Rendere l'Italia e l'Europa più forti: due facce della stessa medaglia
L’articolo di Marco Piantini pubblicato sul sito del CeSPI (Quale europeismo? Sette domande in attesa di risposta) ha avuto il duplice merito di porre questioni profonde e ormai ineludibili per le forze europeiste che in Italia si devono preparare all’appuntamento delle europee dell’anno prossimo, e di aprire un dibattito ricco di contributi stimolanti. Vorrei provare a sviluppare a mia volta qualche riflessione, come federalista europea, ossia come persona impegnata da tanti anni nella battaglia per il progetto di un’Europa unita e solidale, laboratorio per un nuovo modello di convivenza tra i popoli nell’epoca dell’interdipendenza globale, nel solco di quello che lo stesso Marco definisce “il federalismo spinelliano”.
Innanzitutto due premesse: la prima è che condivido pienamene il monito iniziale dell’articolo, ossia che per contrastare la marea montante del nazionalismo e della demagogia le forze politiche pro-europee oggi debbano saper sviluppare un nuovo patriottismo nazionale ed europeo e utilizzare con efficacia il razionalismo, come riferimenti culturali e politici. La seconda è che concordo anche sul fatto che l’europeismo non possa non essere un insieme più ampio rispetto a quello del federalismo di matrice spinelliana o a quello composto dagli “esperti” che vivono in diversi contesti il mondo delle istituzioni e delle politiche dell’Unione europea, e che hanno maturato una conoscenza e un coinvolgimento profondi circa i meccanismi comunitari e la realtà europea attuale. Nel secondo caso, per ragioni pratiche evidenti. Nel primo perché è proprio del federalismo spinelliano essere altro dalla politica normale, quella che si confronta con i cittadini nell’esercizio del governo o dell’amministrazione e nella ricerca del consenso elettorale; e pertanto, è innanzitutto il federalismo spinelliano ad essere destinato a rimanere un elemento dialettico sui generis, che interagisce con gli altri attori restando estraneo al quadro di potere – che invece è il quadro in cui si muovono le forze politiche normali, incluse quelle pro-europee – nel processo di costruzione dell’unità dell’Europa, fino a che non si arriverà alla creazione di un vero e proprio potere politico europeo, di natura necessariamente federale (se deve essere un potere effettivo e democratico e se non deve essere centralizzatore e non deve eliminare l’indipendenza degli Stati membri, che invece il principio federale di sussidiarietà garantisce). Questo non toglie che il federalismo europeo possa (e debba) essere un riferimento politico e culturale per l’europeismo.
Con questa prospettiva, partirei dalla seconda domanda posta da Piantini, quella che si interroga sul grado di consapevolezza oggi nelle forze pro-europee circa il legame che esiste tra la questione europea, come questione politica del nostro tempo, e la questione democratica. Mi sembra di dover condividere il dubbio che l’europeismo (con una deriva che va fatta risalire, a mio parere, ad un allontanamento progressivo della cultura europeista da quella federalista a partire dalla fine degli anni Novanta, in seguito ai processi sviluppatisi con la caduta del blocco sovietico e con lo stesso Trattato di Maastricht) si accontenti in molti casi di una visione superficiale del progetto europeo; e che pertanto debba ancora maturare la consapevolezza e le conoscenze adeguate per poter fare – come sarebbe necessario – della battaglia per l’Europa il punto centrale della propria strategia. Sembra sfuggire ancora alle forze pro-europee il fatto che il sostegno al rafforzamento del quadro europeo costituisce un riferimento assoluto (a maggior ragione oggi, nel momento in cui è messo in pericolo dalle forze nazionaliste) per quella parte – comunque consistente – della società che per varie ragioni è naturalmente indirizzata a dare il proprio consenso alla visione aperta che il progetto europeo incarna: una visione liberal-democratica, fondata sul modello dell’economia sociale di mercato e sull’idea che esiste un interesse comune degli Europei, che riconosce l’utilità di una solidarietà spontanea tra popoli organizzati in istituzioni comuni; e che, inoltre, ci sono terreni politici e culturali che in un’ottica europea possono essere contesi con straordinario successo (se si ha la forza di una visione lucida e coraggiosa) alle forze della demagogia, in particolare nel campo ambientale e della difesa dei consumatori.
Perché le forze pro-europee maturino questa presa di coscienza e questa capacità serve però un salto culturale e politico; ed è qui che il federalismo europeo può essere utile. Innanzitutto, sul piano culturale, per l’analisi profonda che ha sviluppato nei decenni (anticipando in molti aspetti i processi oggi in corso) circa il legame che esiste tra la battaglia per l’unità europea e la battaglia per il governo della globalizzazione, per la nascita di un ordine internazionale cooperativo, capace di perseguire stabilità, sviluppo e gradi crescenti di integrazione a livello mondiale, e per il rafforzamento della democrazia come sistema politico. E in secondo luogo sul piano politico per capire la natura (anomala e rivoluzionaria) della battaglia per l’unità dell’Europa, e poter quindi cogliere il nesso tra la battaglia per la creazione di istituzioni sovranazionali e la battaglia per le competenze e le politiche europee; per ragionare su quali passaggi rendono possibile la nascita di un potere sovranazionale, su quali sono i punti specifici su cui avviene la condivisione di sovranità, quali sono i ruoli dei governi, delle forze politiche, di quelle sociali, per realizzare questi passaggi e come coinvolgere i cittadini.
