‘Fix It Again, Tony’: occorre orientare le prassi verso qualità, misura e valutazione
Parfois, les projets sont déjà considérés comme réussis
quand ils parviennent à se faire fonctionner eux-mêmes
et/ou à mettre en place le volet physique du programme
Robert Denève – Sahel/Sahel une vision controversée
IUCN, Gland, 1995
1.Sul concetto di aiuto
‘In genere, i progetti sono già considerati di successo quando riescono ad assicurare il proprio funzionamento e/o ad allestire la componente infrastrutturale del programma’. (Robert Denève – Sahel/Sahel une vision controversée IUCN, Gland, 1995): considerazione lapidaria, che definisce la condizione di una quota importante degli investimenti per lo sviluppo in Africa occidentale. La regione che più di tutte richiama da sempre il concetto di aiuto allo sviluppo, è quella che ha ricevuto i maggiori investimenti internazionali: ancora oggi questi assicurano funzioni essenziali in molti dei suoi paesi; ma è anche quella che ha mostrato tutti i limiti di questi strumenti, e dei suoi riferimenti teorici, ove gli aiuti internazionali hanno sostanzialmente fallito. Questa nota è in larga parte focalizzata su tale spazio, sul relativo fallimento degli aiuti, e sul richiamo agli stessi che proprio oggi fanno alcuni soggetti governativi dopo averli forse ignorati per molto tempo: si fa dunque prioritario riferimento agli aiuti per lo sviluppo nel momento della loro maggiore fragilità e di un loro superamento, sia nei suoi elementi concettuali, sia in quelli operativi.
La nascita della cooperazione internazionale allo sviluppo risale alla metà del secolo scorso, con i concetti post-bellici, iscritti nel Piano Marshall e nel quadro delle Istituzioni di Bretton Woods, e degli accordi in seno all’OCSE. Al centro di un eccesso di ambizione, c'era una nuova idea, quella che lo sviluppo - nozione imperfetta, e complessa (Bairoch, P. Sviluppo/Sottosviluppo – Einaudi Enciclopedia, 1979 Torino) - potesse concepirsi come universale, nel quadro di un nuovo concetto di modernizzazione e modernità: un processo ritenuto allora come rivoluzionario rispetto alla percezione delle società umane, viste come diversificate, e naturalmente distinte. Finalmente, l’umanità era concepibile attraverso un riferimento unitario, aggregativo, generato attorno a un esperimento, sostenuto da processi di ideazione condivisi, rassicuranti, e da risorse finanziarie pubbliche. Tale sforzo era volto alla realizzazione di uno scopo nobile, possibilmente, per la prima volta nella storia (International Development at the dawn of the 21st century – K. Bezanson). I risultati, oggi, appaiono dubbi: talora tangibili, se misurati con indici quali aspettativa di vita, sopravvivenza infantile effetti delle campagne di vaccinazione, livelli di nutrizione, per lo meno in determinate condizioni; inconsistenti in molti altri ambiti. La nozione di aiuto per lo sviluppo finalizzata a garantire contesti di protezione sociale e benessere materiale al sud del mondo - nell’arco di quattro generazioni -, non ha raggiunto i suoi scopi, ed è acquisito che questo ideale sia sostanzialmente fallito. Di più: va anche considerato che tutto questo venne definito nel quadro di un ordine postbellico che ora ha in gran parte cessato di esistere (ibid.): la fase seguita al processo di globalizzazione dei servizi finanziari, la frammentazione degli spazi economici, il tramonto della precedente configurazione del mondo - un grande nord e un grande sud -, hanno posto la parola fine sia al senso di molte delle formule in essere, sia al paradigma assunto a riferimento per la loro programmazione.
2. Gli aiuti italiani
In Italia la cooperazione pubblica allo sviluppo ha visto molte azioni in campo legislativo; forse meno in campo conoscitivo ed organizzativo. Gli aiuti italiani sono stati a lungo regolati dalla Legge 49/87, che ha rappresentato la riforma, e poi la continuità, di quanto sostenuto dalle precedenti leggi: in tutto, almeno sette (n.1033/66; n.1222/71, n.227/77, n.38/79, n.73/85, n.49/87, n.125/2014), citando le principali, senza contare il varo, in ultimo, di un ulteriore assetto giuridico degli aiuti, con il Decreto-Legge il 15 novembre 2023, n. 161, e poi della Legge n.2/2024, portanti sul Piano Mattei. A quasi otto anni dall’avvio operativo della Legge 125/2014 a riformare il comparto tramite l’istituto di un’agenzia operativa (AICS), e maggiori partenariati in seno al settore privato e con altri soggetti, con una riconfigurazione della rete delle strutture sul terremo, le attese di maggiore efficacia rispetto alla precedente organizzazione - data da un ufficio tecnico (Unità Tecnica Centrale – UTC, e uffici locali -UTL), a supporto della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) -, restano da confermare, mentre la qualità complessiva degli strumenti in essere sembra in alcuni aspetti mitigata. La questione in parte irrisolta delle risorse umane rimane centrale: la Relazione della Corte dei conti (Deliberazione 12 gennaio 2022, n. 1/2022/G) rimarca che ‘AICS, in rapporto al volume di risorse gestite, dispone di una dotazione di personale di gran lunga inferiore a quella di omologhe Agenzie di Paesi appartenenti all’Unione europea’, citando anche l’opportunità di dotarsi di ‘competenze specialistiche’. Lo stesso istituto segnala la necessità di rafforzare le funzioni di monitoraggio e valutazione. Richiami importanti, che hanno invece registrato la progressiva scomparsa dei profili di tecnici settoriali e tematici, già propri della Legge 49/87, con una quota significativa di risorse umane inizialmente immessa nei ruoli dell’AICS attraverso percorsi tutti interni al comparto pubblico non specializzato (Personale Comandato presso l’AICS al 1.1.2016 – 4pp.).
