Episodi dell’indipendenza slovena visti dal Friuli Venezia Giulia
Ugo Poli
Nella crisi jugoslava che portò alla dissoluzione della Repubblica Federativa, Trieste e la nostra Regione sono stati un osservatorio straordinario. Nel trentesimo anniversario della proclamazione dell’indipendenza della Repubblica di Slovenia è giusto e possibile raccontare due episodi, dei quali sono stato partecipe in quegli anni e che mi sembrano di qualche rilievo. Dicembre 1987. Nella sede della Federazione udinese del Partito Comunista Italiano si incontrano la segreteria regionale del PCI con i quattro segretari provinciali e la segreteria della Lega dei Comunisti della Slovenia, guidata da Milan Kučan, che dal 1990 sarà poi Presidente della Repubblica slovena per quasi un decennio. Sono incontri semestrali che sono divenuti normali negli anni “80 con il pieno ristabilimento di rapporti di amicizia fra i due partiti. Le tensioni interne alla Jugoslavia si stanno aggravando per lo scontro fra l’esigenza di riforme democratiche nella struttura dello stato rivendicata da quasi tutte le repubbliche della RSFJ ed il neo-centralismo serbo perseguito a Belgrado da Slobodan Milošević. Sondaggi riservati rivelano che solo in Slovenia il consenso per il ruolo della Lega dei Comunisti arriva al 40 %, mentre nelle altre repubbliche il discredito del regime conosce livelli mai immaginati. Kučan afferma che per la prima volta nella sua storia la Lega dei Comunisti della Slovenia si trova a dover scegliere fra l’interesse della Repubblica Federativa e quello del popolo sloveno, che non appaiono coincidere più. E’ una dichiarazione esplosiva, mai formulata prima; ma nessuno dei miei “colleghi” sembra rendersene conto. Rientrato a Trieste, fui segretario del PCI triestino dal ottobre 1983 al maggio 1988, scrissi subito a Giorgio Napolitano, allora a capo del Dipartimento Affari Internazionali di Botteghe Oscure. Napolitano convocò per i primi di gennaio una riunione in cui valutare le implicazioni della dichiarazione di Kučan. Io avevo la febbre a quaranta e non vi partecipai. L’unico a sostenere la necessità di accompagnare la transizione jugoslava fino al riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche fu il mio amico Ravel Kodric, che in quanto Sloveno fu però considerato giudice di parte. Quanti lutti avrebbero potuto essere forse evitati se fin da allora la comunità internazionale avesse saputo definire un quadro di garanzie all’interno del quale potesse svolgersi la riforma del sistema jugoslavo, fino anche all’autodeterminazione della indipendenza dei suoi popoli! La convinzione della ineluttabilità di questo processo di autodeterminazione come parte della rivoluzione democratica di tutto l’Est europeo, che accelerava di mese in mese alla fine degli anni “80, è stata la mia bussola in quegli anni. Era una posizione di minoranza nel PCI locale e nazionale. Mi capitò anche di essere censurato da L’Unità che non pubblicò mai un mio editoriale sul tema, pur dando voce ad un articolo di risposta, che fu scritto dall’amico Stefano Bianchini, professore di Storia dell’Europa orientale a Bologna, che ha sempre sostenuto la tesi “unitarista”. Anche la Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia guardava con simpatia al processo di autodeterminazione della Slovenia, che dopo il referendum del 1990 appariva ormai irreversibile. Quando con la dichiarazione d’indipendenza il 25 giugno 1991 iniziarono gli scontri fra esercito federale e Difesa Territoriale slovena fu ovvio considerare come manifestare la nostra vicinanza. Guidata dal Presidente della Regione Adriano Biasutti, democristiano, con Gianfranco Carbone, Vice-presidente della Giunta, socialista, e me, come Presidente della Commissione Affari comunitari e Rapporti internazionali del Consiglio regionale e come rappresentante del PCI (da vent’anni le grandi scelte di politica estera dell’Italia erano quasi sempre condivise fra i grandi partiti costituzionali) una delegazione del Friuli Venezia Giulia si recò a Lubiana il 1° luglio. I segni della guerra erano ben visibili già a cento metri dal valico della Casa Rossa a Gorizia: le carcasse di due carri T54 dell’Armata Federale giacevano bruciate in mezzo alla strada. A Lubiana fu l’unica volta che, per mia fortuna, vissi un bombardamento aereo. L’incontro con il Primo Ministro sloveno Lojze Peterle, cattolico eletto nelle prime elezioni libere e pluraliste già nell’aprile 1990, avvenne perciò nei sotterranei locali caldaie del palazzo del governo. Sulla via del ritorno, girando da Tarvisio per evitare la piana di Vrhnika dove a sud della capitale era in corso il più grosso scontro della “piccola guerra” d’indipendenza della Slovenia, il Presidente Biasutti si girò ad un tratto verso me e Carbone seduti dietro nella macchina di servizio. “Allora, cosa ne pensate? Dobbiamo riconoscerli o no?” Rispondemmo entrambi chiaro e forte che “Sì!”. Biasutti allora prese il telefono e chiamò Francesco Cossiga, il Presidente della Repubblica di allora, e gli disse: “Francesco, noi qui pensiamo che l’Italia deve riconoscere subito l’indipendenza della Slovenia”. Ci volle ancora un po’ di tempo, ma l’Italia fu seconda solo alla Germania nell’atto di riconoscimento. Ho usato anch’io la formula “piccola guerra”: in realtà ho sempre corretto chi la usa ricordandogli che per i morti dell’Armata Federale e per gli Sloveni caduti per l’indipendenza, quella guerra non fu piccola affatto!
Segnaliamo sull'argomento l'articolo scritto da Piero Fassino sull'Unità il 5 luglio 1991