Europa – Africa: rinnovare il partenariato investendo sui giovani

Sandro De Luca
Responsabile Area - Africa presso il CISP

Una riflessione sulle relazioni fra Europa e continente africano, sulle prospettive di sviluppo e sul ruolo che può giocare l’aiuto non può prescindere dai grandi cambiamenti avvenuti dentro e fuori il sistema della cooperazione internazionale. La moltiplicazione delle agende geopolitiche attive nel continente, il parallelo incremento della competizione e la riduzione del peso e della rilevanza dei paesi occidentali da un lato, il cambiamento strutturale di prospettiva indotto dall’adozione dell’agenda 2030, i processi globali legati al cambiamento climatico ed alla mobilità internazionale sono fra gli elementi di un paesaggio profondamente modificato con cui il partenariato e la cooperazione fra Africa ed Europa devono misurarsi. 

Un tema cruciale nell’agenda è rappresentato dalle prospettive demografiche del continente africano ed in particolare delle implicazioni dell’arrivo previsto sul mercato del lavoro dei paesi africani di una grande massa di giovani. Si parla di un deficit di 50 milioni di posti di lavoro per il 2040, in un contesto dove la fragilità e l'incertezza istituzionale non garantiscono in molti paesi quei livelli accettabili di stabilità e sicurezza che sembrano essere le precondizioni per attivare, ad esempio, investimenti privati all’altezza della sfida.  

I documenti di analisi e di policy di governi africani, le istituzioni europee e multilaterali e gli Stati membri dell’UE sono concordi nell’indicare questa come una delle principali questioni che l’Africa dovrà affrontare nei prossimi decenni. In mancanza di risposte in termini di opportunità di lavoro, crescita economica, inclusione sociale, si determineranno pressioni sui sistemi economici, politici e sociali che gli Stati sembrano incapaci di affrontare e che rischiano di determinarne il collasso. Il focus sulle fasce giovanili e la necessità di “investire” su queste ultime non è un tema nuovo: la African Youth Charter dell’Unione Africana, ratificata dalla maggior parte degli Stati membri, è del 2006. Recentemente il V Summit Unione Europea/Unione Africana del 2017 è stato esplicitamente dedicato a questo tema ed ha prodotto una dichiarazione finale focalizzata sull’investimento sui giovani per produrre una crescita inclusiva ed accelerata e uno sviluppo sostenibile. 

La realtà dei processi in atto contraddice tuttavia, in molti casi, gli impegni presi. Proprio la coerenza fra macropolitiche e processi locali su questi temi rappresenta uno dei banchi di prova cruciali per lo sviluppo del continente nei prossimi anni e per un efficace partenariato con l’Europa. Nella realtà, infatti, le istituzioni sembrano percepire più i rischi che le opportunità della transizione demografica in atto. L’incremento della popolazione giovanile viene spesso collegata a fenomeni di instabilità, estremismo, violenza politica, criminalità, migrazione irregolare, più che alla possibilità che questo porti con sé innovazione e a nuove energie per i processi di sviluppo. Percepire i giovani come una minaccia implica una attenzione alla risposta, intanto e soprattutto, repressiva che molti studi hanno dimostrato essere inefficace e controproducente proprio nella prospettiva, ad esempio, di ridurre i livelli di violenza e conflitto. L’incapacità di tradurre le visioni in clima politico e qualità della governance rischia di contribuire, nella logica di una profezia autorealizzante, all’esplosione delle frustrazioni di grandi masse di popolazioni. Una crescente conflittualità intergenerazionale e senso di esclusione delle fasce giovanili non è una caratteristica solo dei paesi africani, ma questi si caratterizzano per le dimensioni e, in alcuni casi, la violenza del fenomeno. 

A fronte della percezione delle profonde diseguaglianze generazionali e regionali, dei limiti strutturali alla mobilità sociale, la stessa crisi migratoria di questi anni rappresenta per i giovani africani un modo di “votare con i piedi”. Sempre più negli ultimi anni la migrazione appare come la manifestazione di una rottura del tessuto sociale da parte dei giovani e viene pianificata indipendentemente e talvolta contro la volontà della famiglie (per esempio nel caso del fenomeno del Tahriib dei giovani somali, considerato un disastro nazionale). I fenomeni migratori nell’Africa contemporanea si collocano a pieno nei processi che caratterizzano le popolazioni giovanili che ne sono protagonisti ed anche in questo caso è evidente la contraddizione fra approcci globali, che riconoscono la complessità del fenomeno e la necessità di gestirlo, e pratiche centrate sulla sua repressione.  

Per fronteggiare questa realtà è certamente cruciale garantire risorse e piani di sviluppo adeguati e promuovere un livello di investimenti e di crescita in grado di dare risposte ai bisogni occupazionali. D’altra parte, l’inclusione sociale dei giovani africani non dipenderà solo dall’integrazione in un mercato del lavoro reso incerto dalla fragilità dei contesti in cui si colloca. Questa idea di inclusione sociale troppo ristretta e rigida è destinata al fallimento se ignora le percezioni e le attese di una popolazione che deve a sua volta garantire energie e investimento personale perché diventi un processo sostenibile. Rischia quindi di non essere la soluzione al senso di esclusione e frustrazione della popolazione giovanile. Presentano problemi di questo tipo molti interventi di prevenzione della migrazione irregolare centrati sulla creazione di opportunità di reddito e impiego a breve termine che da un lato riconoscono la necessitò di intervenire sulle cause profonde del fenomeno e dall’altro devono garantire un impatto rapido in termini di riduzione dei flussi migratori. 

La sfida dei prossimi anni per l’Africa e per l’Europa sarà quella di realizzare un investimento politico e culturale di lungo termine basato sulla conoscenza e la lettura della realtà sociale delle fasce giovanili, della loro soggettività e dei loro “investimenti” accanto alla promozione di quelli portati dalle istituzioni pubbliche e da attori esterni. Osservati dalla prospettiva delle società africane fenomeni come quello dell’imprenditoria informale o della migrazione sono spesso scelte obbligate, ma rappresentano comunque la manifestazione di quella energia e capacità di agency che non va trascurata. Nei diversi contesti si tratterà di investire ad esempio in politiche e programmi che favoriscano la formazione non solo tradizionale e tecnica ma anche legata alle soft skills, l’accesso ai servizi di base o al credito, l’attivazione di norme sociali inclusive o lo sviluppo delle micro e piccole imprese, delle catene di valore in agricoltura, delle industrie culturali o del turismo. 

In tutti i casi, una risposta adeguata alle sfide rappresentate dai trend demografici in atto deve partire dalla lettura della realtà sociale delle fasce giovanili per promuovere politiche che partano dalle loro energie, capacità di innovazione e spirito di iniziativa. Queste devono tradursi in strumenti, politiche e programmi diversificati che possano diventare elementi di un paesaggio riconoscibile da cui i giovani potranno attingere per mettere a valore il loro investimento.  

1 Marzo 2019
di
Roberto Ridolfi - Coordinatore del Forum Africa