3. Sugli elementi del Piano e il ruolo-chiave della valutazione.
Il Piano Mattei fa capo a nove paesi selezionati (quattro non prioritari nella programmazione corrente del MAECI): questo suggerisce alcune considerazioni, tutte relative ai limiti di tale indirizzo:
Sul piano istituzionale, il legislatore estrapola una fase del ciclo di progetto/programma (l’identificazione), che in principio deve essere informata dalla funzione di valutazione; questa deve riflettere una effettiva cultura della valutazione, oggi in parte disattesa. La funzione di valutazione è stata formalmente assunta dalle strutture del MAECI, e si basa su di una programmazione triennale selettiva: per motivi non conosciuti quelle destinate all’Africa occidentale (Burkina Faso e Niger) non sembrano essere state realizzate (Programma Triennale 2022-2024 delle valutazioni degli interventi di cooperazione allo sviluppo di cui alla Legge n.125/2014, MAECI - 25pp.). La valutazione è però inerente a qualsiasi investimento, ed elemento conoscitivo fondamentale proprio per quegli investimenti poco riusciti, che offriranno le maggiori informazioni: essa evidenzia i limiti del partenariato e i suoi limiti di governance, le fragilità cognitive e tecniche lungo il Ciclo di progetto, fa emergere la storicità delle relazioni istituzionali, e la reale dimensione politica del contesto: una epistemologia degli aiuti spesso sfiorata, o ignorata: vedremo a seguire come possa contribuire anche a livello di programmazione settoriale nel caso del Piano Mattei.
L’identificazione dei paesi in Africa occidentale, si situa in contraddizione sia dei criteri che hanno caratterizzato le politiche italiane nel corso delle ultime decadi, sia rispetto alla robustezza delle strutture sul terreno: questo definisce a sua volta la credibilità e il peso, anche politico, di un soggetto attivo. Questo riguarda strutture, risorse umane, partenariati istituzionali fidelizzati nel tempo, Ong ed altri esecutori storicamente radicati in diversi territori, e affiliati a gruppi di interesse significativi in loco; e definisce, più in generale, un track-record riconosciuto dai diversi Partner, governativi e internazionali. Quest’ultima considerazione è importante, dandosi che la credibilità dei già fragili dispositivi di esecuzione degli aiuti è in larga parte derivata dalla loro continuità dell’azione, senza la quale anche le difficoltà si moltiplicano.
Sul piano operativo/gestionale, nei settori di intervento identificati, gli aiuti italiani non hanno un track-record molto significativo: in Africa occidentale gli aiuti alla sanità pubblica sono da sempre concentrati piuttosto nella fascia saheliana interna: quanto realizzato in Costa d’Avorio non è paragonabile, né appare semplice strutturare ex-novo una piattaforma e una rete operativa in un paese che già riceve un’offerta di aiuti e assistenza tecnica da partner importanti, quali il sistema delle Agenzie multilaterali di finanziamento, e alcune delle maggiori Agenzie bilaterali. I settori identificati sembrano in parte sovrapposti rispetto a quanto già posto in essere dall’asse franco-tedesco, che opera in effetti con agenzie e banche di sviluppo molto equipaggiate (EF/Expertise France; AFD/Agence Française de Développement ; GIZ/Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit; e KfW/Kreditanstalt für Wiederaufbau); le risorse e gli strumenti dei nostri aiuti non appaiono paragonabili, in termini complessivi di dotazioni, o di qualità.
Sul piano della progettazione: la cooperazione italiana ha già adottato un approccio per cluster tecnici, o per filiere nella progettazione in loco, con elementi concettuali analoghi a quanto si propone nel Piano Mattei: per esempio, il finanziamento a credito per il progetto idroelettrico di Misicuni (Bolivia), vide la progettazione – contestuale e congiunta -, di un sistema di azioni di assistenza tecnica finanziate a dono, con un consorzio di Ong a sostegno di azioni di sviluppo comunitario a favore dell’area di Cochabamba. Il programma europeo ECOPAS, di rafforzamento delle infrastrutture dei parchi regionali di savana in Africa Occidentale, ha visto l’accompagnamento di un programma consortile di Ong italiane, per il sostegno alle Comunità locali nelle zone di sviluppo delle periferie dei parchi (Il Continente Verde: L’Africa: Cooperazione, Ambiente, Sviluppo. Bruno Mondadori Editore – Ricerca - Pearson Italia ISBN: 9 788861 595071).
