La democrazia in Europa
1) L'anomalia della democrazia europea.
La democrazia europea non si fonda sulle stesse basi delle democrazie nazionali.
La diversità del sistema istituzionale in vigore nell'Unione europea (nonché l'esistenza di Istituzioni che adempiono funzioni diverse da quelle vigenti negli Stati nazionali) spiega perché il principio della separazione dei poteri descritto da Montesquieu (e applicato nella quasi-totalità dei regimi costituzionali nazionali) non è applicato in seno all'Unione europea. Come disse il Vice-Presidente della Convenzione europea Giuliano Amato nel suo intervento il 28 febbraio 2002 “Montesquieu non ha mai visitato Bruxelles”. Infatti, il sistema istituzionale creato dai Trattati di Roma e modificato in parte dai trattati successivi (compreso l'ultimo Trattato di Lisbona) ha previsto la creazione di un'Istituzione – quale la Commissione europea – che partecipa all'esercizio dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) anche se non ha l'esercizio esclusivo di nessuno dei tre. La Commissione europea partecipa all'esercizio del potere legislativo tramite la quasi esclusività del suo diritto di iniziativa legislativa (all'eccezione della cooperazione giudiziaria, tutte le leggi europee richiedono una proposta della Commissione), condivide con il Consiglio il potere esecutivo (circa 2.000 atti esecutivi o delegati sono adottati ogni anno dalla Commissione) e partecipa persino all'esercizio del potere giudiziario poiché può vietare un aiuto nazionale o una concentrazione di imprese ed imporre una multa alle imprese che hanno violato la concorrenza. Beninteso, questi poteri quasi-giudiziari sono esercitati sotto il controllo della Corte europea di Giustizia ma in mancanza di un appello alla Corte è la decisione della Commissione che si impone. Questa anomalia – benché giustificata dal fatto che un'Istituzione come la Commissione europea non esiste nei sistemi nazionali – non è la sola nel sistema costituzionale europeo. Nell'Ue il Parlamento europeo non ha il potere di presentare proposte legislative ma solo di chiedere un'iniziativa legislativa alla Commissione europea (che potrebbe tuttavia rifiutare di dare seguito a tale richiesta fornendo una motivazione). Inoltre il Consiglio dei Ministri europeo esercita sia funzioni legislative che esecutive previste dai Trattati (per esempio in materia di politica estera) e può anche auto-delegarsi nuove funzioni esecutive (nei settori di competenza dell'Ue dove può adottare una legge europea senza l'accordo del PE, per esempio nei settori della fiscalità e di una parte della politica sociale). Un'altra anomalia del sistema europeo era la possibilità che la Commissione completi o modifichi una legge europea senza l'accordo del legislatore (!), facoltà soppressa dal Trattato di Lisbona che richiede ormai l'accordo (tacito o esplicito) del legislatore per l'adozione di atti delegati (= decreti legislativi) da parte della Commissione. Infine, un'altra anomalia esistente nei trattati di Roma era la possibilità per il Parlamento europeo di censurare l'azione della Commissione europea mentre lo stesso PE non aveva alcuna voce in capitolo per approvare la nomina di una nuova Commissione (il che impediva de facto al PE di esercitare tale potere di censura che avrebbe potuto avere un risultato opposto a quello ricercato). Tale anomalia è stata soppressa dal Trattato di Maastricht che ha accordato al PE il potere di votare la fiducia ad una nuova Commissione, a cui si è aggiunta l'iniziativa dello stesso PE di procedere ad audizioni individuali dei membri designati di una nuova Commissione prima di votare la fiducia all'intero collegio. Come sappiamo, alcuni membri della Commissione designati dai governi nazionali, quali ad esempio l'allora Ministro Buttiglione, non sono stati riconosciuti idonei, a torto o a ragione, all'esercizio della loro funzione di commissario europeo e pertanto il governo proponente è stato obbligato a sostituirli per evitare la bocciatura dell'intero collegio. Questo significa che la critica indirizzata ai Commissari europei di non essere eletti non è interamente fondata poiché, come anche alcuni membri dei governi nazionali, pur non essendo eletti, sono comunque responsabili di fronte ad un Parlamento eletto direttamente dai cittadini.
