La Macedonia del Nord di fronte all’occasione storica dei negoziati di adesione all’Ue
La settimana del 22-29 marzo 2020 può, a tutti gli effetti, definirsi “storica” per la giovane Repubblica di Macedonia del Nord che ha appena festeggiato il 29° anniversario dell’indipendenza. In quella settimana, caratterizzata già dallo scoppio e rapido propagarsi in tutto il mondo della pandemia, la Macedonia del Nord diventava membro ufficiale della NATO e il Consiglio Europeo decideva l’apertura dei negoziati di adesione con l’Unione Europea. Nello spazio di soli sette giorni si realizzavano, almeno in parte, gli obiettivi strategici del Paese (ovviamente la decisione sui negoziati rappresenta solo l’inizio del percorso di integrazione europea) che tutti i governi fin qui succedutisi, incluso l’attuale appena entrato in funzione, hanno avuto tra le principali priorità. Si tratta di risultati da sempre perseguiti da Skopje (la Macedonia del Nord fu il primo Stato della regione candidato all’adesione Ue fin dal dicembre 2005) e a cui l’Italia, membro fondatore dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, ha costantemente dato un forte e sincero sostegno, per la stabilità del Paese e dei Balcani occidentali: una regione, dall’altra parte dell’Adriatico, strategica per l’Europa e per l’Italia, con cui esistono vincoli bilaterali storici, politici, sociali ed economici profondissimi.
La Macedonia del Nord che si appresta a negoziare con Bruxelles appare diversa rispetto a qualche anno fa. Intanto nel suo nuovo nome costituzionale, frutto dello storico Accordo di Prespa del 2018 con la Grecia, che ha messo fine alla lunga querelle e aperto la strada per l’ingresso nella NATO. Poi nel clima che si respira a Skopje che, pur ancora alle prese con importanti problemi di fondo e la necessità, meglio impellenza, di riforme strutturali, sembra lontana da quella capitale che, il 27 aprile 2017, assistette sgomenta all’assalto contro il Parlamento e i suoi rappresentanti. Fu quello il momento - di cui fummo testimoni - in cui sembrò che il Paese fosse vicino ad un precipizio, lontano dai valori democratici, europei e occidentali e vicino a influenze esterne contrarie ad essi. La reazione delle forze politiche, della società civile e della comunità internazionale aiutò il Paese ad allontanarsi da pericolose derive antidemocratiche. Gli anni successivi hanno dimostrato che, pur tra errori e gravi scandali di corruzione a livello locale ed un sentimento di disillusione e frustrazione che si diffonde nella società macedone, l’Ue con le sue prospettive di adesione e il suo valore aggiunto rappresenta ancora un obiettivo concreto fondamentale per la trasformazione, maturazione democratica e modernizzazione del Paese.
I negoziati di adesione - che il nuovo governo guidato, per la seconda volta, dal socialdemocratico Zoran Zaev in coalizione con gli albanesi del DUI ed altre forze minori, auspica possano iniziare entro la fine dell’anno in corso con la convocazione della prima Conferenza Intergovernativa (se si supereranno le richieste bulgare) - restano uno strumento formidabile per stimolare e accompagnare i Paesi candidati nel lungo processo di riforme interne e adeguamento ai valori europei di base ed all’acquis communautaire. Come noto, si tratta nel complesso di un processo prevalentemente tecnico, ma la cui recente riforma della metodologia dell’allargamento, proposta lo scorso febbraio dalla Commissione Europea ed approvata dal Consiglio, ha introdotto importanti elementi di novità, tra cui l’attenzione particolare alle riforme fondamentali a livello di democrazia, stato di diritto ed economia, finalizzati a trasmettere un nuovo slancio al processo di adesione rendendolo “più prevedibile, più credibile, più dinamico e soggetto a una guida politica più forte”, sulla base di criteri oggettivi, di condizioni positive e negative rigorose e della reversibilità.
Il nuovo governo e le istituzioni macedoni sembrano consapevoli dell’opportunità storica offerta dall’Ue per dar vita ad una stagione di riforme, con effetti positivi per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e prospettive migliori per le nuove generazioni che oggi si trovano davanti alla dolorosa scelta dell’emigrazione per la realizzazione del proprio futuro.
