La protezione dei diritti umani come fondamento di una Europa di pace

Francesca Moccia
Vicesegretaria generale CittadinanzAttiva

Diritti, pace e democrazia: la via del buon senso 

La sensazione di disorientamento che stiamo provando in questa fase nei confronti del contesto internazionale è davvero forte. Il disconoscimento del diritto da parte di leader mondiali, la regressione delle democrazie a una dimensione unicamente formale (basta esprimere un voto per legittimare qualunque governo e per chiamarlo democrazia) e l’ostentazione della disumanità é [1] ci lasciano un senso di impotenza e ci fanno temere il peggio.
Siamo in bilico tra la volontà di comprendere cosa stia accadendo in Europa e nel mondo, la consapevolezza che di fronte a gravi crimini internazionali resti un notevole spazio di impunità e la paura di non riuscire a far sentire proprio in un momento così decisivo la voce dei cittadini.  
Tutto questo ci spinge a interrogarci sulle strade da percorrere per un rafforzamento della partecipazione democratica e per la protezione dei diritti umani in ogni angolo del pianeta. Si tratta di scegliere per il nostro destino la strada della ragionevolezza e del buon senso, puntando a tutelare i diritti, a proteggere la democrazia e a percorrere le vie del dialogo e della pace.

Giustizia e in-giustizia universale
Come ha scritto Liliana Segre in occasione del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani del ‘48, anche se durante i lavori preparatori erano già emerse le prime avvisaglie della guerra fredda, le nazioni vincitrici riuscirono a trovare un terreno comune su cui rifondare l’ordine internazionale, appellandosi a questo principio: il “rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e l’accoglimento dei principi di non discriminazione e di tutela e promozione dei diritti civili, politici, sociali ed economici”[2].  
Per la prima volta – ricorda la Segre - la dignità umana era posta al di sopra della sovranità degli Stati, le persone prima delle istituzioni e queste ultime al servizio di quelle. Nel tempo, l’intero sistema onusiano è diventato una sorta di codice comune dell’umanità, scrive ancora, e in Europa abbiamo compiuto notevoli passi avanti nel processo di ricezione e attuazione dei principi della Dichiarazione del 1948 e nella realizzazione di un sistema regionale di promozione e protezione, soprattutto grazie al Consiglio d’Europa. 
Tuttavia il sistema onusiano si fonda su meccanismi di controllo di soft power e solo in casi limitati tali meccanismi si possono attivare sulla base di denunce individuali [3] . Un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti al punto che Luigi Ferrajoli ha parlato di fallimento, oltre che di grandezza, dell’ONU, prospettando un nuovo sistema che vada nella direzione di una Federazione della Terra [4] . In questa prospettiva andrebbero presi in considerazione tutti i crimini che oggi restano impuniti - catastrofi umanitarie, devastazioni ambientali, violazioni delle libertà fondamentali, negazioni dei diritti dei migranti, produzione di armi convenzionali, guerre che violano il principio di pace della Carta ONU - veri e propri “crimini di sistema” che non sono addebitabili alla responsabilità di singoli ma che non possono più restare impuniti. Per questi servirebbero, scrive Ferrajoli, almeno delle giurisdizioni competenti ad accertare i fatti e a pronunciare giudizi di verità, sul modello delle Commissioni per la verità istituite in Sudafrica sull’apartheid o anche sul modello dei tribunali d’opinione, come il Tribunale permanente dei popoli istituito da Lelio Basso nel 1979 .

L’aspirazione a una giustizia penale internazionale
Eppure un sistema di giustizia globale attualmente esiste [5] e ruota intorno alla Corte penale internazionale (Cpi), un vero ecosistema di giustizia penale internazionale [6] . In questo giocano un ruolo tre componenti: la Corte penale internazionale, gli Stati e la società civile. Lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 con il voto favorevole di 120 Stati, 21 astensioni e 7 voti contrari. Oggi gli Stati parte, ossia quelli che hanno ratificato il trattato istitutivo della Corte, sono 125. Circa un terzo degli stati del mondo non ha invece ratificato lo Statuto e quasi la metà della popolazione mondiale appartiene a Stati che non sono parte della Cpi. Il sistema ha ancora molti limiti e come scrisse Giuliano Vassalli, l’universalità della giustizia penale è ancora una aspirazione, non una realtà.

Contenzioso strategico e diritti umani
A proposito di un rafforzamento della giustizia penale internazionale, tra gli strumenti che abbiamo a disposizione per la protezione dei diritti umani vale la pena considerare le potenzialità della “strategic litigation”, termine che le organizzazioni per i diritti umani utilizzano da tempo per indentificare il loro lavoro di denuncia penale a nome delle vittime di gravi crimini internazionali. Si tratta di contenziosi che vengono avviati per raggiungere obiettivi che vanno ben al di là del singolo caso e che possono attivare percorsi di cambiamento della realtà politica e sociale, dare vita a proteste pubbliche, sensibilizzare la popolazione su temi rilevanti per i diritti umani, fare pressione sulle istituzioni, avviare riforme legislative e più in generale attivare comunità intorno a questioni di interesse generale caratterizzate dalla violazione di diritti umani. Anche se ci sono punti di vista critici, si tratta di uno strumento straordinario di cambiamento della realtà che parte dal caso singolo e giunge a conclusioni che vanno ben al di là dello stesso. Jules Lobel, Presidente del Center for Constitutional Rights di New York, sostiene che vi sono casi in cui anche una perdita sul piano legale possa comportare un “successo senza vittoria”. In questo solco intende impegnarsi Cittadinanzattiva con il programma SCUDI, una SCUola di DIiritti umani sul contenzioso strategico per la tutela dei diritti dei migranti.

