Mentre ogni giorno siamo informati sui drammatici eventi che sconvolgono il Medio Oriente e il fronte ucraino-russo, scarse informazioni giungono sulla tragedia che si consuma da più di un anno in Sudan, sconvolto da una guerra civile che miete centinaia di migliaia di vittime e distruzioni devastanti.
Caduta sull’onda di una rivolta popolare nel 2019 la feroce trentennale dittatura di Al Bashir, dopo aver conosciuto una breve transizione democratica (2019/2021), il Sudan è stato nuovamente precipitato nel buio da un colpo di Stato perpetrato dai generali Al Bouhrane e Hemetti che ben presto si sono reciprocamente contrapposti, l’uno - Al Bouhrane - a capo delle Forze Armate del Sudan (FAS) e l’altro - Mohammed Daglo, soprannominato “Hemetti” - a capo delle milizie delle Forze di intervento rapido (FSR). Una contrapposizione che ha diviso territorialmente il Paese, l’est sotto il controllo del FAS, mentre l’ovest ricco di bacini minerari di oro sotto il controllo del FSR.
Come ormai accade in molti conflitti, anche questa guerra vede coinvolti altri attori, in schieramenti peraltro assai disomogenei. Così Egitto, Arabia Saudita e Iran - pur divisi da molte ragioni di conflitto - sostengono il generale Al-Bouhrane, che raccoglie anche le simpatie di Turchia, Qatar, Algeria, Eritrea, nonché dei Fratelli Musulmani. Mentre il generale Hemetti beneficia dell’appoggio di Emirati, Ciad, Sud Sudan, Centrafrica e di Paesi dell’Africa orientale (Uganda, Kenya, Etiopia). Non manca chi gioca su entrambi i fronti come la Russia, che ufficialmente sostiene il FAS, ma schiera la Wagner a sostegno del FSR. E, infine, lo scenario risulta ancor più critico per la presenza di milizie “sciolte” di mercenari volta a volta al servizio di questo o quel contendente.
L’esito è una feroce guerra civile che da un anno e mezzo sta distruggendo il Sudan: la capitale Khartoum è in gran parte devastata, i ponti sul Nilo abbattuti, le scuole e l’università chiuse, gli ospedali svuotati delle strutture sanitarie essenziali, gran parte degli stabilimenti industriali incendiati. L’Unhcr stima in 8 milioni gli sfollati e centinaia di migliaia sono le vittime innocenti di efferate violenze, come a Al-Genina, dove 25.000 persone sono state eliminate in un massacro etnico compiuto dalle milizie del generale Hemetti.
Una devastazione che le parti in conflitto cercano di nascondere agli occhi del mondo, cacciando ONG e associazioni umanitarie e impedendo l’ingresso di giornalisti e operatori dell’informazione. Non sono mancati i tentativi di mediazione, in particolare degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, senza tuttavia ottenere che sporadiche brevi tregue, immediatamente violate ora dall’uno, ora dall’altro contendente. Ma proprio la gravità della crisi non consente di rassegnarsi.
È un dovere morale e politico agire per bloccare la guerra civile che devasta il Sudan, paese peraltro attiguo ad una regione, il Sahel, sconvolto negli ultimi anni da colpi di stato militari e penetrazione dell’estremismo islamista. Fermare quella guerra è una responsabilità che deve sentire in primo luogo l’Unione europea, dimostrandosi più consapevole di una ineludibile verità: ciò che accade nel continente africano investe direttamente l’Europa e sempre di più la investirà. E, dunque, l’Europa non può chiudere gli occhi su un dramma che si consuma alle porte di casa.
La tragedia nascosta del Sudan
Mentre ogni giorno siamo informati sui drammatici eventi che sconvolgono il Medio Oriente e il fronte ucraino-russo, scarse informazioni giungono sulla tragedia che si consuma da più di un anno in Sudan, sconvolto da una guerra civile che miete centinaia di migliaia di vittime e distruzioni devastanti.
Caduta sull’onda di una rivolta popolare nel 2019 la feroce trentennale dittatura di Al Bashir, dopo aver conosciuto una breve transizione democratica (2019/2021), il Sudan è stato nuovamente precipitato nel buio da un colpo di Stato perpetrato dai generali Al Bouhrane e Hemetti che ben presto si sono reciprocamente contrapposti, l’uno - Al Bouhrane - a capo delle Forze Armate del Sudan (FAS) e l’altro - Mohammed Daglo, soprannominato “Hemetti” - a capo delle milizie delle Forze di intervento rapido (FSR). Una contrapposizione che ha diviso territorialmente il Paese, l’est sotto il controllo del FAS, mentre l’ovest ricco di bacini minerari di oro sotto il controllo del FSR.
Come ormai accade in molti conflitti, anche questa guerra vede coinvolti altri attori, in schieramenti peraltro assai disomogenei. Così Egitto, Arabia Saudita e Iran - pur divisi da molte ragioni di conflitto - sostengono il generale Al-Bouhrane, che raccoglie anche le simpatie di Turchia, Qatar, Algeria, Eritrea, nonché dei Fratelli Musulmani. Mentre il generale Hemetti beneficia dell’appoggio di Emirati, Ciad, Sud Sudan, Centrafrica e di Paesi dell’Africa orientale (Uganda, Kenya, Etiopia). Non manca chi gioca su entrambi i fronti come la Russia, che ufficialmente sostiene il FAS, ma schiera la Wagner a sostegno del FSR. E, infine, lo scenario risulta ancor più critico per la presenza di milizie “sciolte” di mercenari volta a volta al servizio di questo o quel contendente.
L’esito è una feroce guerra civile che da un anno e mezzo sta distruggendo il Sudan: la capitale Khartoum è in gran parte devastata, i ponti sul Nilo abbattuti, le scuole e l’università chiuse, gli ospedali svuotati delle strutture sanitarie essenziali, gran parte degli stabilimenti industriali incendiati. L’Unhcr stima in 8 milioni gli sfollati e centinaia di migliaia sono le vittime innocenti di efferate violenze, come a Al-Genina, dove 25.000 persone sono state eliminate in un massacro etnico compiuto dalle milizie del generale Hemetti.
Una devastazione che le parti in conflitto cercano di nascondere agli occhi del mondo, cacciando ONG e associazioni umanitarie e impedendo l’ingresso di giornalisti e operatori dell’informazione. Non sono mancati i tentativi di mediazione, in particolare degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, senza tuttavia ottenere che sporadiche brevi tregue, immediatamente violate ora dall’uno, ora dall’altro contendente. Ma proprio la gravità della crisi non consente di rassegnarsi.
È un dovere morale e politico agire per bloccare la guerra civile che devasta il Sudan, paese peraltro attiguo ad una regione, il Sahel, sconvolto negli ultimi anni da colpi di stato militari e penetrazione dell’estremismo islamista. Fermare quella guerra è una responsabilità che deve sentire in primo luogo l’Unione europea, dimostrandosi più consapevole di una ineludibile verità: ciò che accade nel continente africano investe direttamente l’Europa e sempre di più la investirà. E, dunque, l’Europa non può chiudere gli occhi su un dramma che si consuma alle porte di casa.
------------------------------------------
Pubblicato su HuffPost Italia