Sul piano delle scelte settoriali: la Sanità pubblica. Il Piano Mattei include la salute tra le sue tredici direttrici, e si propone di partecipare al raggiungimento dell’Obiettivo numero tre dell’Agenda 2030 (Salute e benessere) e dei suoi target, tramite quattro assi di intervento, coerenti con le indicazioni internazionali. Questi assi mirano a (i.) migliorare l’accessibilità e la qualità dei servizi primari materno-infantili, soprattutto con riguardo al contrasto delle malattie infettive endemiche e delle malattie croniche non trasmissibili; (ii.) potenziare la formazione del personale sanitario e l’uso delle nuove tecnologie; (iii.) sviluppare sistemi di prevenzione e contenimento di pandemie e disastri naturali e (iv.) diffondere piattaforme di telemedicina.
In questa prima fase, i progetti pilota del settore saranno realizzati in un paese dell’Africa Occidentale, la Costa d’Avorio, come citato, ed in Marocco. Obiettivi e strategie del Piano sono in sintonia con gli interventi in corso nel settore da parte della cooperazione italiana, interventi che sono realizzati sia tramite contributi ad organismi multilaterali (WHO, UNICEF), sia ad iniziative multi-donor (Fondo Globale per la lotta contro HIV/AIDS, Malaria e Tubercolosi; GAVI, The Global Alliance, che finanzia i programmi di vaccinazione), sia sul canale bilaterale, tramite crediti di aiuto, progetti cogestiti con le strutture locali o eseguiti da componenti del ‘Sistema Italia’, in primo luogo organizzazioni della società civile e università. Per quanto riguarda la valutazione di tali interventi, mentre per i canali multilaterale e multi-donor è disponibile una vasta documentazione - sulla copertura e la qualità delle prestazioni offerte alla popolazione, come sul raggiungimento di specifici obiettivi nella lotta contro le malattie, e sul rapporto costo/efficacia -, l’analisi di quanto realizzato sul canale bilaterale risulta molto ridotta. Questo è sicuramente dovuto alla difficoltà di attivare un sistema di valutazioni per una molteplicità di interventi che sono di dimensioni medio-piccole, e condotti in modo relativamente poco standardizzato, ma ciò non toglie che la capitalizzazione di quanto già realizzato dagli aiuti bilaterali italiani nella sanità in sia una priorità per il Piano Mattei, che interviene proprio tramite tale canale di finanziamento. Le difficoltà nel processo di valutazione potrebbero essere peraltro mitigate se questo avesse come target aree ove la nostra cooperazione sanitaria si è concentrata, e oggetto di questa riflessione, quali l’Africa Occidentale, i paesi della fascia saheliana, e temi sanitari particolarmente ricchi di iniziative, quali la lotta all’HIV/AIDS o la malnutrizione infantile.
Oltre alla capitalizzazione di quanto già realizzato in ambito bilaterale nel settore, l’attuazione del Piano Mattei necessiterebbe di una valutazione ex-ante del contesto esistente nei due paesi indicati per questa prima fase - Costa d’Avorio e Marocco -, in cui la cooperazione italiana ha scarsa esperienza di interventi diretti nella sanità, fino ad ora concentrati su paesi a reddito più basso. L’ingresso in un contesto geografico e settoriale nuovo andrebbe pertanto approfondito con una serie di consultazioni molto serrate con i principali soggetti attivi (agenzie multilaterali, bilaterali, organizzazioni non governative), con particolare riguardo a quelli che già intervengono su contributi multilaterali o multi-donor italiani.
Tale studio del contesto attenuerebbe i rischi che spesso un nuovo intervento bilaterale comporta, di cui il principale è l’orientamento dell’aiuto verso realizzazioni a valenza piuttosto politica che tecnica. Gli interventi già in atto nel settore sono infatti in genere orientati ad azioni robuste in termini di costo-efficacia, quali il supporto alle campagne di vaccinazione, la medicina sul territorio e comunitaria, e la formazione di personale di base. I governi dei paesi beneficiari potrebbero pertanto proporre al Piano Mattei di realizzare altre tipologie di intervento, in particolare nel settore ospedaliero di livello terziario, o formazioni specialistiche, rispondendo a pressioni delle élite locali e delle popolazioni urbane, politicamente più forti di quelle rurali. Queste richieste - anche se poco in linea con gli assi di intervento del Piano - non sono di per sé irrazionali, e possono corrispondere a bisogni concreti, a condizione che siano coerenti con lo sviluppo del sistema sanitario di base locale, la concertazione internazionale, e le risorse del paese, e andranno quindi accuratamente valutate anche per contesti quali quelli sopra citati, che hanno concrete prospettive di crescita economica. In caso contrario, si rischierebbe di ricadere negli errori commessi dalla cooperazione sanitaria internazionale ai suoi albori, con la realizzazione di grandi strutture ospedaliere localizzate nelle capitali africane, i cui costi di gestione eccedono le risorse dei budget nazionali, e che pertanto sottraggono inutilmente risorse finanziarie e umane al resto del sistema sanitario.