E se nella precedente legislatura l’esecutivo di Skopje aveva concentrato l’attenzione in via prioritaria sulle relazioni di buon vicinato e la soluzione di controversie decennali (da cui il Trattato di Amicizia con la Bulgaria e il citato Accordo di Prespa con la Grecia) diventando un “modello positivo” per tutta la regione, questo mandato dovrebbe essere caratterizzato dalle impellenti riforme interne chieste da Bruxelles, ma anche dagli stessi cittadini macedoni: su tutte l’applicazione dello stato di diritto e l’indipendenza della magistratura, una più efficace lotta contro la corruzione e il crimine organizzato, il rispetto dei diritti umani. Analoghi sforzi dovranno essere rivolti anche all’implementazione delle riforme votate che ha rappresentato finora una delle principali criticità.
L’Italia è da sempre uno dei maggiori sostenitori delle aspirazioni europee ed euro-atlantiche della Macedonia del Nord attraverso il dialogo politico ai massimi livelli, grazie anche all’intensificazione degli incontri e visite istituzionali negli ultimi anni; la cooperazione nella lotta contro la corruzione; l’eccellente cooperazione giudiziaria e di polizia; l’interscambio commerciale e gli investimenti. Del resto, la posizione italiana è sempre stata coerente e leale anche, vorrei dire soprattutto, nei momenti più difficili, come dopo il Consiglio europeo dell’ottobre 2019 quando, di fronte all’ennesimo rinvio della decisione sull’apertura dei negoziati, fu proprio grazie alla decisa iniziativa del nostro Paese che il tema dell’allargamento rimase tra le priorità di un’agenda europea già fitta e complessa, dando inizio ad un fruttuoso dialogo con la Francia ed altri Stati Ue sulla riforma della metodologia e, come ricordato all’inizio, alla decisione di aprire i negoziati.
Il ruolo dell’Italia nel Paese e nella regione, riconosciuto e apprezzato da tutti, non si è limitato in questi anni a favorire l’adesione di Skopje alla NATO e il suo percorso di integrazione europea, ma si è coerentemente esteso a tutte le istituzioni multilaterali regionali e le iniziative intergovernative (come l’Iniziativa Centro-Europea, l’Iniziativa Adriatico-Ionica, il Processo di Berlino), strumenti finalizzati ad avviare l’integrazione regionale e la progressiva integrazione dei Balcani occidentali e, al contempo, a favorire il rafforzamento delle nostre relazioni bilaterali con i sei Paesi della regione. Non è un caso che sia stata proprio la Presidenza italiana del Processo di Berlino, con il successo del Vertice di Trieste nel luglio del 2017, a rilanciare il tema dell’allargamento ai Balcani occidentali, rimasto in quegli anni ai margini del dibattito politico dopo le inequivocabili dichiarazioni dell’allora Presidente della Commissione Juncker all’inizio del mandato (“nei prossimi cinque anni non vi saranno allargamenti dell’Unione Europea”). Trieste ha aperto la strada alla Strategia della Commissione per i Balcani occidentali (febbraio 2018) e al successivo Vertice UE-Balcani occidentali nel maggio dello stesso anno.
Inequivocabile quanto affermato di recente dal Presidente della Repubblica Stevo Pendarovski secondo cui l’Italia è “il miglior alfiere della prospettiva euro-atlantica dei Balcani occidentali”.
Ciò che attende la Repubblica di Macedonia del Nord non sarà semplice, così come non semplice fu il percorso che portò ad approvare le modifiche costituzionali necessarie per l’implementazione dell’Accordo di Prespa (cioè il cambio del nome). In un clima di crescente polarizzazione politica, saranno necessari sforzi congiunti di maggioranza e opposizione attraverso un dialogo più inclusivo ed un’opposizione più costruttiva, ma anche il contributo delle altre istituzioni macedoni e quello cruciale della società civile per non sprecare questa opportunità storica affrontando al meglio la sfida dei negoziati e incidendo positivamente sulla portata delle riforme. Ciò che è in gioco non è l’esistenza di un esecutivo o il consenso immediato dei partiti politici. Al centro di tutto si situa un superiore interesse comune: il futuro democratico e moderno del Paese e le speranze delle sue giovani generazioni.