Malgrado i miglioramenti apportati al sistema istituzionale dell'Ue, molti accademici ed analisti della costruzione europea ritengono dagli anni '90 in poi che l'Ue soffre di un “deficit democratico”. Secondo il Prof. Philippe Schmitter, il sistema di governo dell'Europa non è una democrazia e non lo diventerà finché gli Stati membri non decideranno di darsi nuove regole e diritti (in un suo saggio P. Schmitter ironizza sul fatto che l'UE non potrebbe aderire a sé stessa poiché non rispetterebbe i criteri di democraticità – quali lo Stato di diritto – richiesti ai paesi candidati all'adesione). Secondo un altro analista della costruzione europea (il Prof. Joseph Weiler) l'Unione europea sarà democratica solo quando i cittadini europei potranno “mandare a casa” i loro governanti dopo un'elezione europea (dato che, come abbiamo visto, il Presidente e i membri della Commissione europea dipendono dal voto di fiducia del PE, dobbiamo supporre che il Prof. Weiler consideri come “governanti” il Presidente e i membri del Consiglio europeo la cui entrata in funzione non è in effetti influenzata dalle elezioni europee). Questa critica del sistema di governo dell'Ue è avvalorata da un'altra anomalia che si è progressivamente affermata nel corso del processo d'integrazione. Mentre le leggi europee sono votate secondo un processo di decisione qualificato come “metodo comunitario”( proposte della Commissione europea soggetta al controllo e al voto di fiducia del PE, decisioni a maggioranza del Consiglio – dove spesso la Germania è messa in minoranza -, co-decisione con il PE e controllo della Corte europea di giustizia), le decisioni più importanti in materia di governance della moneta unica, di politica estera, di cooperazione giudiziaria e di bilancio pluriennale dell'UE sono prese in realtà dal Consiglio europeo all'unanimità (dove il peso e il voto della Germania sono preponderanti). Mentre inizialmente il Consiglio europeo si limitava a dare impulsi ed orientamenti politici generali alle altre Istituzioni dell'UE, ormai da parecchi anni il Consiglio europeo si è attribuito il ruolo di gestore permanente dell'Unione economica e monetaria (riunendosi ben 33 volte dall'inizio della crisi economica e finanziaria). In questo campo il Consiglio europeo ha preso delle decisioni – come quella in data 8 Giugno 2010 che impose alla Grecia di ridurre le pensioni, le allocazioni sociali, il numero degli impiegati pubblici e addirittura il numero dei giorni festivi – qualificate da analisti dell'integrazione europea come “il più pesante intervento dell'UE nelle responsabilità nazionali dotato della minore legittimità” (in quanto largamente al di fuori delle competenze dell'UE). Una critica analoga può essere mossa nei riguardi della famosa lettera della BCE del 5 Agosto 2011 in cui la BCE chiede al governo italiano di adottare specifiche ed incisive misure economiche, quali la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro. Tali richieste vanno al di là dei compiti affidati dai trattati alla BCE che riguardano essenzialmente “la gestione della politica monetaria dell'Unione” (art. 282 del TFUE). Pertanto sia la decisione del Consiglio europeo nei riguardi della Grecia che la lettera della BCE al governo italiano hanno creato dei “precedenti” per la governance economica dell'Unione poiché implicano di fatto una competenza di quest'ultima ad imporre precisi obblighi di politica economica in materie di competenza nazionale (senza alcun intervento degli organi parlamentari - né del PE né dei Parlamenti nazionali - che sono stati solo informati ex-post). Alcuni analisti dell'integrazione europea hanno messo in dubbio il rispetto di un principio democratico fondamentale – quale “no taxation without representation” - nelle misure di austerità imposte dall'UE agli Stati beneficiari degli aiuti europei.
Tuttavia, non sono unicamente le intromissioni del Consiglio europeo e della BCE nelle competenze nazionali (senza un controllo parlamentare adeguato) ad aumentare il “deficit democratico “ dell'Unione europea. Anche lo stesso Parlamento europeo non è riuscito finora ad imporsi come un'Istituzione realmente rappresentativa dei cittadini europei. La procedura elettorale europea prevede infatti che ogni Stato elegga i suoi rappresentanti al PE sulla base di un'elezione nazionale in cui i cittadini votano loro connazionali senza che esistano liste transnazionali europee. A questo difetto strutturale si aggiunge l'assenza di veri e propri partiti politici europei nonché l'impossibilità per il cittadino europeo di influenzare direttamente la nomina di un governo europeo e la scelta di un programma di legislatura. Le elezioni europee sono in realtà elezioni nazionali basate su liste di candidati nazionali e non transnazionali, scelti da gruppi politici che non presentano programmi alternativi ma solo manifesti alquanto vaghi e fortemente simili tra di loro (almeno per i tre principali gruppi politici). Questi limiti producono un effetto diretto sul comportamento dei deputati europei poiché questi ultimi non rappresentano i cittadini europei ma in realtà i cittadini dei loro paesi di provenienza. Questo spiega perché i deputati francesi votano in blocco le misure di politica agricola proposte dalla Commissione europea in modo conforme agli interessi nazionali, i deputati tedeschi si esprimono criticamente sulle proposte che aumentano il contributo finanziario della Germania al bilancio europeo, i deputati dei paesi meno prosperi approvano senza riserve le proposte che aumentano le risorse dei Fondi strutturali europei, ecc...
