Lo spirito del NGEU ed una nuova strategia geopolitica
Il secolo si è aperto con una Europa in piena espansione e percepita come un esempio di successo da seguire. L’entrata in vigore dell’Euro, il “big bang dell’allargamento” con la riunificazione dopo decadi di guerra fredda, la leadership negli accordi internazionali commerciali, per uno sviluppo equilibrato della globalizzazione, hanno posto l’UE al centro della politica mondiale, sotto l’ombrello protettivo della sicurezza Usa nel quadro Nato.
Purtroppo altre dinamiche distruttive sono ben presto apparse: il rifiuto del Trattato costituzionale di Roma, la crisi finanziaria prima e del debito sovrano poi che hanno messo a rischio l’intera Eurozona; la crisi delle migrazioni tutt’ora irrisolta e ridotta alla sola questione della sicurezza e del controllo delle frontiere esterne; la Brexit e lo spettro di un effetto domino, diventato programma politico di molti partiti e financo governi europei, hanno stravolto la narrativa europea. Bruxelles non era più il luogo delle opportunità e della solidarietà, ma sinonimo di austerità, ineguaglianze e divergenze crescenti, di fronte a sovranismi divisivi.
Le elezioni europee del 2019 e la successiva Commissione Von der Leyen hanno però rappresentato un punto di svolta che ha rovesciato le prospettive. Si potrebbe dire che, dopo anni di difesa a catenaccio, l’UE è passata all’attacco. I primi due atti della CE furono la presentazione di una strategia complessiva di crescita e trasformazione denominata Green Deal e la proposta di un nuovo partenariato strategico con l’Africa. Il fallimento dei tre tentativi di accordo sul bilancio pluriennale sembrava già minare tali ambizioni e la stessa crisi pandemica mandare all’aria l’intera visione. Abbiamo invece registrato due ulteriori svolte. Se per rispondere alla crisi del 2008 ci sono voluti quasi sei anni per giungere al “whatever it takes” della BCE, la risposta colossale alla crisi pandemica è giunta in meno di sei settimane. Dagli interventi massicci della BCE, alla sospensione del Patto di stabilità e la concessione di enormi deroghe alla normativa degli aiuti di Stato, dalla azione inedita nel campo sanitario con funzioni mai esercitate dalla CE al fondo SURE. Premesse dell’accordo raggiunto in pochi mesi non solo sul bilancio pluriennale ma anche sul più massiccio piano aggiuntivo di ripresa e resilienza, il NGEU, facendo peraltro ricorso all’emissione di titoli di debito comuni e realizzando un metodo di coordinamento delle politiche di investimenti e riforme mai osato prima. Il tutto orientato a rafforzare la duplice transizione verde (in particolare energetica) e digitale e una nuova autonomia strategica.
Questa strategia, mantenuta anche nella nuova situazione di “economia di guerra” determinata dalla aggressione ingiustificata della Russia all’Ucraina, è dunque la rotta principale dell’UE per il prossimo decennio, da cui non deviare. La migliore sintesi di tale visione strategica, oggi supportata da atti legislativi significativi (tra tutte la Climate Law) e da mezzi finanziari senza precedenti, che consolidano l’Europa come l’hub globale per investimenti in tecnologia verde e decarbonizzazione, è rappresentata da quanto ben espresso nelle ultime due Comunicazioni sulla Analisi annuale della crescita sostenibile. Esse fissano la dinamica sistemica dei 4 pilastri della “competitività sostenibile” (produttività, stabilità, equità e sostenibilità ambientale) e delle 4 interazioni tra essi (la resilienza dell’economia, le opportunità della doppia transizione, la crescita inclusiva, una transizione giusta) che sistematizzano l’insieme delle azioni dell’UE e fissano il quadro di un raccordo progressivo con le politiche di bilancio degli Stati membri. Nella prospettiva avviata della riforma delle modalità applicative del Patto di stabilità e crescita, e del conseguente adattamento del meccanismo del Semestre europeo, siamo di fronte ad un vero quadro di programmazione economica e delle politiche dell’occupazione e di coesione per l’intera Europa. Ad essa si aggiunge la nuova Strategia industriale dell’UE, adottata a maggio 2021, che fissa un quadro di rinnovamento profondo per i 14 cluster industriali individuati, con l’obiettivo di una nuova e solida sovranità strategica, nel campo delle energie verdi, del digitale e della salute.
