Ucraina, un compromesso è ancora possibile?
Dopo due anni di guerra in Ucraina, in tutte le cancellerie è aperta una riflessione su quali possano essere le vie di uscita. Un dibattito aperto su cui si inserisce la riflessione di questo mese di Massimo Nava
“Ti conviene trattare adesso, dopo sarà peggio”. Sono le parole che Putin avrebbe rivolto a Zelensky all’inizio del conflitto. Ciniche fin che si vuole, ma non avulse dalla realtà dei rapporti di forza. E siccome in politica, come nella vita, è pericoloso scambiare la realtà con la rappresentazione della stessa, un bagno di realismo sul conflitto sarebbe auspicabile.
La narrazione ufficiale, nelle capitali europee, dice che occorre sostenere l’Ucraina (e quasi tutti i governi, Italia compresa, si sono impegnati a farlo) e nel contempo perseguire una politica di sfiancamento economico della Russia, che potrebbe portare anche alla confisca di asset finanziari, pur con il rischio di conseguenze nelle relazioni internazionali.
Ma dietro le quinte, il tono delle riflessioni è diverso. L’analisi della situazione sul terreno evidenzia che l’Ucraina non può vincere sia per la sproporzione delle forze in campo sia perché le potenzialità militari della Russia - in termini di uomini, mezzi e rapidità decisionali proprie di un regime - sopravanzano le intenzioni delle capitali europee e degli Stati Uniti. Intenzioni non più granitiche alla vigilia delle elezioni americane che, nel caso di vittoria di Trump, significherebbero l’abbandono dell’Ucraina al proprio destino (secondo un piano segreto anticipato dal Washington Post).
Le recenti cerimonie per il 75° anniversario dell’Alleanza atlantica hanno messo in evidenza la distanza fra intenzioni e realtà, per quanto sia indubbio il crescente impegno dei governi europei nel settore della difesa, con conseguenze però non decisive per rovesciare i rapporti di forza sul terreno. Eppure la narrazione ufficiale alza i toni, come se bastasse gridare al lupo per smuovere capitali, imprese militari e opinioni pubbliche.
Un conflitto su vasta scala in Europa “non è più una fantasia” e gli europei devono trovare nuovi modi per prepararsi a una guerra potenzialmente più ampia nel continente, ha avvertito l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza della UE, Josep Borrell. “La Russia minaccia l’Europa” attraverso la guerra in Ucraina e attacchi ibridi contro gli Stati membri dell’UE, ha aggiunto. Che queste siano le intenzioni della Russia occorre naturalmente valutarlo, ma sarebbe utile continuare anche la riflessione sulle ragioni storiche dell’aggressività del Cremlino in Ucraina, favorite, secondo la narrazione in voga a Mosca, proprio dall’espansione della Nato ai propri confini. Un’espansione cominciata non nel 2022, ma subito dopo la caduta del Muro di Berlino. Purtroppo per la Russia e per l’Europa, il progetto di partnership avviato a Pratica di Mare si è perso per strada e sarà la storia a distribuire le responsabilità di un’occasione perduta.
È un fatto che gli sforzi dell’Europa per sostenere l’Ucraina non siano sufficienti, così come resta aperta la questione del finanziamento di maggiori investimenti nella difesa.
L’ enfasi sulle parole, talvolta con richiami retorici alla lezione ideale di Churchill, ci allontana da una riflessione sulla lezione pragmatica di Kissinger. Ossia da un bagno di realismo che ci risparmi uno scenario peggiore dell’attuale, ovvero il profilarsi di questi processi: l’alleanza sempre più stretta fra Russia, Cina e Iran; la debolezza strategica dell’Europa in relazione all’eventualità di confrontarsi con l’America di Trump; la rottura irreversibile dei rapporti economici, culturali ed energetici con la Russia; l’esposizione dell’Europa a una sempre più aggressiva politica di destabilizzazione da parte del Cremlino; le spinte centrifughe delle opinioni pubbliche europee stanche di guerra e contrarie ai tagli della spesa sociale per finanziare la difesa.
Quest’analisi non toglie nulla alle ragioni etiche e alle preoccupazioni di ordine strategico che portano UE e Usa a mantenere altissima la soglia di attenzione e ad alzare le difese contro Mosca, ma non è altrettanto eludibile la presa d’atto della situazione sul campo.
L’Occidente non è in grado di produrre munizioni a sufficienza e nel breve periodo: per debolezza politica e calcoli di pura logica di mercato da parte dei fabbricanti di armi, dato che le imprese continuano a vendere prodotti a Paesi terzi e non all’Ucraina.
La produzione europea di proiettili, che sfiorava il milione all’anno, dopo l’invasione di Putin è cresciuta di un terzo, e il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton ha sostenuto che nel 2024 si arriverà a un totale di 1,4 milioni di pezzi per arrivare a toccare i due milioni nel 2025. Buona parte (circa il quaranta percento) sarà destinata alle scorte dei Paesi membri.
Zelensky continua a implorare missili da difesa e aerei da combattimento. Intanto elimina quasi ogni giorno consiglieri e generali scomodi o critici. Se anche arruolasse Rambo e ottenesse armi letali dovrebbe sconfiggere una cosa che si chiama tempo: per resistere e istruire nuove leve. In un discorso in Parlamento, il comandante delle forze ucraine nell'est del Paese, Gen. Yurii Sodol, ha dichiarato che “i russi in alcune sezioni del fronte superano gli ucraini di oltre sette a uno”.