Se si dovesse riassumere la recente governance dell'Unione economica e monetaria, si potrebbe affermare che la crisi del 2008 ha prodotto la nascita di un governo informale della zona Euro al di fuori di un processo democratico. Un direttorio informale che associa la Commissione europea, la BCE, i governi e le amministrazioni nazionali del Tesoro interviene nel cuore delle politiche economiche e sociali degli Stati membri, vale a dire nella definizione dei bilanci nazionali, della fiscalità e persino nelle politiche sociali sotto il segno dell'austerità senza tuttavia promuovere una reale crescita economica a livello europeo. Tutto questo avviene senza un reale controllo democratico, né in seno al Parlamento europeo né a livello dei Parlamenti nazionali. Per questo motivo alcuni economisti e analisti dell'integrazione europea hanno proposto una modifica dei trattati europei in cui la creazione di un Ministro europeo delle Finanze sarebbe condizionata al varo di un bilancio autonomo della zona Euro che disponga di nuove risorse proprie e alla creazione di un Parlamento dell'Euro-zona composto di deputati nazionali ed europei che possano controllare l'attività del nuovo Ministro europeo.
2) La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 30 Giugno 2009.
La Corte costituzionale tedesca – considerata la più scrupolosa nella difesa dei principi democratici ha cercato senza successo di dare una risposta univoca alla domanda seguente : una nuova democrazia sovranazionale europea deve necessariamente fondarsi sugli stessi principi costituzionali che sono alla base delle democrazie parlamentari nazionali ? Nella citata sentenza del 30 Giugno 2009, la Corte tedesca da un lato ha riconosciuto che la democrazia sovranazionale europea non può fondarsi necessariamente sugli stessi principi della democrazia nazionale (si veda il paragrafo 227 della sentenza), dall'altro ha contraddetto questa affermazione quando ha ritenuto che il Parlamento europeo non rispetti nella sua composizione il principio “one man, one vote”, proprio degli Stati nazionali (si veda i paragrafi 285-286 della sentenza), dimenticando che una composizione interamente proporzionale darebbe ai piccoli Stati (Lussemburgo, Malta, Cipro, ecc.) un solo deputato europeo contro i circa 200 deputati della Germania.
3) Riforme possibili della democrazia europea
Sarebbe certamente possibile modificare le regole attuali della governance istituzionale europea al fine di introdurre nuovi meccanismi di maggiore democraticità. Tuttavia, senza entrare nel merito delle riforme possibili, va ricordato che a causa delle attuali regole in vigore per la revisione dei trattati europei, occorreranno almeno tre anni per l'entrata in vigore di un nuovo Trattato. Nel frattempo, occorre chiedersi se non sia possibile introdurre nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini al processo decisionale europeo al fine di contrastare l'attuale sfiducia dell'opinione pubblica nei riguardi del progetto europeo e la corrispondente ascesa delle forze cosiddette populiste in vari paesi dell'Unione. Senza il sostegno dell'opinione pubblica non sarà infatti possibile completare il processo d'integrazione europea sul piano politico. Il Trattato di Lisbona aveva introdotto il nuovo strumento dell'iniziativa dei cittadini europei (ICE) che permette ad un milione di cittadini di almeno sette Stati membri di chiedere alla Commissione europea la presentazione di nuove leggi europee. Tuttavia questo strumento non ha prodotto gli effetti sperati poiché la Commissione europea non ha ritenuto finora di dare seguito alle tre/quattro iniziative dei cittadini europei che hanno raccolto un milione di firme (acqua pubblica, protezione dell'embrione umano, divieto della vivisezione). Occorrerebbe quindi che il PE si impegni a riprendere a suo conto le iniziative dei cittadini europei e che la Commissione decida di dare un seguito positivo ad alcune di esse. Inoltre la Commissione dovrebbe associare maggiormente le organizzazioni della società civile al processo decisionale europeo utilizzando i meccanismi di consultazione già esistenti o creandone di nuovi. Infine, se l'Unione europea volesse riconquistare il sostegno dell'opinione pubblica al progetto europeo, essa dovrebbe adottare misure legislative che apportino vantaggi concreti e misurabili al cittadino europeo (per esempio un'indennità europea di disoccupazione e/o un reddito minimo europeo). Non dimentichiamo che dopo la crisi economico-finanziaria del 2008, l'amministrazione Obama ha varato un piano di sviluppo economico con una spesa del governo federale di 785 miliardi di dollari mentre l'UE si è limitata ad utilizzare circa 21 miliardi del bilancio europeo per promuovere un Fondo per gli investimenti che avrebbe dovuto stimolare nuovi investimenti per un totale di 315 miliardi di Euro in tre anni. Come diceva il compianto Tommaso Padoa-Schioppa : “Il rigore finanziario incombe agli Stati ma lo sviluppo economico incombe all'Unione europea”.