di cui l’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è capofila, finanziato dall’UE e dalla Comunità Economica dell’Africa occidentale (Ecowas) sviluppa protocolli comuni di controllo delle frontiere e produce una carta di identità biometrica per i cittadini dei 15 paesi afferenti ad Ecowas, la più grande area di libera circolazione del continente.
Nel recente report Deportation Union: Rights, accountability and the EU’s push to increase forced removals, Statewatch analizza nel dettaglio la Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in merito ai rimpatri di cittadini di paesi terzi ed evidenzia come la registrazione dei dati biometrici degli individui è e continuerà ad essere uno strumento di controllo imprescindibile nei piani della Commissione Europea al fine di facilitare il tracciamento di tutti i soggetti passibili di deportazione e dei loro movimenti. Sempre all’interno dello stesso report si fa riferimento alla creazione di un ulteriore database europeo centralizzato, l’Entry/Exit System, che registrerà i dati biometrici e biografici degli individui che entreranno nell’area Schengen, calcolando in modo automatico il periodo di permanenza loro consentito.
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Le politiche di controllo e deportazione da parte dell’UE contro le persone in viaggio verso una nuova vita proseguono e si intensificano (nel solo primo mese del 2021 quasi 2000 persone sono state deportate in Libia) anche attraverso il supporto di strumenti di sorveglianza biometrica atti a dividere, all’interno di processi di crimmigrazione, i desiderabili dagli indesiderabili, i privilegiati dai non privilegiati, i deportabili dai non deportabili. La sorveglianza biometrica di massa e su base etnica disumanizza le persone costringendole all’interno di sistemi automatizzati e oscuri entro cui il potere sui corpi passa anche attraverso il potere sull’informazione estratta dai corpi e viceversa: sorvegliando il corpo si sorveglia l’informazione, l’essere umano viene così ridotto a mero fascio di informazioni. L’Onu all’interno di un suo recente rapporto sollecita un’urgente moratoria globale sulla vendita, il trasferimento e l’uso della tecnologia di sorveglianza, almeno fino a quando non saranno in atto solide garanzie per il rispetto dei diritti umani al centro della regolamentazione di tali pratiche. I soli adeguamenti normativi non basteranno a garantire trasparenza e correttezza. È fondamentale interrogarsi nel qui e ora sulle implicazioni immediate sulle vite delle persone e compito urgente invertire questa tendenza per gli anni a venire.