E’ un cambiamento innanzitutto psicologico che è necessario compiere; un cambiamento difficile, perché implica il pensare di perseguire battaglie politiche che vanno oltre quella per la conquista del potere nazionale – che rimane comunque la priorità e che bisogna saper conciliare con la nuova centralità dell’Europa, imparando a chiedere il consenso per rendere insieme l’Italia e l’Europa più forti, come due facce della stessa medaglia. Anche in vista delle elezioni europee, diventa indispensabile uscire dall’ottica “comunitarista” di chi lavora nelle istituzioni europee, di cui parlavamo all’inizio; un’ottica in base alla quale si cerca di ottimizzare quello che il sistema attuale può fare e dare, di riformarlo ove possibile, ma senza porsi il problema di cambiarne la natura. Invece il punto è proprio quello di presentarsi agli elettori spiegando il nesso tra la costruzione (ancora da realizzare) di una sovranità europea e la capacità di perseguire molto meglio gli interessi dei cittadini, di avere il potere di proteggerli meglio, di difenderli meglio, di creare sviluppo e ricchezza, e quindi anche risorse da redistribuire, di promuovere il lavoro e l’occupazione e quindi maggiori possibilità di fare politiche sociali efficaci; di affrontare alla radice il problema migratorio – che è il problema degli effetti delle guerre e della diseguaglianza nel mondo –, avendo al tempo stesso molti più strumenti per garantire l’integrazione di chi si trasferisce sul nostro continente per cercare nuove opportunità di vita.
E’ così evidente che gli Europei vincono insieme o perdono tutti; basta saper associare questa immagine a quella di un’Europa che deve essere resa capace di crescere, ovunque, e che deve poter essere solidale in modo strutturale, e non sulla base di una lacerante contrapposizione tra opinioni pubbliche nazionali (come è ora). In questa ottica l’indispensabile senso di responsabilità che deve caratterizzare ogni paese – sul piano delle finanze pubbliche, ma anche su quello della buona politica – per rispetto innanzitutto verso se stesso, e insieme verso i propri partner, diventa molto più chiaro.
Per rendere questi discorsi credibili serve però un ulteriore passaggio, ed è quello di un progetto preciso e di proposte capaci di portare questa Europa a diventare l’Europa che serve oggi agli Europei, nell’epoca della rivoluzione tecnologica, dello sviluppo della Cina, del nazionalismo americano, dell’avanzare del modello “illiberale”. Anche qui il federalismo europeo può aiutare. Giustamente ogni forza politica mantenga la sua caratteristica di destra o di sinistra, declini le risposte politiche in base alla propria specifica sensibilità, proponendo versioni variegate del modello europeo dell’economia sociale di mercato. Le coalizioni si fanno dopo le elezioni, ma questo non toglie che si possa trovare un terreno comune a partire dal quale le forze europeiste possono sfidare insieme le forze nazionaliste e illiberali. Quando la democrazia è in pericolo le forze democratiche devono saper fare fronte comune contro chi vuole abbattere il sistema. Lo stesso vale oggi in Europa; la differenza è che i democratici del XXI secolo devono coniugare la difesa della democrazia con il suo rilancio a livello europeo, preparandosi a creare tutti insieme un sistema di istituzioni di natura federale, grazie al quale poi perseguiranno le loro diverse politiche. Nell’ambito dei contributi che sono stati scritti anche per questo dibattito (in quelli di Moscovici e di Messori in particolare), sono già emerse con chiarezza le riforme che occorre perseguire per completare l’unione monetaria con l’unione economica, fiscale e politica, con un bilancio ad hoc per gli investimenti e con strumenti comuni di natura sociale; e quelle per rafforzare il quadro delle politiche comuni nel campo della gestione dei flussi migratori e della sicurezza interna ed esterna. Sono le riforme su cui cercano di convergere in questi mesi anche i governi di Francia, Germania, Spagna, Portogallo, con gli altri paesi che vorranno unirsi. Non si tratta di separare il progetto del Mercato da quello dell’unione politica, abbandonando il primo nelle mani degli euroscettici perché lo facciano deragliare. Si tratta piuttosto di prendere atto delle diverse volontà che al momento impediscono di far avanzare tutti i paesi membri verso un obiettivo comune; e si tratta di creare un’avanguardia che apra la strada, un magnete che dia forza al cuore dell’Europa per contrastare le spinte centrifughe, che riconquisti i cittadini alla visione europea, e in realtà rafforzi anche il Mercato costruendo al suo interno un nucleo di comunità politica sovranazionale che esprima finalmente le potenzialità insite nel progetto dell’unità.
All’europeismo, che tra poco più di nove mesi, si misurerà per fermare l’onda nazionalista, non serve poi molto per attrezzarsi in vista di quella scadenza decisiva. Gli elementi sono stati preparati a lungo, basta solo avere il coraggio di farli propri e di confrontarsi con i cittadini, che non chiedono di meglio. Il serbatoio di cultura democratica ed europeista che le nostre società hanno al proprio interno aspetta solo che si abbia il coraggio di fare la battaglia giusta.