Le nuove sfide per l’Europa liquida

5 Dicembre 2024
Massimo Nava - Editorialista Corriere della Sera

Vittoria di Trump, guerra in Ucraina, instabilità nell'Est Europa - Romania, Georgia, Moldavia - in bilico fra ambizioni europee e pressioni filorusse, necessiterebbero di un’Europa forte e coesa, al cui centro dovrebbe funzionare a regime il motore franco tedesco, condizione necessaria (ma non sufficiente) ai destini del Vecchio Continente. Succede il contrario. La Germania è in profonda crisi dopo le dimissioni del cancelliere Olaf Scholz e si prepara a incerte elezioni anticipate. La Francia ha visto cadere dopo soli due mesi il governo di Michel Barnier, impallinato da una mozione di censura votata dall’estrema sinistra e dall’estrema destra unite. Una drammatica primizia nella storia del Paese. La crisi francese è politica, istituzionale e finanziaria, con un debito pubblico fuori controllo non curabile con la rissa permanente fra partiti. Quella della Germania è una crisi d’identità che obbliga i tedeschi a un profondo ripensamento del modello economico e industriale. 
Oggi, le crisi interne a Berlino e Parigi paralizzano la collaborazione fra le due sponde del Reno e l’iniziativa diplomatica sulla scena internazionale. L’instabilità in Francia e la rottura della coalizione in Germania hanno indebolito la leadership dei due Paesi sulla scena europea. E se il motore è inceppato, le conseguenze si avvertono in tutta la Ue, proprio mentre il quadro internazionale richiederebbe una reazione, una strategia e misure concrete, magari accogliendo alla lettera e nell’immediato i contenuti del rapporto Draghi. Il declino può essere recuperato con politiche innovative che mobilitino la ricchezza europea trasformandola in investimenti.
E occorre un profondo ripensamento della politica di difesa e dell’azione diplomatica proprio in considerazione del quadro internazionale complicato e delle assai probabili conseguenze della politica estera americana sotto la guida di Donald Trump. Oggi più che mai l’autonomia di pensiero e di azione dovrebbero essere un pre requisito di qualsiasi iniziativa: il che non è in contraddizione con la condivisione di valori e alleanze. 
La guerra in Ucraina ha cambiato molti scenari in Europa. L’allargamento della Nato ai paesi baltici e a nuovi membri ad Est sposta in quella direzione anche il baricentro del vecchio continente. Una nuova “cortina di ferro” si profila ad est, disegnando una nuova frattura e una nuova confrontazione permanente. Forse un nuovo equilibrio della paura. Difficile trarre conclusioni affrettate. Certo è che le memorie di Angela Merkel, pubblicate in questi giorni, giungono a proposito, laddove rivelano e confermano l’analisi secondo cui la marcia di avvicinamento dei Paesi dell’Est alla Nato avrebbe potuto produrre l’arrocco del Cremlino e innescare un’epoca di tensioni incontrollate. 
L’Europa non può lasciare alla sola Casa Bianca l’iniziativa di un percorso di pace che - stando almeno ai propositi di Trump - metterebbe in discussione la linea di incondizionato sostegno a Kiev fin qui sostenuta da Bruxelles (con qualche distinguo da parte ungherese).  La narrazione già scritta racconta, in sintesi, che dovremo sbrigarcela da soli per quanto riguarda difesa europea, contributo finanziario alla Nato e costi della ricostruzione dell’Ucraina. Trump cercherà il dialogo con Putin, rimescolando le carte dei rapporti diplomatici e commerciali con la Russia e la Cina. Persino il nostro impegno per il clima subirà un’inevitabile battuta d’arresto, dato che il “trumpismo” significa anche ricadute sulle borse, sul dollaro, sul deficit pubblico americano, sulle fonti energetiche tradizionali, sui dazi. 
Una volta riaffermati i capisaldi storici e irreversibili della politica europea - alleanza atlantica e amicizia con gli Stati Uniti - sarà obbligatorio anche questa volta adeguarsi? Se davvero l’Europa sarà costretta ad uno sforzo finanziario per la difesa e a sopportare il peso della ricostruzione dell’Ucraina, non potrebbe essere questa l’occasione per costruire una politica estera e rapporti economici e finanziari più autonomi e meno condizionati dalla Casa Bianca? Se il “trumpismo” è un valore di riferimento anche per una parte dell’elettorato europeo, quali valori civili e culturali (diritti delle donne, integrazione dei migranti, protezioni sociali, assistenza medica, economia sociale di mercato, libertà di opinione e così via) l’Europa è ancora in grado di difendere e di offrire come modello alternativo a un mondo inclinato verso il nazionalismo identitario e la negazione di valori occidentali?