Il Piano Mattei: disabilità e inclusione

Nicola Pintus* e Roberta Paesani**
*Presidente dell’Associazione Progetto Filippide ** Vicepresidente dell’Associazione Progetto Filippide

Ad una attenta lettura e analisi del testo del Piano Mattei, salta agli occhi la totale mancanza della parola “disabilità” così come della parola “inclusione”, una mancanza, un vuoto, quasi che in Africa non ci sia bisogno di includere le persone con disabilità, o che queste non esistano.

Le stime delle Nazioni Unite ci dicono che oggi il 15% della popolazione mondiale è composto da persone con disabilità, di queste l’80% vive in Paesi in via di sviluppo, dove un terzo dei bambini in età scolare è affetto da disabilità.

Sempre le Nazioni Unite stimano che circa 80 milioni di persone in Africa vivano con una qualche disabilità, ma la mancanza di dati uniformi e sistematici rende difficile ottenere una fotografia completa e accurata, poiché non tutti i Paesi raccolgono informazioni dettagliate a riguardo.

Questi dati, per quanto parziali, indicano che la maggioranza di persone con una qualche disabilità vive in territori rurali ed è di genere femminile. I bambini con disabilità sono spesso costretti ad abbandonare gli studi a causa delle limitate risorse educative, e il 30% non riceve alcuna istruzione; ciò si traduce in alti livelli di disoccupazione (fino al 60%) che spingono le persone a chiedere l’elemosina in strada come unica possibilità di sopravvivenza.

I diritti delle persone con disabilità sono tutelati ormai in quasi tutti i Paesi del mondo dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel 2006. La Convenzione raccoglie indicazioni generali, che non si basano sulle specificità dei singoli paesi e che non ne considerano le diverse culture. Ecco perché Il 29 gennaio 2018 – nel corso del suo 39esimo Summit – l’Unione Africana ha  adottato il Protocollo sui diritti delle persone con disabilità, addizionale alla Carta Africana dei diritti umani e dei popoli. I valori e i principi di base sono gli stessi della Convenzione ONU, ma declinati secondo la prospettiva africana Il Protocollo tiene conto della vita concreta delle persone con disabilità nel continente, delle credenze culturali, delle pratiche di cura tradizionali e delle superstizioni legate al tema della disabilità.

Dobbiamo infatti tener presente che il concetto di malattia in Africa è profondamente diverso da quello occidentale. La malattia e la disabilità non sono frutto del caso, ma hanno a che fare con il divino e con gli spiriti, una punizione o un disequilibrio in un intreccio di spiritualità e sovrannaturale, e queste credenze con le relative pratiche di guarigione, sono ancora molto diffuse, specie nelle zone e nei villaggi più rurali interni.

Concentrando l'attenzione sul Nord Africa, ci rendiamo conto che non esiste un quadro chiaro e completo della situazione delle persone con disabilità. Tuttavia, i dati disponibili indicano che queste vivono in condizioni peggiori rispetto a chi non ha disabilità. Ciò è dovuto, come già descritto in precedenza, a una serie di fattori quali emarginazione, stigma sociale, scarsa consapevolezza sulla diffusione della disabilità, insufficiente protezione e applicazione dei diritti, oltre all'inaccessibilità di ambienti, servizi e luoghi di lavoro. Questa esclusione non solo ha un impatto negativo sulla vita delle persone con disabilità, ma comporta anche costi significativi per la società nel suo complesso.

Partendo dai diritti sanciti nel Protocollo sui Diritti delle Persone con Disabilità addizionale alla Carta Africana dei diritti degli uomini e dei popoli (d’ora in poi Protocollo), dai Principi Generali (non discriminazione, accessibilità, uguali opportunità, piene ed effettiva partecipazione e inclusione nell’ società) agli articoli che riguardano l’uguaglianza nella legge, nel lavoro, in famiglia, nello studio, nella sanità, con particolare riguardo agli articoli 27 e 28 del Protocollo specifici per le ragazze e le donne con disabilità, e i bambini con disabilità, ci si rende conto di quanti passi in avanti verso una società più equa ed inclusiva siano stati fatti dalla quasi totalità dei Paesi Africani. Ma in gran parte solo sulla carta.

Purtroppo, nella pratica quasi niente viene realmente realizzato o concretizzato così come ideato, ad iniziare dal fatto che il Protocollo in questione, approvato dall’Unione Africana,  non è ancora entrato in vigore in tutti gli Stati , che quindi non sono al momento tenuti a rispettare gli obblighi in esso contenuti, così come rilevato anche dal Gruppo di lavoro sui diritti delle persone anziane e delle persone con disabilità in Africa della Commissione africana sui diritti umani e dei popoli, in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità del 2020,  con un  appello agli Stati membri dell'Unione Africana “affinché ratifichino il Protocollo con la massima priorità e si impegnino a promuovere e tutelare i diritti delle persone con disabilità che vivono nei rispettivi Paesi. Ciò dovrebbe andare di pari passo con la necessità di avviare senza indugio i lavori per lo sviluppo di strategie di programmazione e attuazione.”

Che la realtà delle persone con disabilità in Africa sia “diversa” da quanto scritto nel Protocollo lo dimostra ad esempio il Rapporto pubblicato da Human Rights Watch che mostra come circa mezzo milione di bambini con disabilità sono esclusi dal sistema educativo del Sud Africa. Human Rights Watch ha anche scoperto che i bambini con disabilità che frequentano le scuole speciali spesso devono pagare le tasse che i bambini senza disabilità non pagano.

