Germania: la gestione della pandemia, l'impegno nell'Ue
Ma è davvero così simmetrica la terribile crisi del coronavirus che sconvolge da mesi la vita del pianeta dalla Cina all’Europa, dagli Stati Uniti al Brasile? I Paesi sono veramente colpiti tutti allo stesso modo da questo nuovo flagello, che ha già stroncato tante vite umane e mette in ginocchio ovunque per chissà quanto tempo economie e società? Certo, nessuno è al riparo dall’aggressione del virus. Sappiamo che da più parti hanno avuto vita ugualmente breve le teorie, astruse e pericolose, sulla cosiddetta immunità di gregge, all’inizio sposate da qualcuno più per miope calcolo politico che sulla base di indicazioni scientifiche. E abbiamo visto uscire di scena molto rapidamente, in un silenzio pudico e assoluto, i nemici ideologici dei vaccini. Fenomeni comuni a vari Paesi, europei e non.
L’analisi e il raffronto della diffusione del Covid-19 e del suo impatto nei Paesi europei tuttavia mostrano anche qualche aspetto non uniforme. Mentre scriviamo, a fine aprile, gli ultimi dati disponibili, purtroppo destinati a crescere ancora, indicano numeri analoghi nei decessi per coronavirus, dall’inizio della crisi, in Italia (28.236), Regno Unito (27.583) e in Francia (24.628). Invece la Germania, con una popolazione superiore di venti milioni di abitanti rispetto a quella degli altri tre Paesi, presenta un bilancio di 6.736 vittime. Considerando gli intensi scambi e il consistente traffico d’affari tra Cina e Germania, ci si poteva attendere una maggiore esposizione di quest’ultima ai contagi e alle conseguenze del virus. Si è verificato il contrario, visto che per i tedeschi l’impatto, pur nella sua enorme gravità, è stato inferiore che altrove.
Risulta così, almeno per il momento, confermata una maggiore efficienza del sistema tedesco nel far fronte alla propagazione letale del virus. Per la verità neanche lì sono mancate le polemiche e le divergenze tra scienziati ed esperti su diagnosi e migliori difese, come anche sul rapporto tra i responsi della scienza e le prerogative della politica. In ogni caso, al risultato comparativamente meno drammatico hanno contribuito la qualità e la forza del comparto sanitario e in particolare la capacità di effettuare tempestivamente un amplissimo numero di tamponi, anche su persone asintomatiche, e di isolare con grande rapidità quelle contagiose. Ha contenuto gli indici di mortalità anche il fatto di avere pronta, già prima dello scoppio della pandemia, una quantità piuttosto elevata di postazioni di terapia intensiva. Il che ha consentito alla Germania di farsi carico, nei giorni dell’emergenza più acuta, del ricovero e della assistenza in strutture tedesche per centinaia di malati gravi italiani e francesi. Solidarietà forse non sufficientemente riconosciuta.
Dalla fisiologica, vivace dialettica tra governo centrale e Länder tedeschi sulla portata delle misure di contenimento del contagio è emerso un compromesso tra sensibilità e interessi diversi, con soluzioni negoziate e condivise cui, una volta definite, tutti si sono uniformati. Il federalismo, frutto di una radicata tradizione e di una collaudata esperienza, può essere gestito con visione attenta agli interessi generali e fornire risposte efficaci. D’altra parte, in Germania l’attitudine al compromesso costruttivo appare iscritta nel codice genetico dello stesso processo legislativo. Esso è affidato alla regola di controlli e bilanciamenti tra Bundestag eletto a suffragio diretto e Bundesrat composto dalle rappresentanze dei sedici Länder, spesso politicamente disallineate rispetto al governo federale di volta in volta in carica. Ne consegue che la pratica della “coabitazione” tra maggioranze diverse nelle due Camere e la necessità di comporre le divergenze attraverso il negoziato costituiscono elementi tutt’altro che eccezionali per il sistema politico tedesco.
