Il Piano Mattei, opportunità, ambizioni e elementi di dibattito

Andrea Stocchiero
Coordinatore Area Migrazioni del CeSPI e Policy officer Focsiv

Alcune note di contesto

Non si è mai parlato tanto di Africa nella politica italiana come in quest’ultimo anno[1], dai tempi della campagna contro la fame del Partito Radicale nei primi anni ’80. Iniziativa, quella dei radicali, che ha portato ad un aumento consistente di risorse destinate alla cooperazione, grazie alla legge 73 del 1985 Fondo aiuti italiano, e poi alla riforma legislativa del 1987, che ha strutturato e dato maggiore valore alla politica di cooperazione allo sviluppo nel quadro della politica estera italiana.

Da diversi anni si ripete sovente la necessità di adottare uno sguardo globale e prospettico per capire il possibile sviluppo o declino del nostro paese. Lo sviluppo nazionale è sempre più vincolato ai fenomeni internazionali. In questo contesto, il rapporto tra l’Italia, l’Europa e l’Africa assume una rilevanza speciale. Diversi aspetti di questo rapporto vengono richiamati da più parti: il crescente squilibrio demografico e del reddito pro capite, lo squilibrio tecno-scientifico e finanziario, con una serie di conseguenze per la stabilità internazionale. Squilibri che, pur ponendo sfide complesse, possono anche rappresentare un’opportunità per instaurare nuove relazioni: sia l’Europa che l’Italia propongono all’Africa un nuovo partenariato, più equilibrato, più sostenibile.

D’altra parte, questo sguardo dovrebbe essere capace di entrare più nel merito, per superare alcune semplificazioni fallaci. Tra queste l’idea che lo squilibrio demografico generi automaticamente l’invasione africana dell’Europa. In realtà, i flussi migratori più consistenti sono e saranno intra-africani e diretti verso il Golfo arabo. Come scrive Marco Zupi in un recente documento del CeSPI, “un giro d’orizzonte sul continente africano mostra tante differenze tra gli Stati, dove convivono contraddizioni enormi, in parte ereditate dal passato, in parte frutto della globalizzazione”. Vi sono comunque dei tratti generali comuni, “si tratta di economie per lo più molto povere ma che spesso registrano tassi di crescita molto elevati, fortemente dipendenti dal mercato estero, da una specializzazione produttiva concentrata in pochi settori. L'integrazione economica regionale e continentale è ancora poco sviluppata, mentre l'Asia e in particolare la Cina si stanno imponendo come i principali partner commerciali”.

Del resto, è da parecchi anni che la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa e la Banca Africana di Sviluppo e l’Unione Africana, sottolineano l’importanza di promuovere l’industrializzazione e di diversificare i mercati nazionali e regionali, superando la “maledizione delle risorse” e la dipendenza dall’estero, per uno sviluppo più diffuso ed equo, che investa nelle forze dinamiche locali, soprattutto sui giovani.

A tal proposito in questi ultimi mesi sono scoppiate importanti proteste giovanili contro i Governi locali, dal Kenya alla Nigeria, all’Uganda, che rimandano alle primavere arabe del 2011. Manifestazioni per chiedere lavoro e un reddito dignitoso, innanzitutto, ma anche più diritti e libertà. Diversi stati africani, infatti, sono governati da élite inamovibili e, in alcuni casi, da vere e proprie cleptocrazie. Élite che intrattengono da decenni rapporti con i governi occidentali, e, più recentemente, con nuove potenze, come Cina, India, Turchia e Russia, per trarre profitti personali e distribuire gli avanzi a Lazzaro.

L’Africa è in effetti al centro della competizione geopolitica ed economica per l’accesso alle risorse strategiche, inclusi i nuovi minerali critici per la transizione ecologica. Sembra quindi ancora condannata alla corruzione, alla perpetuazione della “maledizione delle risorse”, ad una economia di rendita e alle fughe di capitali, con conseguenti recrudescenze dei problemi debitori. Il cui fardello viene poi fatto pesare sulle classi popolari, riducendo le spese sociali per riequilibrare i conti, come chiesto dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali che vanno in soccorso di queste economie. Istituzioni guidate dagli stessi paesi che alimentano la competizione.

