Se l’instabilità regna sovrana
Nel corso del tempo, saremo meno ricchi, meno indipendenti, meno liberi di scegliere il nostro destino. Non è una profezia, ma poco ci manca se questo è il senso del rapporto sulla competitività di Mario Draghi, il quale ha appunto disegnato scenari foschi se l’Europa non sarà in grado di cambiare registro in settori chiave: ricerca, energia, sicurezza, innovazione. La condizione necessaria e non sufficiente è un’iniezione di volontà politica dei singoli governi nazionali connessa a una più forte coesione dei governi stessi. Attualmente, sembrano mancare sia l’una, sia sopratutto l’altra, condizionate dai recenti risultati politici che tenderanno ad imprimere una diversa direzione di marcia, ammesso che sia univoca. Basti pensare, ad esempio, alla messa in discussione del green deal e a visioni più restrittive delle politiche sociali e di integrazione.
Il balletto delle nomine della Commissione non è certo di buon auspicio per il secondo mandato di Ursula von der Leyen. Sono prevalse logiche di schieramento e nazionali anzichè un progetto ambizioso costruito su scelte trasparenti. La pretesa della von der Leyen di allontanare il commissario francese Thierry Breton che Macron ha di fatto ingoiato è emblematica del metodo Ue e della debolezza francese. La Von der Leyen si è sbarazzata dei suoi avversari interni, e non solo del francese (sostituito da Stéphane Séjourné). Fuori Josep Borell, ex capo della diplomazia europea, che non condivideva la linea della tedesca sul conflitto tra Israele e Hamas. Fuori Nicolas Schmit, commissario per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, e fuori Paolo Gentiloni, commissario per gli affari economici. Così nasce una Commissione debole, senza personalità e sarà la più di destra degli ultimi decenni. Ma è lo stallo politico in Francia e Germania a preoccupare di più. Ad esso si somma la crescita di movimenti populisti ed euroscettici che sono in riflesso dell’impoverimento delle classi medie, della paura dell’immigrazione, della guerra in Ucraina che ha scardinato l’ordine delle priorità e aumentato la distanza fra cittadini e governi. Praticamente, nessun Paese membro della Ue ne è immune. Le conquiste elettorali dell'estrema destra stanno diventando parte del panorama. Nella casa della Ue, il Belgio, hanno trionfato i nazionalisti fiamminghi. Il partito anti-immigrati e anti-Islam ha vinto in Olanda. L’estrema destra è al governo in Italia e gode di sondaggi favorevoli.
Francia e Germania rappresentano insieme i due quinti dell'economia europea ma stanno diventando «anelli deboli», non così lontani dagli “anelli deboli” tradizionali, ovvero gli Stati del Sud con crescita molle e debito pubblico eccessivo. Lo stallo politico in Francia e le difficoltà della coalizione semaforo in Germania si riflettono sui rapporti fra Parigi e Berlino, mai così fragili. L’idea stessa del motore franco tedesco non risponde più alle aspettative. In Germania, Alternative für Deutschland è diventato il primo partito etno-nazionalista a vincere elezioni regionali dai tempi del nazismo. Ha trionfato in Turingia e si è piazzato al secondo posto in Sassonia. L’estrema sinistra ha ottenuto un grande successo su una linea pacifista/populista. Sia sull’estrema destra, sia sull’estrema sinistra, non è da escludere un’influenza esterna con la Russia prima sospettata. I risultati riflettono peraltro la disapprovazione popolare per il contributo della Germania a sostegno dell’Ucraina.
La Francia è alle prese con una doppia crisi: politica e finanziaria. La seconda economia dell'Unione prevede un deficit del 5,5% del PIL e un rapporto debito/PIL che sfiora il 115%. Il presidente Emmanuel Macron ha puntato sull’ex commissario Ue Michel Barnier per costruire una maggioranza di governo che appare ancora una chimera dopo oltre due mesi dalle elezioni di luglio che hanno visto il successo di estrema destra ed estrema sinistra.
Tutto questo avviene mentre l’Europa ha conosciuto l’estate più calda della storia umana e l’autunno è cominciato con spaventose inondazioni in Polonia, Repubblica Ceca e Romania. Tutto questo avviene mentre la Ue persegue in ordine sparso le iniziative di sostegno all’Ucraina senza nemmeno immaginare il dopoguerra. Le sfide sono immani. Le leadership sono all’altezza?