Ancorché più di mille chilometri le separino, Moldavia e Georgia sono segnate da molte similitudini.
Entrambe le nazioni hanno acquisito l’indipendenza con la dissoluzione dell’Urss di cui facevano parte. Una indipendenza non scontata, stante che la integrità territoriale di entrambe è tuttora insidiata dal separatismo filorusso che ha dato vita a secessioni - sostenute e riconosciute da Mosca - in TransNistria nella Moldavia, in Abkazia e Ossezia in Georgia.
Entrambe le società sono percorse da un’aspra contrapposizione tra chi punta all’integrazione nell’Unione europea e chi guarda con nostalgia a Mosca. In entrambi i Paesi sono due donne democratiche a guidare il Paese - Maia Sandu in Moldavia, Salomè Zourabichvili in Georgia - a cui si oppongono in entrambi i Paesi oligarchi filorussi che ricorrono a ogni sorta di mezzo - a partire dalla corruzione e dalla intrusione digitale - per ostacolare la prospettiva europea.
Uno scenario plasticamente fotografato dai risultati elettorali in Moldavia e Georgia.
Dalle urne moldave la Presidente uscente Maia Sandu, proeuropea, è risultata la prima eletta con una maggioranza relativa (42.5%) che la obbligherà ad un ballottaggio contro un candidato filorusso su cui potranno convogliare i loro voti gli altri sei candidati filorussi del primo turno. E nel referendum sull’inserimento in Costituzione della irreversibilità della scelta europea l’elettorato si è diviso in parti uguali; 50,45 a favore, 49,55 contrari.
Con rapporti di forza rovesciati, scenario analogo è uscito dalle urne in Georgia: il partito di governo “Sogno Georgiano”, con forti tratti autocratici e filorussi, rivendica una vittoria duramente contestata dall’opposizione democratica che denuncia brogli, irregolarità e intimidazioni confermate anche dagli osservatori delle istituzioni internazionali.
In entrambi i casi si prefigura una fase di grande instabilità e di accesa conflittualità politica che rischiano di mettere in forse il cammino di integrazione europea dei due Paesi. Sarebbe grave miopia relegare quelle dinamiche a vicende locali. In realtà Moldavia e Georgia sono i tasselli di uno scenario segnato dalla contrapposizione tra campo occidentale e Russia. In gioco sono il futuro democratico di quelle nazioni, le prospettive dell’Unione europea e la sicurezza del continente.
Mosca non solo non ha mai accettato il ridimensionamento subíto con il crollo del campo comunista e la dissoluzione dell’Urss - e con l’affermarsi di un bipolarismo USA-Cina - ma soprattutto vede nella integrazione europea di territori appartenenti a quel che Putin considera “spazio russo” un’insidia alla sicurezza e alla sovranità di Mosca. Di qui una strategia per costruire ai suoi confini una “security belt”, una cintura di sicurezza attraverso il controllo dei paesi confinanti perseguito aggredendo l’Ucraina e annettendone i territori occupati; foraggiando forze filorusse in Moldavia e Georgia e fomentandone il separatismo interno; facendosi garante della dittatura di Lukaschenka in Bielorussia; utilizzando l’Unione economica eurasiatica per legare a sé i paesi della regione. E stabilendo relazioni con Iran e Turchia, anche per contenere i rischi di penetrazione dell’estremismo islamico nelle repubbliche musulmane della Russia meridionale. Ed è parte di questa strategia anche il tentativo di condizionare le dinamiche nei Balcani grazie a regimi amici in Serbia e nella Serpska bosniaca, nonché di indebolire la coesione dell’UE, contando sulla complicità dei governi di Ungheria e Slovacchia e sulle pulsioni filorusse presenti nei partiti sovranisti europei.
D’altra parte Putin proprio in questi giorni, nel vertice di Kazan, ha ancora una volta ribadito l’obiettivo ambizioso di costruire un nuovo ordine mondiale di cui è evidente manifestazione la scelta dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica) di aggregare i principali Paesi del Global South, dall’Egitto all’Iran, dall’Indonesia alla Nigeria, dall’Etiopia agli Emirati Arabi Uniti e perfino la Turchia.
Uno scenario che mette l’Unione europea di fronte a quesiti ineludibili: come sostenere l’Ucraina per consentirle di negoziare una pace giusta e sicura; in quali tempi portare a compimento i negoziati per l’integrazione nell’UE dell’Ucraina, dei Balcani e della Moldavia; come evitare che le lacerazioni che percorrono Georgia pregiudichino la democrazia di quel Paese e il suo percorso di avvicinamento all’Unione; come accelerare la costruzione di un sistema di difesa europea. E sullo sfondo il quesito più arduo: con quale strategia contenere l’aggressivo espansionismo russo e in prospettiva quali relazioni intessere con Mosca? Quesiti sulle cui risposte inciderà fortemente l’esito delle elezioni americane.
Moldavia e Georgia: voti che parlano anche a noi.