I giovani contestano questo sistema che da decenni zavorra i paesi africani. Come riportato in una analisi dell’ISPI, cresce il risentimento e la percezione di essere costantemente soggetti a ingerenze ed ingiustizie. Cresce quindi un malessere africano verso i vecchi e i nuovi colonialismi, verso le ricette preconfezionate, con un disallineamento rispetto ai blocchi tradizionali.

Questo avviene mentre il mondo sta affrontando la crisi del multilateralismo e dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Le crisi tra loro interconnesse, dal riscaldamento climatico al Covid, dalle guerre all’inflazione e alla stagnazione, hanno esacerbato gli impatti, le differenze e le tensioni, e le popolazioni africane più vulnerabili ancora una volta sono quelle che ne subiscono le più amare e tragiche conseguenze.

Il Piano Mattei

In questo contesto si inserisce l’iniziativa del governo italiano nota come Piano Mattei. Il Piano Mattei è uno strumento ambizioso che va oltre la politica di cooperazione allo sviluppo, poiché la Presidenza del Consiglio intende coordinare le principali relazioni estere italiane verso l’Africa. Vorrebbe essere una grande iniziativa di politica estera capace di instaurare un vero partenariato tra l’Italia e l’Africa, con benefici reciproci in ambito economico, sociale, ambientale e culturale, basato sulla convergenza degli interessi nazionali. Il Piano presenta infatti ben 17 direttrici d'intervento: dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti; dall’istruzione alla ricerca e innovazione; dalla salute all’agricoltura e sicurezza alimentare e così via.

Dopo varie comunicazioni (significativa quella esposta alla Conferenza Migrazioni e Sviluppo del Luglio 2023), il Governo ha presentato il decreto-legge il 15 novembre 2023, n. 161, poi convertito, con modifiche, dalla legge 11 gennaio 2024, che istituisce la Cabina di Regia del Piano, ovvero “la cornice entro cui le diverse amministrazioni dello Stato sono tenute a svolgere le proprie attività di programmazione, di valutazione d’impatto e di attuazione degli interventi, ciascuna nel proprio ambito di competenza”. La Cabina di Regia ha i compiti di promozione, coordinamento e monitoraggio degli interventi. Tuttavia, come vedremo in seguito, nel corso della sua evoluzione ha assunto anche funzioni decisionali. Per questo viene istituita presso la Presidenza del Consiglio una Struttura di missione e, appunto, la Cabina di Regia che, fino ad oggi (agosto 2024), si è riunita in due occasioni (in marzo e poi in aprile 2024). Ne fanno parte rappresentanti di alcuni Ministeri, di enti statali, del mondo imprenditoriale e delle organizzazioni non governative.

Il Decreto Legge istitutivo prevede una durata di quattro anni, e la possibilità di aggiornamenti periodici. Il Piano dovrebbe essere co-progettato con gli Stati africani, è infatti concepito come “una piattaforma programmatica e operativa aperta alla costante collaborazione con le Nazioni africane, sia nella fase di definizione che di attuazione degli interventi”. Le sue linee generali sono state presentate nel corso del “Vertice Italia-Africa” che ha avuto luogo il 29 gennaio 2024 alla presenza dei rappresentanti di 46 Nazioni africane. Ricevendo però la critica del rappresentante dell’Unione Africana, che ha evidenziato come le linee generali del Piano non siano state concordate preventivamente con gli Stati africani. D’altro canto, il Governo italiano è in continua interazione con diversi Stati africani, come evidenziano le numerose missioni delle più alte istituzioni e il lavoro delle ambasciate italiane.

Il Decreto Legge delinea un ampio spettro di settori di intervento e prevede l’elaborazione di strategie territoriali specifiche per determinate aree del continente africano. In particolare si indicano nove Paesi africani coinvolti in progetti pilota: Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica del Congo e Mozambico.

Nel luglio 2024, il Governo ha presentato alla Camera e al Senato lo “Schema di DPCM di adozione del Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei”, per acquisire il parere del Parlamento, parere che è stato assegnato alla III Commissione (Affari esteri) della Camera e alla III Commissione (Affari esteri e difesa) del Senato. “Si procederà quindi alla firma del DPCM di adozione del «Piano Mattei» e alla conseguente trasmissione della relazione di attuazione” che, come si legge a pagina 56 dello schema di DPCM in esame, “è approvata dalla Cabina di Regia e deve indicare lo stato di avanzamento del Piano e contenere le possibili misure volte a migliorare l'attuazione del medesimo e ad accrescere l'efficacia dei relativi interventi rispetto agli obiettivi prefissati”.