O ancora un rapporto sui diritti umani ha rilevato che le strutture educative in Kenya per i bambini con disabilità “si trovano ad affrontare sfide particolari”, sottolineando come tali scuole "sono poche e dotate di risorse inadeguate". A molti bambini viene negata l'ammissione a scuola, in particolare quelli con disabilità intellettiva, il rifiuto si basa ad esempio sulla mancanza di autonomie personali, come la capacità di andare in bagno da soli, o la mancanza di parola e di linguaggio, tutto ciò in palese violazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e del Protocollo.

 Le ragioni sono molteplici e vanno ricercate nella mancanza di risorse economiche, negli interventi legislativi nazionali insufficienti ovvero lacunosi, nella debolezza di diversi sistemi statali, nelle politiche sociali poco sviluppate, nei tanti conflitti in essere che pongono inevitabilmente altre priorità.

Tornando al Piano Mattei, vorremmo richiamare quanto formulato dall’Osservatorio Nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità, sulla necessità di elaborare progetti di cooperazione allo sviluppo “inclusivi”, rispettando i quattro principi chiave nella progettazione ed attuazione di tutti gli interventi del PNRR:

  • Accessibilità;
  • Progettazione universale (“Design for All”);
  • Promozione della vita indipendente e il sostegno all’autodeterminazione;
  • Principio di non discriminazione.

In questa progettazione inclusiva l’Osservatorio Nazionale sulle condizioni delle Persone con Disabilità, sottolinea inoltre quanto sia fondamentale prevedere la consultazione pubblica delle persone con disabilità auto rappresentati e delle associazioni rappresentative delle persone con disabilità nella definizione delle singole azioni e progetti.

Questa consultazione diventa ancora più cruciale in Paesi dove, come evidenziato, il concetto di malattia e disabilità differisce profondamente da quello occidentale.

È importante inoltre sottolineare che una progettazione realmente inclusiva produrrà risultati benefici per i più fragili ed emarginati, e proprio per questo sarà accessibile e utile a tutti.

Entrando nello specifico di quello che Associazione “Sport e Società – Progetto Filippide per l’autismo e le malattie rare – SP.ES” rappresenta e fa, la nostra  attenzione si posa su quanto il Piano Mattei prevede (o meglio indica nelle linee generali, senza una vera e propria progettualità in nessuno dei nove Paesi Pilota indicati) per lo sport per le persone con disabilità.

“Nel settore dello sport e delle politiche giovanili potranno essere avviate progetti pilota in alcune Nazioni, lungo tre direttrici:

  • organizzazione di corsi di formazione, anche tra singole Federazioni sportive e scambi reciproci di atleti;
  • interventi di riqualificazione o ampliamento di impianti sportivi;
  • singoli interventi mirati in coordinamento con la Cooperazione allo Sviluppo, che permettano la riqualificazione di strutture da destinare ai più giovani.

Le tre direttrici puntano allo sviluppo di forme di aggregazione e inclusione che ruotano attorno all'attività sportiva, con ricadute importanti in termini di salute, di opportunità formative, ma anche di creazione di impiego. Lo sport contribuisce a promuovere l'adozione di stili di vita sani e facilitare o incoraggiare l'accesso alla formazione, in particolare tra i giovani. L'attività sportiva è in grado di generare un indotto significativo anche dal punto di vista occupazionale, sia dal punto di vista infrastrutturale (ad esempio con la costruzione di impianti) e imprenditoriale (realizzazione di centri per la produzione e l'assemblaggio di equipaggiamenti sportivi), che professionale (istituzione di corsi e scuole per l'insegnamento di varie discipline).

In Italia lo sport è entrato nella Costituzione, non solo, è stata anche istituita la Diplomazia Sportiva, come nuovo strumento di promozione strategica dell’Italia. Per rimanere ancora nell’ambito delle iniziative che coinvolgono lo sport quale strumento di cooperazione, ricordiamo che è stato recentemente avviato il progetto “Sport e Innovazione Made in Italy”, un’iniziativa che suggella l’avvio di un partenariato strategico tra il MAECI, Sport e Salute e ICE-Agenzia.

Infine vorremmo ricordare la Risoluzione delle Nazioni Unite del 6 dicembre 2018 sullo “Sport come fattore di sviluppo sostenibile” in cui viene enunciato di “incoraggiare gli Stati Membri a promuovere programmi e partenariati, nonché facilitare e incoraggiare l’integrazione dello sport a sostegno degli obiettivi comuni delle Nazioni Unite”.

Tunisia

Vorremmo quindi porre l’accento proprio sull’”opportunità” che il Piano Mattei rappresenta, vale a dire la circostanza, FAVOREVOLE non per lucro, di rendere effettivo ed efficace quanto stabilito dalla Comunità Internazionale con l’adozione dell’Agenda 2030, un programma che tutti insieme dovremmo realizzare, ma ancor di più per il Progetto Filippide l’applicazione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità adottata anche dalla Tunisia (si segnala che lo schema di DPCM in esame interessa, in particolare, nove Paesi africani coinvolti in progetti pilota tra cui la Tunisia), Paese verso cui volgiamo il nostro sguardo, che l’ha sottoscritta il 30 marzo 2007 e adottata formalmente il 2 aprile 2008. Quindi il ruolo dello sport per le persone con Disabilità non vuole essere solo l’applicazione di un Diritto, ma uno strumento affinché le persone con disabilità della Tunisia siano, al pari di altri Paesi, capaci di uscire da una zona di non-applicazione dei diritti umani ed elevarsi a Paese con pari diritti