Questa possente direzione deve fare i conti peraltro con la sempre più evidente retromarcia dalla globalizzazione, promossa per almeno due decenni da USA e UE, e con il disaccoppiamento dell’occidente da Russia e Cina che, come abbiamo già visto sulle forniture di gas, rischia di zavorrare in modo assai più pesante l’Europa di altri. L’accelerazione della riduzione delle dipendenze esterne per i combustibili fossili, che è stata la risposta necessitata alla guerra avviata dalla Russia, sarà seguita dalla inevitabile attenzione alla riduzione del predominio della Cina su materie prime e semilavorati fondamentali per l’economia pulita.
L'Europa deve spendere complessivamente 5,3 trilioni di dollari in progetti di energia pulita entro il 2050. Ciò richiede un aumento di sei volte della produzione globale di rame, litio, grafite, nichel e alcune terre rare entro il 2040. La Cina domina la lavorazione, e in misura minore l'estrazione, di molti ingredienti industriali critici. Raffina il 58% del litio prodotto a livello globale, il 65% del cobalto e oltre un terzo del nichel e del rame. La Russia è grande anche in nichel, palladio e cobalto. L'Europa, che importa tra il 75% e il 100% della maggior parte dei metalli, appare particolarmente vulnerabile. Le aziende occidentali possono stringere accordi con fornitori in paesi amici, aprire miniere a casa o aumentare il riciclaggio. Il primo approccio è il più veloce ed è in corso. Ma già ora molte aziende stanno lavorando per l’apertura di nuove miniere. Se tutti i progetti europei di estrazione del litio dovessero realizzarsi, potrebbero fornire circa il 40% della domanda prevista entro il 2030. La migliore azione, rimane comunque quella del riciclaggio. Ad oggi l'Europa ricicla il 17% della produzione mondiale di batterie. Ma questa quota salirà al 48% entro il 2025, anche grazie alle politiche già messe in atto dall’UE.
Come magistralmente sintetizzato da Marco Buti e Marcello Messori (Per rispondere alle sfide del 2023 servono i Beni pubblici europei - 24+ (ilsole24ore.com) le sfide che l’Europa sta affrontando necessitano anche più che mai, nello spirito “rivoluzionario” del NGEU, il ricorso ad ulteriori Beni Pubblici Europei. Sia disegnando nuovi strumenti finanziari accentrati basati su emissioni comuni, sia favorendo una consistente mobilitazione del risparmio privato, verso progetti strategici comuni, per accrescere le risorse energetiche, accelerare le transizioni verde e digitale, investire sul bene salute e anche sulle nuove esigenze della difesa comune.
Contrariamente a quanto successo per passate crisi, anche la devastante tempesta causata dalla guerra ha accelerato questa direzione e, pur con maggiore fatica nei tempi e nella convergenza degli Stati membri, rinsaldato l’unità europea. Ha inoltre rimesso al centro l’urgenza di una nuova geopolitica, basata sulla necessità di pensare la guerra e il conseguente ruolo dell’Europa anche come potenza militare, con l’antico tema non risolto dell’Unione della Difesa. Siamo ormai dentro una fase di più conflitti sistemici e dunque molte politiche devono essere ripensate, dall’esigenza di ridurre le dipendenze e proteggersi, a più forti partenariati con i paesi vicini e in generale il Sud Globale, considerando inoltre che lo stato di candidato concesso a Ucraina e Moldavia a seguito della guerra, comporterà una accelerazione dei negoziati già aperti da lungo tempo, con tutto ciò che ne consegue (governance e finanze EU)
Se tutto questo è stato possibile grazie ad una visione strategica di lungo periodo e ad una convergente e forte leadership politica, ai vertici delle Istituzioni EU e dei maggiori Stati membri, nondimeno resta del tutto aperta la riforma dei Trattati, l’abolizione del potere di veto, il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo e una nuova stagione di strumenti partecipativi e anche di raccordo con i parlamenti nazionali e i poteri locali. Temi che sono stati al centro della COFOE, con buoni risultati. Purtroppo questo cantiere non si aprirà in questa fine legislatura e il recente scandalo che ha investito il PE certo non aiuta. È da auspicare che possa accadere dopo le elezioni europee del 2024.