Lo schema del Piano, allo stato attuale (agosto 2024), indica alcune possibili nuove iniziative di cooperazione e alcune già in corso. Iniziative che sono già state concordate e sono in fase di negoziazione con le controparti africane attraverso il lavoro delle ambasciate e dei vari enti coinvolti nella Cabina di Regia. Ricordiamo che tutto ciò intende far parte di un partenariato non predatorio, “al fine di garantire ritorni – economici e sociali – destinati a rimanere sul territorio e costituire una leva stabile di risorse per successive espansioni. L'elaborazione degli interventi che compongono il Piano scaturirà, infatti, da contatti diretti preliminari con i rappresentanti dei partner africani, anche a garanzia di una piena appropriazione nazionale lungo tutto il ciclo di attuazione delle iniziative stesse”.

Nello Schema si nota la mano della cooperazione in diversi settori, da quello dell’istruzione a quello della salute e in parte dell’acqua, con chiari riferimenti a misure e target dello sviluppo sostenibile; mentre in altri settori è più evidente la mano dei “tecnici” e dell’imprenditoria, dall’agricoltura all’acqua, all’energia (con indicazione di progetti strategici), alle infrastrutture fisiche e digitali. In particolare poi vengono esplicitati alcuni progetti pilota già in corso o in fase di avvio in cui spicca il ruolo di alcune grandi imprese: di Bonifiche Ferraresi in Algeria ed Egitto, di Terna in Tunisia, di Eni in Congo e in Kenya. Così come, a livello strategico, si sottolinea l’importanza di sostenere filiere lunghe per garantire l’approvvigionamento di beni alimentari, e di risorse energetiche e critiche, posizionando l’Italia come hub tra Africa ed Europa. In questa visione convergono sia gli interessi dell’Italia che quelli dei Paesi africani.

Queste iniziative ed altre potranno contare sul sostegno finanziario dello Stato. A tal riguardo vi sono i fondi per l’internazionalizzazione delle imprese italiane (articolo 10 del D.L. 89/2024), ovvero l’utilizzo di una quota, nel limite di euro 200 milioni, delle disponibilità del “Fondo 394” per concedere finanziamenti agevolati alle imprese operanti con il continente africano; di una autorizzazione alla Cassa Depositi e Prestiti Spa, nel limite massimo di 500 milioni di euro per l’anno 2024, a concedere finanziamenti alle imprese per interventi coerenti con il Piano Mattei. Altro strumento finanziario che dovrebbe divenire operativo grazie alla Cassa Depositi e Prestiti, annunciato nell'ambito del Processo di Roma della Conferenza su Sviluppo e Migrazioni, è il “Growth and Resilience platform for Africa” che si delinea come “una piattaforma finalizzata a sostenere il settore privato degli Stati partner in grado di moltiplicare il volume delle risorse a disposizione aggregando capitali da altri investitori e intervenendo in fondi già operativi nel Continente africano”.

Ma, soprattutto, vi sono 5,5 miliardi di euro, di cui 3 miliardi a valere sul Fondo Italiano per il Clima e 2,5 miliardi sull’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) per iniziative di cooperazione. Risorse gestite in forma di prestiti agevolati da Cassa Depositi e Presiti e in forma di doni dall’AICS.

Da notare che nel caso dei fondi per l’internazionalizzazione, è stato istituito, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), un Comitato tecnico, presso la Presidenza del Consiglio nell’ambito della Struttura di missione del Piano Mattei. Analogamente e le funzioni dei Comitati di indirizzo e direttivo del Fondo italiano per il clima sono svolte da un altro Comitato tecnico che farà sempre capo alla Struttura di missione. Essa quindi assume un ruolo non solo di promozione e coordinamento ma anche di co-decisione.

Riguardo le risorse, i Servizi Studi di Camera e Senato, nel commento allo Schema, chiedono che “si valuti l’opportunità di indicare quale sia lo sviluppo temporale del finanziamento del Piano nel periodo relativo alla “prima fase”, chiarendo, in particolare, se coincida o meno con la durata quadriennale dello schema di DPCM in esame. Per quanto concerne poi i fondi per la Cooperazione allo sviluppo, potrebbe risultare utile chiarire se si intenda fare riferimento alle risorse allocate sullo stato di previsione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI)”.