Se si aggiunge la sostanziale convergenza delle forze politiche di maggioranza e di opposizione sulla necessità di fronteggiare l’emergenza in nome della priorità di arginare il virus e salvaguardare lavoro e produzione, in Germania si delinea un quadro di stabilità e di solidità, pur nella perdurante preoccupazione per i contraccolpi sul piano sanitario ed economico-sociale. In termini politici, Angela Merkel, da oltre un anno sollevata dall’onere della presidenza della Cdu, si avviava senza strappi alla conclusione del suo quarto mandato di Cancelliere federale, con scadenza naturale nell’autunno del 2021. Ora, smentendo le previsioni di quanti un po’ sbrigativamente la vedevano sul viale del tramonto, la Cancelliera si impone ancora una volta con autorità e competenza sulla ribalta politica nazionale ed europea.
I suoi indici di gradimento sono schizzati in alto, verosimilmente per quella miscela di affidabilità, trasparenza e conduzione sicura che Angela Merkel ha saputo offrire ai tedeschi in una congiuntura pesantissima, “senza precedenti dalla seconda guerra mondiale”. Inoltre, è stata impeccabile sul piano della comunicazione. La sua spiegazione dell’emergenza, fornita attraverso un rarissimo, breve e incisivo intervento televisivo, potrebbe restare un documento di riferimento per la migliore comunicazione istituzionale.
Non deve quindi sorprendere se sul piano interno non solo la popolarità personale della Cancelliera è molto aumentata, ma con lei anche il consenso per la Cdu si è accresciuto in misura notevole, sfiorando il 40% secondo gli ultimi sondaggi e rinverdendo così i fasti del partito della lontana era di Adenauer e Kohl. In seno alla coalizione di governo, la Spd non beneficia di un analogo vento favorevole. I consensi restano al minimo storico, mentre l’incertezza programmatica e l’attuale dirigenza bicefala del partito assicurata da dicembre 2019 dai poco conosciuti e ancor meno carismatici Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans non sembrano in grado di risollevare le sorti del partito.
Occorrerà naturalmente verificare se la tendenza si consoliderà, nella forte volatilità dei consensi elettorali dalla quale al giorno d’oggi neanche la Germania è immune. In ogni caso, per gli equilibri interni del più grande Paese europeo la gestione della crisi del Covid-19 si è tradotta in un rafforzamento della posizione della Cancelliera federale. In questo contesto, scivola in secondo piano la competizione per la presidenza del partito, importante perché l’eletto alla guida della Cdu sarà il candidato – con le migliori chances – a succedere a Merkel anche alla guida del governo dopo le elezioni federali dell’autunno dell’anno prossimo. A causa del coronavirus, la scelta del nuovo presidente della Cdu, in sostituzione della dimissionaria Annegret Kramp-Karrenbauer, è al momento rinviata al congresso ordinario del partito a dicembre di quest’anno: ancora una rendita di posizione per Merkel, che resta di fatto unico punto di riferimento e di equilibrio in seno alla Cdu.
Su questa tela di fondo interna, nelle ultime settimane la Germania è stata protagonista di una intensa azione in seno all’Unione europea, che merita di essere valutata obiettivamente al riparo da interpretazioni preconcette. La richiesta di mutualizzazione del debito si è ancora una volta scontrata con forti resistenze politiche e giuridiche, poggiate peraltro su un orientamento altrettanto riservato, quando non decisamente contrario, di settori non trascurabili dell’opinione pubblica. Sulle autorità di Berlino pesa così un condizionamento interno, riflesso nelle posizioni ufficiali sull’ipotesi di scuola di Eurobond. Prevale la prudenza. Presso alcuni – sarebbe sbagliato nasconderlo – resta la sfiducia circa la volontà o capacità dei Paesi dell’Ue finanziariamente più vulnerabili di correggere strutturalmente, con riforme incisive del tipo di quelle realizzate in Germania negli anni passati, le ben note criticità, a cominciare dall’indebitamento eccessivo.