Quando diciamo Europa
Quando diciamo Europa pensiamo immediatamente all’Unione Europea, nata come unione economica e, solo in seconda battuta, come Europa dei diritti. I diritti umani non sono mai stati al centro dell’integrazione europea, dati quasi per scontati, fino alla elaborazione della c.d. carta di Nizza, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Per anni è stato centrale il ruolo che ha svolto la Corte di giustizia dell’Unione, che anche in assenza di norme ha tutelato i diritti umani in quanto principi generali di diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri.
Quando si dice Europa non si pensa quasi mai al Consiglio d’Europa, che è nato qualche mese dopo l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo con lo scopo di promuovere la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani (ne fanno parte quasi 50 Stati) né tantomeno alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che lo ispira, con l’avanzato meccanismo di tutela dei diritti dell’uomo esercitata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte di Strasburgo). 
Infine, quando si dice Europa a pochi viene in mente la Conferenza di Helsinki del 1975, oggi conosciuta come Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), attiva sul piano della democrazia e dei diritti umani e dotata di diversi organi a questo deputati. La Conferenza, esattamente 50 anni fa, inaugurava la politica di superamento della contrapposizione frontale della guerra fredda che è stata chiamata il dialogo est/ovest. "La sicurezza è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è inseparabilmente legata a quella di tutti gli altri”. Il metodo era quello della costruzione di un’Europa politica pacifica e plurale, che poteva operare entro un più ampio pluralismo geopolitico. Oggi, cinquant’anni dopo Helsinki, la situazione si è rovesciata. Ma proprio questa potrebbe essere la ragionevole direzione da prendere.

La politica siamo noi 
Più strumenti di tutela da attivare oltre il caso singolo, più cooperazione e dialogo per superare contrapposizioni, non sarebbero abbastanza se non ci impegnassimo per proteggere gli spazi di partecipazione democratica.
Pe fare questo, se è vero che le democrazie devono invertire la rotta e recuperare la dimensione sostanziale (stato di diritto, separazione dei poteri, salvaguardia dei diritti fondamentali, partecipazione), è altrettanto vero che il rapporto tra forze al governo e soggetti della cittadinanza attiva, intesi come libere espressioni di autonomia sociale che si prendono cura di bisogni umani, dovrebbe essere riletto alla luce del superamento, nei fatti, della distinzione tra società civile e società politica [7] .
 Queste soggettività diffuse infatti sono state capaci in questi ultimi decenni di riorientare la politica degli Stati a interessi generali tutelando i diritti dei più deboli e diventando una forza trascinante che ha indirizzato le istituzioni [8] . Di questa forza dei cittadini manca ancora una consapevolezza diffusa, una sfida raccolta dal mondo delle organizzazioni civiche [9]  nel nostro Paese ma soprattutto una speranza per l’Europa democratica che vorremmo.

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[1] Il diritto internazionale, la costruzione della pace e la Costituzione della Terra, 10-2-2025 Fondazione Basso, intervento di Luigi Ferrajoli, https://www.youtube.com/@fondazionebassoonlus
[2] Dichiarazione universale dei diritti umani, Prefazione di Liliana Segre, Garzanti, 2018.
[3] Salvatore Zappalà, La tutela internazionale dei diritti umani. La responsabilità degli Stati e il governo mondiale. Il Mulino, seconda edizione aggiornata 2023.
[4] Luigi Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, 2022, p. 71 ss.
 [5] Chantal Meloni, Giustizia universale? Tra gli Stati e la Corte penale internazionale: bilancio di una promessa, Il Mulino, 2024.
[6] K. Khan, Preface, in Ufficio del Procuratore, Policy Paper on Complementary and Cooperation, aprile 2024
[7] Giuseppe Cotturri, Io ci sono. Gli attori del civismo e della solidarietà: mutazioni molecolari e processi costituenti, edizioni la meridiana, 2024.
[8]Giuseppe Cotturri, La forza riformatrice della cittadinanza attiva, Carocci, Roma, 2013, p. 47.
 [9] Marco De Ponte e Francesca Moccia, Spazio pubblico e ricostruzione di una città: dal terremoto dell’Aquila al primo festival della partecipazione, in L’economia, la politica, i luoghi. Scritti per Fabrizio Barca, a cura di Filippo Barbera e Patrizia Luongo, Donzelli Editore, 2024, p.367 ss.