Infine lo Schema indica come le risorse nazionali possano fungere da leva per attirare fondi multilaterali, tra cui in particolare si citano quelli della Banca Africana di Sviluppo. Mentre viene ricordato il Global Gateway europeo ma senza articolare eventuali iniziative.

Alcune questioni oggetto di dibattito

Il Piano Mattei solleva innanzitutto una grande questione di politica estera su come si possano articolare relazioni con l’Africa realmente non predatorie, su quale equilibrio perseguire nella convergenza degli interessi nazionali, su come possano stabilirsi, o meno, in questa convergenza rapporti “do ut des” come nel caso dello scambio tra finanziamenti per la cooperazione e contenimento dei flussi migratori.

Analisi recenti mettono in evidenza, come in un contesto di competizione geopolitica-economica, stia crescendo un approccio transazionale alla cooperazione internazionale, che mette in secondo piano una politica estera fondata sui diritti umani e a sostegno di processi democratici, per relazioni più eque e sostenibili. Lo Stato italiano e l’Unione europea si trovano a negoziare con Governi africani autoritari ed altri impegnati in processi di democratizzazione. D’altra parte, occorre evitare un approccio paternalistico e padronale, riconoscendo che la stessa Europa e Italia soffrono di una crisi democratica e di riconoscimento dei diritti umani, specialmente quando riducono in schiavitù i migranti africani nelle campagne e nelle fabbriche, con recrudescenze razzistiche e di chiara discriminazione. Come dovrebbe caratterizzarsi la cooperazione prevista dal Piano Mattei? Come articolare il rapporto di politica estera con i diversi Stati africani, tra interessi nazionali, democrazia e diritti umani?

A ciò si aggiunga la scelta di mantenere un equilibrio tra multilateralismo e bilateralismo nella politica estera. Il Governo italiano ha chiaramente sottolineato la priorità degli interessi nazionali, con l’intenzione di ridefinire il rapporto, ad esempio, tra aiuti concessi attraverso organismi multilaterali e quelli forniti per via bilaterale. Come si pone il Piano Mattei nel quadro multilaterale e rispetto al ruolo dell’Unione Europea? La relazione può essere strumentale, o può andare a sostenere il multilateralismo, l’Agenda 2030 e il nuovo dibattito del Summit per il futuro. Ma sembra che di questo non vi sia traccia nello Schema.

Accanto a ciò, vi è la questione del rapporto Italia-Unione Europea verso l’Africa: un rapporto convergente nell’offerta di un nuovo partenariato, in particolare con l’iniziativa del Global Gateway, che va nella stessa direzione del Piano Mattei. L’Europa, così come recentemente dichiarato anche dagli Stati Uniti, propone un partenariato più paritario, volto a sostenere la creazione di valore aggiunto nei paesi africani per una crescita diffusa ed equa. Tuttavia, diverse iniziative sono chiaramente focalizzate sulla creazione di corridoi di sviluppo per l’estrazione delle risorse strategiche destinate al mercato europeo. Quanto rimarrà effettivamente a favore dello sviluppo locale, o si perpetuerà la “maledizione delle risorse” e la dipendenza africana?

A tal proposito, si evidenzia la questione della voce dell’Africa. Di quale voce stiamo parlando? Di quella delle élite con cui è possibile trattare lo scambio di interessi (anche con le nuove élite militari degli Stati saheliani) oppure quella dei popoli, dei giovani e delle organizzazioni della società civile che chiedono il rispetto dei loro diritti, tra cui quello allo sviluppo locale? Emerge la necessità che il Piano Mattei adotti un approccio di sistema nelle relazioni internazionali: se da un lato è indispensabile mantenere, e condizionare, i rapporti con i Governi autoritari, ponendo attenzione non solo alla difesa degli interessi nazionali, ma anche ai diritti umani; dall’altro è importante nutrire la capacità della società e dell’economia italiana di intensificare le relazioni con le società e le economie africane più dinamiche e aperte.