Ancorché più di mille chilometri le separino, Moldavia e Georgia sono segnate da molte similitudini.
Entrambe le nazioni hanno acquisito l’indipendenza con la dissoluzione dell’Urss di cui facevano parte. Una indipendenza non scontata, stante che la integrità territoriale di entrambe è tuttora insidiata dal separatismo filorusso che ha dato vita a secessioni - sostenute e riconosciute da Mosca - in TransNistria nella Moldavia, in Abkazia e Ossezia in Georgia.
Entrambe le società sono percorse da un’aspra contrapposizione tra chi punta all’integrazione nell’Unione europea e chi guarda con nostalgia a Mosca. In entrambi i Paesi sono due donne democratiche a guidare il Paese - Maia Sandu in Moldavia, Salomè Zourabichvili in Georgia - a cui si oppongono in entrambi i Paesi oligarchi filorussi che ricorrono a ogni sorta di mezzo - a partire dalla corruzione e dalla intrusione digitale - per ostacolare la prospettiva europea.
Uno scenario plasticamente fotografato dai risultati elettorali in Moldavia e Georgia.
Dalle urne moldave la Presidente uscente Maia Sandu, proeuropea, è risultata la prima eletta con una maggioranza relativa (42.5%) che la obbligherà ad un ballottaggio contro un candidato filorusso su cui potranno convogliare i loro voti gli altri sei candidati filorussi del primo turno. E nel referendum sull’inserimento in Costituzione della irreversibilità della scelta europea l’elettorato si è diviso in parti uguali; 50,45 a favore, 49,55 contrari.
Con rapporti di forza rovesciati, scenario analogo è uscito dalle urne in Georgia: il partito di governo “Sogno Georgiano”, con forti tratti autocratici e filorussi, rivendica una vittoria duramente contestata dall’opposizione democratica che denuncia brogli, irregolarità e intimidazioni confermate anche dagli osservatori delle istituzioni internazionali.
In entrambi i casi si prefigura una fase di grande instabilità e di accesa conflittualità politica che rischiano di mettere in forse il cammino di integrazione europea dei due Paesi. Sarebbe grave miopia relegare quelle dinamiche a vicende locali. In realtà Moldavia e Georgia sono i tasselli di uno scenario segnato dalla contrapposizione tra campo occidentale e Russia. In gioco sono il futuro democratico di quelle nazioni, le prospettive dell’Unione europea e la sicurezza del continente.
Mosca non solo non ha mai accettato il ridimensionamento subíto con il crollo del campo comunista e la dissoluzione dell’Urss - e con l’affermarsi di un bipolarismo USA-Cina - ma soprattutto vede nella integrazione europea di territori appartenenti a quel che Putin considera “spazio russo” un’insidia alla sicurezza e alla sovranità di Mosca. Di qui una strategia per costruire ai suoi confini una “security belt”, una cintura di sicurezza attraverso il controllo dei paesi confinanti perseguito aggredendo l’Ucraina e annettendone i territori occupati; foraggiando forze filorusse in Moldavia e Georgia e fomentandone il separatismo interno; facendosi garante della dittatura di Lukaschenka in Bielorussia; utilizzando l’Unione economica eurasiatica per legare a sé i paesi della regione. E stabilendo relazioni con Iran e Turchia, anche per contenere i rischi di penetrazione dell’estremismo islamico nelle repubbliche musulmane della Russia meridionale. Ed è parte di questa strategia anche il tentativo di condizionare le dinamiche nei Balcani grazie a regimi amici in Serbia e nella Serpska bosniaca, nonché di indebolire la coesione dell’UE, contando sulla complicità dei governi di Ungheria e Slovacchia e sulle pulsioni filorusse presenti nei partiti sovranisti europei.
D’altra parte Putin proprio in questi giorni, nel vertice di Kazan, ha ancora una volta ribadito l’obiettivo ambizioso di costruire un nuovo ordine mondiale di cui è evidente manifestazione la scelta dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, SudAfrica) di aggregare i principali Paesi del Global South, dall’Egitto all’Iran, dall’Indonesia alla Nigeria, dall’Etiopia agli Emirati Arabi Uniti e perfino la Turchia.
Uno scenario che mette l’Unione europea di fronte a quesiti ineludibili: come sostenere l’Ucraina per consentirle di negoziare una pace giusta e sicura; in quali tempi portare a compimento i negoziati per l’integrazione nell’UE dell’Ucraina, dei Balcani e della Moldavia; come evitare che le lacerazioni che percorrono Georgia pregiudichino la democrazia di quel Paese e il suo percorso di avvicinamento all’Unione; come accelerare la costruzione di un sistema di difesa europea. E sullo sfondo il quesito più arduo: con quale strategia contenere l’aggressivo espansionismo russo e in prospettiva quali relazioni intessere con Mosca? Quesiti sulle cui risposte inciderà fortemente l’esito delle elezioni americane.
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