I termini di questo confronto non sono affatto nuovi, richiamano anzi quelli delle discussioni sulla “crisi dell’Euro” di dieci anni fa quando si trattò in particolare di stabilizzare la situazione finanziaria della Grecia. Tuttavia le ultime settimane hanno dimostrato, con un primo blocco di decisioni comuni anche se laboriose, che qualcosa si muove in direzione di una maggiore, auspicabile solidarietà in seno all’Ue. L’esito del Consiglio europeo del 23 aprile è da considerare ancora parziale, perché le intese di principio raggiunte devono essere integrate da disposizioni specifiche che ne precisino le modalità operative.
L’intervento per alleviare la disoccupazione (Sure), lo stanziamento della Bei, il meccanismo europeo di stabilità (Mes) senza condizionalità, se non quella della destinazione delle risorse per il contenimento dell’emergenza economica causata dalla crisi del Covid-19, il fondo per la ripresa, oltre alle rilevanti determinazioni della Banca centrale europea sull’acquisto di titoli di Stato, segnalano una nuova disponibilità dell’Unione europea a riconoscere e far valere esigenze comuni, anziché arroccarsi su temute chiusure dettate da condizionamenti nazionali. La strada intrapresa, da proseguire alla luce delle disposizioni attese, è utile e solidale. Il lavoro dovrà continuare nelle prossime settimane, ma la sua base può essere valutata in modo incoraggiante.
La novità è che il Consiglio europeo non sarebbe giunto alle sue ultime determinazioni senza l’impegno della Germania a favorire un’intesa e a prendere le distanze dalla rigidità ideologica di altri, come i Paesi Bassi. Le aperture sulle varie garanzie che potranno essere fornite dal bilancio comunitario, anche attraverso un suo ampliamento, non equivalgono all’accettazione degli Eurobond, ma si collocano nella stessa area del ricorso a strumenti comuni per fronteggiare sfide di interesse comune. E’ uno sviluppo concettuale da tenere presente e il consenso di Berlino è significativo.
Il governo italiano ha opportunamente cercato di favorire soluzioni di compromesso anziché lasciarsi attrarre da rotture traumatiche sulla base di principi astratti. A giusto titolo, autorevoli osservatori europei hanno pertanto sottolineato che l’intesa non sarebbe stata possibile senza un’assunzione di responsabilità da parte sia della Germania sia dell’Italia, per ragioni speculari, nei confronti delle rigidità nelle rispettive costituencies domestiche: quella tedesca, riluttante dinanzi a ogni misura assimilabile a una condivisione di rischi e garanzie; quella italiana, contraria a ogni cedimento verso strumenti considerati pregiudizialmente inaccettabili (Mes).
Né vanno dimenticate le importanti voci che in alcuni settori della politica, dell’economia e della cultura tedesca si sono levate per spingere il governo a una fattiva solidarietà in seno all’Ue, con aiuti ai Paesi più colpiti senza colpa, e ridare slancio al progetto di integrazione europea oggi ancor più imprescindibile a fronte di una crisi pesantissima e minacciosa per tutti. Quegli appelli trasmettono il senso di una polifonia nella società tedesca, allontanando l’immagine fuorviante di una Germania schierata come un monolite a difesa della sua ortodossia. Pur se gradualmente, qualcosa si muove. In parallelo, la stessa Germania conferma il suo impegno per rinvigorire un multilateralismo efficace, essenziale per vincere le sfide globali del nostro tempo, eppure osteggiato da troppi protagonisti tentati da ricette nazionaliste.
L’avvio del semestre di presidenza tedesca dell’Ue, il 1. luglio, potrebbe offrire un’occasione preziosa per rinnovare la centralità, e con essa la capacità iniziativa e di mediazione, della Germania in Europa. Ancora una volta spetterà all’Italia presentarsi al tavolo europeo con idee, proposte e argomenti, tanto più efficaci quanto più suscettibili di trovare sponde interessate a condividerli e sostenerli per giungere a soluzioni comuni. Anche così contribuiremo, come è nel nostro interesse, a evitare il rischio di una deriva verso una crescente distanza e una diffidenza di fondo tra Paesi europei. E ad evitare il pericolo di frammentazione della costruzione europea che Italia e Germania, così complementari tra loro, hanno voluto sessanta anni fa e hanno sviluppato nel tempo nelle sue tante potenzialità, con successi da noi non sempre riconosciuti.