Accanto alla Cabina di Regia, sarebbe fondamentale strutturare dialoghi a livello locale, nei Paesi africani, con il mondo delle società civili, della ricerca e della nuova imprenditoria, per cogliere le opportunità migliori di sviluppo locale equo e sostenibile. Sostenere la capacità di fare rete a livello sociale ed economico nei e con i Paesi africani sembra altrettanto, se non più, importante del ruolo della Cabina di Regia a Roma. D’altra parte, la Cabina di Regia dovrebbe coinvolgere la voce degli africani in Italia, rappresentata non solo dalle diplomazie degli Stati, ma anche dalle diaspore e dagli africani discendenti, attraverso il neonato Coordinamento italiano delle diaspore per la cooperazione internazionale, unica entità rappresentativa delle diaspore, molte africane, di livello nazionale, sostenuto dalla stessa cooperazione italiana e che potrebbe fare da ponte fra l’Italia e i paesi africani coinvolti. Così come manca, nella Cabina di Regia, un coinvolgimento degli Enti Internazionalistici che da anni studiano le dinamiche interne e geopolitiche che coinvolgono il continente africano, attraverso, ad esempio, la neonata Comunità di Politica Estera, creata dal MAECI, valorizzandone le competenze.

A questo si aggiunga la crescente importanza del dialogo politico scientifico. A causa del riscaldamento climatico è diventata evidente la necessità che la politica si doti di conoscenze scientifiche approfondite ed aggiornate. È lo stesso mondo scientifico che chiede alla politica di ascoltare le evidenze sulle questioni ambientali e sociali da cui la scelta politica non può prescindere, pena la sua inefficacia. Sarebbe veramente innovativo e, rispecchierebbe una buona pratica internazionale, la creazione di un panel scientifico italiano e africano di supporto al dibattito politico, grazie alle conoscenze del nostro sistema universitario e dei think tank, così come della cooperazione con le università e i centri di ricerca africani.

La questione politica appena menzionata solleva anche il tema della coerenza, non solo tra relazioni esterne italiane con l’Africa, ma anche tra la politica interna e le relazioni con il continente africano. In un mondo interdipendente tutto è connesso. Si tratta, ad esempio, della coerenza tra cooperazione allo sviluppo e internazionalizzazione economica. Perseguono entrambe lo stesso obiettivo di favorire la crescita industriale locale nei paesi africani? La creazione di occupazione dignitosa? La tutela dell’ambiente? Lo sviluppo sostenibile locale? In tal senso, la coerenza vorrebbe che, se con la cooperazione si sostengono iniziative economiche improntate sui principi e comportamenti di reale sostenibilità, anche l’internazionalizzazione economica dovrebbe dotarsi di strumenti capaci di valutare ex ante l’impatto sociale e ambientale degli investimenti e del commercio, per garantire un partenariato realmente non predatorio, in modo trasparente. In questa direzione, va sostenuta l’applicazione dei regolamenti europei di dovuta diligenza, da quello sul legname, sui minerali insanguinati, sulla deforestazione a quello di recente approvazione sulla dovuta diligenza. Si tratta di regole che impongono obbligatoriamente alle imprese di informare e dare conto dei rischi dei loro impatti sociali ed ambientali, e, nel caso, di farvi fronte con misure di modifica delle operazioni e di compensazione in caso di danni arrecati alle popolazioni locali.

Altro tema di coerenza riguarda il governo delle migrazioni. Il Piano Mattei, è nato dalla Conferenza su Migrazioni e Sviluppo e, sebbene abbia poi assunto una valenza sempre più economica, ha avviato il Processo di Roma per una gestione condivisa e corresponsabile delle migrazioni, coinvolgendo i paesi di origine, di transito e l’Italia, focalizzandolo in particolare sulla lotta al traffico umano. L’approccio italiano, in linea con quello europeo, si basa su una crescente esternalizzazione, delegando ai paesi di transito il compito di trattenere e rimpatriare i migranti irregolari, e recentemente a ospitare gli hot spot, come nel caso dell’Albania. Ovviamente dando in contraccambio aiuti materiali e finanziari. Questa politica continua a sollevare grandi problemi, soprattutto per il mancato rispetto dei diritti umani dei migranti lungo le coste e le frontiere terrestri e perché in deroga ai principi dell’asilo che si basano sulla situazione della singola persona e non sulla nazionalità. Il Sahara, come il mare Mediterraneo, è diventato una grande bara. Senza considerare come vengono trattati i migranti in alcuni paesi di transito, così come in Italia. D’altra parte, pensare che l’aiuto allo sviluppo porti automaticamente ad una riduzione delle migrazioni è una semplificazione contraddetta da analisi che mostrano come i flussi migratori aumentino con lo sviluppo. La questione, come sempre, è un po' più complessa e richiede quindi un approccio più articolato.

