DDUU, l'ineludibile richiamo alla pace
Non fu dettata dal caso la scelta di inserire nel preambolo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) il richiamo a un pieno riconoscimento del valore della pace nel mondo e il suo espresso collegamento con un regime politico effettivamente democratico e un comune rispetto dei diritti dell’uomo. Certamente tale richiamo alla pace faceva seguito a quanto già precedentemente enunciato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, essa pure evocata nel preambolo della CEDU, sulla base cioè di un necessario riconoscimento universale, dopo gli atroci avvenimenti dell’ultimo conflitto mondiale, di una nuova regolamentazione internazionale che fosse in grado di garantire tanto una sicurezza collettiva quanto la tutela e salvaguardia dei diritti umani e dei principi democratici. Ma quel richiamo rimaneva e rimane ancor più emblematico, ed è bene sottolinearlo, se si pensa che la CEDU è stata elaborata dai governi europei proprio nel bel mezzo dell’inasprirsi della guerra fredda, dentro quel mondo bipolare condizionato da forti tensioni apocalittiche e da un’accentuata instabilità delle relazioni internazionali, in cui il tema dei diritti finì troppe volte per essere offuscato dietro l’una e l’altra parte della “cortina di ferro”.
E dunque a più forte ragione oggi - in questo nuovo contesto in cui la guerra e la somma di interessi privati, settoriali ed egoismi nazionali sembrano più che mai sottrare spazio ai diritti acquisiti e al multilateralismo, nonché alla cooperazione internazionale che con esso si muove - il sostrato di fondo alla base della Convenzione, il richiamo alla pace e a un destino comune dell’uomo, deve necessariamente tornare al centro del dibattito ed essere un punto di riferimento a livello internazionale. La dichiarazione di un diritto non implica infatti la sua concreta attuazione, anche se a questo si accompagnano norme, istituzioni e tribunali. Nella storia dei diritti pubblici soggettivi le definizioni dei diritti umani elaborate dalla dottrina sono state, e sono tuttora, continuamente ridiscusse, determinando di conseguenza una certa vaghezza dei caratteri specifici dei diversi diritti.
La tradizione filosofica e giuridica da cui proviene la teorizzazione dei diritti umani è molto lunga e complessa e non sarebbe questa la sede per offrirne una disamina storica, su cui peraltro esiste una vasta letteratura. Va però senza dubbio sottolineato che nell’ambito delle Dichiarazioni e della tutela internazionale dei diritti, con la locuzione diritti umani si fa riferimento a quei diritti di cui sono titolari tutti gli esseri umani, dunque riconoscendo la loro universalità, valevoli pertanto in ogni territorio ed espressione comune di valori e bisogni essenziali della persona umana. È senz’altro vero che pur dopo la Dichiarazione ONU del 1948 e la CEDU i diritti umani sono stati non poche volte posti in posizione, di fatto, subalterna rispetto a presunti interessi superiori, così avvalorando quella narrazione che vorrebbe relegare i diritti umani entro una dimensione “disincarnata” e la loro violazione non sanzionabile, come è stato giustamente osservato nel saggio d’apertura. A richiamarli, e spesso a invocarli, sono stati soprattutto i cittadini dei Paesi del cosiddetto “Terzo” Mondo, impegnati prima nelle varie battaglie per la decolonizzazione e subito dopo in campagne di lotta per rivendicare, nel campo dei diritti negati, una migliore esistenza e una maggiore accessibilità a cibo, istruzione, sanità fino alle libertà politiche. Diverso per la “sfera” occidentale dove, a partire dai Global Sixties, la questione dei diritti umani si è legata al tema della repressione del dissenso, alla lotta antinuclearista e alle riforme degli anni Settanta come nel caso italiano, fino alle nuove sensibilità sull’ambiente nel quadro di politiche ecologiche come contrasto a un’idea che coniugava (e continua a coniugare in alcuni settori) lo sviluppo industriale all’inquinamento. Un percorso per alcuni versi avanzato ma nel quale permangono, tanto nei Paesi occidentali quanto in quelli in via di sviluppo, sfasature, diffidenze e ambiguità nella sfera normativa. Senza considerare le contraddizioni che iniziano a emergere, con sempre più vigore, dinanzi all’evoluzione tecnologica che mentre segue quasi esclusivamente logiche di mercato troppo spesso trascende, tramite nuove forme di reiterazione, libertà e diritti individuali acquisiti.
