L’Albania e la sua prospettiva europea
Settant’anni fa, mentre l’Europa si lasciava alle spalle l’esperienza della seconda guerra mondiale, l’Albania di Enver Hoxha si lasciava alle spalle l’Europa, chiudendo i suoi confini per oltre quattro decenni.
La morte del leader comunista nel 1985 segnava la fine di un regime dittatoriale e autarchico che doveva implodere agli inizi del 1990. L’arrivo a Bari l’8 agosto del 1991 di ventimila migranti albanesi a bordo della nave “Vlora” rappresenta uno spartiacque storico tra il “prima” e il “dopo”. È l’immagine di un Paese e del suo popolo che, dopo decenni di isolamento, vuole tornare in Europa. Ed è simbolicamente in quel momento, dalle banchine del porto pugliese, che inizia il cammino europeo dell’Albania.
Un percorso che parte formalmente con la richiesta di adesione all’Unione Europea del 2009 e prosegue con l’ottenimento nel 2014 dello status di Paese candidato. Il terzo, fondamentale passaggio è quello di marzo di quest’anno, con il via libera (seppur condizionato) dato dal Consiglio Ue all’avvio dei negoziati.
Dopo la delusione per il veto opposto dal Consiglio Europeo ad ottobre del 2019 all’apertura dei negoziati, la luce verde giunta in marzo è stata fondamentale per mettere il punto ad una lunga quanto travagliata fase di preparazione che l’Albania ha affrontato in maniera spesso sincopata e poco lineare. Una fase comunque positiva, al punto che già due anni fa (e per due volte di seguito) la Commissione Europea aveva certificato l’idoneità di Tirana ad iniziare i negoziati.
La “macchina” albanese è in via di approntamento. In vista dell’avvio dei lavori con Bruxelles – che partiranno solo dopo la convocazione della prima Conferenza Intergovernativa Ue-Albania (ad oggi, la data non è stata ancora fissata) – l’Ambasciatore Zef Mazi sarà il Capo negoziatore per Tirana. Scelto per la sua ampia e consolidata esperienza nei consessi e nei negoziati multilaterali (ha lavorato lungamente all’OSCE e poi all’AIEA), a livello politico Mazi risponderà direttamente al Primo Ministro Edi Rama. È poi prevista una sorta di monitoraggio dei negoziati da parte del “Consiglio Nazionale per l’Integrazione Europea” (CNIE) – un foro a vocazione bipartisan in cui siedono le Istituzioni, le forze dell’opposizione e i rappresentanti della società civile – che si è già riunito due volte. L’ultima sessione si è tenuta a giugno scorso, quando è stato illustrato un primo “Action Plan” che rimanda alle condizionalità indicate dal Consiglio Ue di marzo (consolidamento dello stato di diritto in senso largo, riforma elettorale, lotta alla criminalità, ecc.) che andranno preliminarmente soddisfatte affinché la prima Conferenza Intergovernativa possa essere convocata.
È difficile che la Conferenza possa esser convocata entro il 2020. Molto probabile che slitti al 2021, un anno che si preannuncia complesso per l’Albania perché si svolgeranno le elezioni politiche. Vista l’alta conflittualità e la frammentazione della dialettica tra i partiti, non è escluso che anche l’aspirazione europea e i relativi preparativi finiscano ostaggio dello scontro elettorale. Lo scenario in chiave europea che non aiuterebbe a rasserenare il clima (anzi, getterebbe ulteriore benzina sul fuoco) riguarda il paventato disallineamento tra la convocazione della prima Conferenza Intergovernativa per l’Albania e quella per la Macedonia del nord. Una simile evenienza alimenterebbe nuove polemiche interne e indebolirebbe uno spirito di unità nazionale che, in questa fase storica, è già precario di suo. Con il rischio di un ulteriore danno collaterale: l’ennesimo rallentamento dello sforzo riformatore in atto.