Si pone una questione di coerenza anche tra la cooperazione allo sviluppo e la cooperazione militare. Purtroppo nella Cabina di Regia sembra mancare il Ministero della Difesa, proprio in un momento in cui la cooperazione militare e le missioni militari rivestono un ruolo così rilevante nei rapporti con i Paesi africani. Considerando le tensioni sociali, le proteste giovanili, l’uso della forza per fermare i migranti e i difensori dei diritti umani, la criminalizzazione delle organizzazioni sociali più critiche, è urgente stabilire un’interazione efficace tra politica estera, cooperazione allo sviluppo e cooperazione militare, nonché meccanismi solidi e trasparenti di condizionalità per evitare cortocircuiti che portano a sostenere regimi compiacenti ma oppressivi delle libertà.

Un’altra questione cruciale riguarda la disponibilità di risorse pubbliche. Il Piano è ambizioso ma manca di risorse adeguate. Non sono previse risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate alla cooperazione allo sviluppo e al Fondo italiano per il Clima. Tali risorse sono necessarie anche per essere moltiplicate con quelle multilaterali ed europee. Mentre si discute di aumentare le spese militari per arrivare all’obiettivo NATO del 2% del prodotto interno lordo, pochissimo si discute del raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Anzi, nel 2023 questo obiettivo si è ridotto allo 0,27%. Un Piano Mattei privo del supporto della cooperazione allo sviluppo appare poco credibile. Si ripropone la questione decennale di come la nostra classe politica sia poco consapevole della rilevanza della cooperazione per la politica estera. Solo nel periodo Craxi-De Michelis, a cavallo degli anni '80-‘90, il rapporto APS/RNL era riuscito ad arrivare allo 0,4%, quando la cooperazione era considerata importante per le relazioni internazionali e l’economia italiana.

Accanto alla questione quantitativa delle risorse, vi è quella qualitativa riguardante le condizioni e gli impatti. Il Fondo per il Clima e parte della cooperazione allo sviluppo si presentano sotto forma di prestiti agevolati, quindi con tassi di interessi, periodi di grazia e di rimborso a lungo termine del capitale. Condizioni che in alcuni paesi africani hanno contribuito al problema del debito. Purtroppo, la crisi del debito si sta rigenerando, e diversi paesi africani stanno tagliando le spese sociali per pagare il servizio del debito a livello internazionale. La politica estera si collega quindi alla politica finanziaria, e il Piano Mattei non può ignorare questo tema nei suoi rapporti diretti con i paesi africani. Sarebbe opportuno, ad esempio, aggiornando la legge 209 del 2000 sulla cancellazione e la conversione del debito, oltre che a livello di G7, OCSE e di Nazioni Unite.

Accanto alle risorse pubbliche, strettamente intrecciate con esse, vi sono le risorse private. Come si è visto, lo Schema coinvolge già alcune grandi imprese e, come avviene da 50 anni, sottolinea l’opportunità di coinvolgere le piccole e medie imprese, che potrebbero costituire un modello anche per l’imprenditoria africana. Tuttavia, le analisi di questi ultimi anni evidenziano una volatilità e una riduzione degli investimenti privati esteri in Africa a causa delle crisi internazionali, delle instabilità locali, della nuova geopolitica economica vincolata alla sicurezza e alla ristrutturazione delle filiere secondo il nuovo concetto di friendshoring. Questo mentre i governi africani cercano di sfruttare le opportunità e la competizione geopolitica, all’interno di una fluidità di rapporti generata da un mondo multipolare.