Pace, conquista fondamentale dell’uomo e della sua esistenza
Il richiamo a una cultura della pace pone inevitabilmente al centro del problema l’urgenza di una riflessione sul destino comune dell’uomo e dunque sulla necessità di una tutela costante del patrimonio dei diritti umani come diritti universali. La questione della generale reciproca comprensione e del reciproco riconoscimento di valori umani non può essere rinviata dinanzi ai nuovi turbamenti internazionali. Porre al centro del campo dei rapporti internazionali, e della loro dottrina, questa nuova dimensione del valore umano significa in prima istanza dare concretezza a un’esplicita condanna a questo nuovo contesto segnato da torsioni autoritarie e contese tra vecchi e nuovi imperialismi, per la riaffermazione di quelle conquiste democratiche che esprimono tutt’oggi i molteplici e liberi sviluppi della persona umana, oltre che le sue tutele sul piano dei diritti individuali e sociali.
La necessità della pace nonché il riconoscimento del valore delle libertà personali e della loro garanzia hanno trovato infatti un’espressione nuova soltanto dopo l’apocalisse dell’ultimo conflitto mondiale e durante gli anni più duri della contrapposizione bipolare dettata dalla guerra fredda, quando l’umanità ha cominciato ad acquisire maggiore coscienza della propria esistenza dinanzi alla minaccia concreta di autodistruzione, ponendo in tal modo una netta cesura con certi tipi di logiche che anteponevano troppo facilmente gli interessi nazionali e le ragion di Stato alle libertà democratiche e ai diritti degli individui. A emergere fu una visione d’insieme contraddistinta da un impegno comune in cui la richiesta e la tutela dei diritti inalienabili di ogni individuo fosse considerata come interesse della collettività. Su questa nuova prospettiva, anche nel nostro Paese, il dibattito che si scaturì produsse difatti un terreno di confronto politico molto avanzato, sul quale vi fu una particolare convergenza positiva delle maggiori forze politiche.
Torna infatti alla mente un discorso di Togliatti nel 1963, rivolto al mondo cattolico, Il destino dell’uomo, incentrato su una nuova consapevolezza dell’unità del genere umano e della questione della pace dinanzi a quelle crescenti affermazioni illiberali e alla minaccia di un suicidio globale che era l’esito della strategia delle superpotenze fondata sul deterrente atomico. Secondo le riflessioni dell’ultimo Togliatti, il futuro dell’umanità e gli stessi diritti umani stavano cioè sempre più dipendendo dall’acquisizione o meno del riconoscimento del valore di comunità globale nei confronti di un sistema di rapporti politici ed economici che non pareva denegare la minaccia della distruzione completa del genere umano. Di fronte cioè a questo ossimoro proprio della società e della scienza moderna, che univa (e unisce) opulenza e catastrofe tramite un uso distorto degli sviluppi della tecnica, la lotta per la salvezza del genere umano acquisiva per Togliatti un nuovo valore sia in senso laico che religioso, come collaborazione tra gli uomini tendente a costruire nella pace una nuova dimensione plurale dell’agire e della conoscenza in cui fossero garantite tutte le libertà e tutti i diritti umani, civili e sociali.
Il riconoscimento dell’originalità e della particolarità di ogni diritto, e la loro tutela, deve passare dunque attraverso una nuova consapevolezza universale dell’agire comune a partire da una riflessione sul destino dell’umanità e sul tema della pace. Diviene quasi impossibile immaginare che una giurisdizione internazionale di tutela dei diritti umani, così come una gestione delle risorse più equa e sostenibile, possano convivere con una minaccia costante, anche oggi come allora, di una guerra mondiale atomica sullo sfondo delle diverse zone di conflitto “locali” tuttora in corso.
Sulla base della CEDU, i Paesi aderenti hanno però le qualità e la forza di mettere al centro dell’agenda politica comune e mondiale la vita delle persone e i loro diritti, non indietreggiando cioè sui lavori compiuti in tema di cooperazione e solidarietà internazionale, per contrastare in primo luogo chi vede nelle guerre in corso e nelle vecchie e nuove forme di discriminazioni la possibilità di gestire più risorse e rimettere in discussione libertà acquisite.
L’auspicio, dunque, è che la questione della pace, così come il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, la giustizia sociale e il disarmo diventino dunque, come auspicò La Pira scrivendo a Berlinguer nel 1969, non un’utopia ma un “inevitabile porto della storia presente”, una prospettiva politica realistica, e meno disincarnata possibile, che faccia della tutela dei diritti un modello di riferimento internazionale in cui pace, sviluppo sostenibile, diritti civili e sociali trovino il loro nesso inscindibile. Il tema dei diritti umani va per l’appunto ricondotto nel suo insieme all’interno di un’unica grande riflessione globale con l’obiettivo di superare in primis quell’illusoria retorica che reputa impossibile coniugare le esigenze dell’individuo, i propri diritti inviolabili e inalienabili, con lo sviluppo di ogni persona nel mondo e dell’ambiente stesso.