A fronte di questa situazione, il ruolo del settore privato è enfatizzato nei programmi di partenariato pubblico-privato, che mirano a catalizzare e moltiplicare le risorse destinate allo sviluppo. Purtroppo, al di là della aneddotica, sono scarse le analisi indipendenti sulla reale mobilitazione di risorse e sul loro impatto concreto. Una recente literature review della Banca Mondiale sul partenariato nei progetti infrastrutturali registra un impatto positivo sulla qualità dei servizi e la produttività del lavoro, ma fornisce scarse evidenze in termini di creazione di occupazione e riduzione della povertà. Emerge la necessità di adottare misure per valutare gli impatti di partenariati pubblico-privati non predatori e funzionali allo sviluppo sostenibile locale. In questo contesto sembra necessario un ulteriore maggiore impegno di istituzioni come CDP-SIMEST-SACE. Quali matrici di valutazione potrebbero essere utilizzate? Su quali interventi concentrare le scarse risorse pubbliche? Come garantire la massima trasparenza a tutto il processo?

Questo pone la questione dei contenuti. Il Piano e i progetti pilota si focalizzano in parte sulla creazione di filiere lunghe orientate al mercato italiano ed europeo facendo riferimento ad approcci che vedono l’Italia come fulcro di relazioni economiche. Ma quanto di ciò rimane effettivamente in loco? Qual è l’equilibrio tra gli investimenti ancora legati al carbonio (gas e biocarburanti) e quelli destinati alle energie rinnovabili? Quali sono le priorità e rapporti tra filiere lunghe e filiere corte nel sistema alimentare, soprattutto considerando che la fame nel mondo è cresciuta, in particolare in Africa in questi ultimi anni? Quale dovrebbe essere il ruolo dei contadini africani? Quale investimento è previsto per la loro autonomia?

È evidente che il partenariato non predatorio si gioca su un reale trasferimento di competenze e tecnologie[2], ganglio centrale di ogni evoluzione economica e sociale o, meglio, su investimenti in ibridazione tecnologica e sociale, volti alla crescita dei saperi locali. Il futuro si costruisce in un rapporto fecondo tra ricerca scientifica e società (nella sua interezza, compresa la dimensione economica). Il sistema universitario italiano ha molteplici e diffusi legami con quello africano, così come quello delle organizzazioni della società civile. È questo un valore aggiunto già efficacie e su cui puntare, ma poco considerato nel Piano Mattei. Perché un nuovo partenariato realmente paritetico, favorisce infatti una redistribuzione del potere, che oggi è sommariamente tecnico[3] e concentrato in poche mani.

In conclusione, sono diverse le questioni che il Piano Mattei solleva. Averne consapevolezza e conoscenza è il primo passo per costruire un reale patto equo e sostenibile tra l’Italia, l’Europa e l’Africa, in un contesto multilaterale da riformare. Soluzioni e risultati non sono semplici e facili. Soprattutto perché occorre innanzitutto rivedere profondamente relazioni storiche coloniali e neocoloniali che, nonostante tutte le retoriche, si stanno perpetuando. Un piano ambizioso non si realizza in pochi anni e in una legislatura, ha bisogno di uno sguardo condiviso, profondo e di medio-lungo periodo. Un approccio bipartisan di politica estera è fondamentale, così come una diffusa cultura di cittadinanza globale, per un consenso quanto più condiviso possibile. Iniziare a rispondere alle questioni poste è un primo passo per cercare di porre le basi ad un processo di rinnovamento della politica estera con l’Africa.

Il Forum, promosso dal CeSPI, invita esperti/e, addetti/e ai lavori, ad un confronto approfondito sulle modalità con cui l'Italia può trasformare in realtà le ambizioni del Piano Mattei. Invitiamo i partecipanti a riflettere sugli spunti emersi e a formulare proposte concrete per un'azione più incisiva degli attori italiani ed europei nel contesto africano

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[1] Anche se una attenzione crescente verso l’Africa è riscontabile anche nei governi precedenti fino al Partenariato con l’Africa del 2020: Presentazione del documento strategico “Il Partenariato con l’Africa” – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

[2] Si ricorda il target 17.6 dello sviluppo sostenibile sulla condivisione delle conoscenze e la cooperazione per l’accesso alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione, il 17.7 sulla promozione di tecnologie sostenibili nei paesi in via di sviluppo, il 17.8 sul rafforzamento della capacità tecnica e scientifica nei paesi meno sviluppati. Si veda a tal proposito Revitalize the global partnership for sustainable development - Our World in Data

[3] Il termine tecnico è da leggersi in senso filosofico di techné.