D’altra parte, va detto che sono proprio questi sforzi a rimanere il parametro su cui si misura la serietà di intenti del governo albanese. Se l’aspirazione europea è il filo che unisce tutti i governi succedutisi nell’era post-comunista, è sul banco di prova dei fatti che l’Albania sarà chiamata ad agire.I fronti sono numerosi: dal completamento della riforma della giustizia al contrasto della criminalità organizzata e narcotraffico, dal rafforzamento della pubblica amministrazione alla lotta alla corruzione, dal miglioramento del “business climate” al varo di un quadro normativo che rafforzi il mercato interno e stimoli gli investimenti dall’estero.
Non bisogna tuttavia essere troppo severi. Vanno riconosciuti con onestà gli enormi progressi compiuti dall’epoca della nave “Vlora”. Tirana è oggi una città europea in pieno sviluppo (una delle poche città dei Balcani che cresce demograficamente), lo sforzo nell’ammodernamento infrastrutturale del Paese è visibile, aziende internazionali piccole e grandi investono capitali, il tasso di crescita dell’economia pre-COVID è stato robusto per anni, c’è una società civile che si sta consolidando e che non esita ad incalzare “il potere”. Così come vanno considerati positivamente i più recenti progressi nel campo della giustizia (il varo della nuova Procura Speciale Anticorruzione, l’attivazione dell’Ufficio Nazionale per l’Investigazione che la sosterrà, ecc.) e l’introduzione di nuovi strumenti per il contrasto alla criminalità.
Tutti passi in avanti, certo. Che però non bastano. Molto resta da fare ed è per questo che l’avvio effettivo dei negoziati va garantito al più presto. Perché soltanto in quel momento la Ue potrà disporre di tutta una serie di leve giuridicamente vincolanti per stimolare il governo albanese a proseguire le riforme e ad allinearsi sempre di più, senza ripensamenti o passi indietro, all’acquis europeo.
Ruotando di 180 gradi, la “questione albanese” va però vista anche da un’altra prospettiva. E cioè che avere un’Albania “europea” è anche una nostra priorità. Incastonata nei Balcani occidentali a poche miglia di distanza dalle nostre coste, l’Albania - come gli altri Paesi della regione - è oggetto di attenzioni crescenti da parte di attori extraeuropei. Soprattutto Turchia, Cina e Russia coltivano il disegno di proiettare la loro influenza in questo lembo del continente europeo non ancora integrato nella “casa comune”, facendo ampio uso di soft power variamente declinato sotto forma di accordi commerciali, di investimenti nei settori chiave (energia, trasporti, infrastrutture), di finanziamenti a volte erogati (improvvidamente) su base confessionale ed altre ancora indirizzati al settore strategico dei media e dell’intrattenimento.
Tirana ha da tempo operato una scelta euro-atlantica netta, che ne accresce le potenzialità in chiave di difesa e di consolidamento del progetto europeo. Ma nell’attuale congiuntura, dove la reversibilità delle scelte (perfino di quelle più strategiche) pare essere il nuovo registro nelle relazioni internazionali, anche l’Albania non può esser data per scontata. È un rischio di cui la Ue e gli Stati membri più “albano-scettici” devono essere consapevoli: alzare continuamente l’asticella, apparentemente per garantire un ingresso più morbido ma in realtà per rinviare all’infinito l’adesione albanese all’Unione, può avere delle conseguenze.
Su questo sfondo articolato spicca il ruolo dell’Italia. Per motivi storici, geografici, sociali, economici e commerciali, i nostri due Paesi rimangono legati da un rapporto unico e imprescindibile. Abbiamo sempre difeso le aspettative europee dell’Albania e continueremo a farlo anche in futuro. Il raccordo bilaterale con i partner europei più sensibili alle istanze albanesi – l’Italia in primis – sarà peraltro decisivo nell’ottica di un sostanziale avanzamento delle riforme richieste a Tirana dall’Europa. L’assistenza italiana nel campo della giustizia con nostri tecnici ed esperti del diritto, la cooperazione bilaterale a livello di Ministeri dell’Interno e della Giustizia, la lotta alla criminalità organizzata con l’impiego di squadre investigative congiunte, le sinergie attivate tra la nostra Procura Nazionale Antimafia e la Procura speciale anticorruzione albanese, le campagne sorvoli della Guardia di Finanza per l’eradicazione delle piantagioni di cannabis in territorio albanese: sono tutte attività che confermano il ruolo svolto dall’Italia nel facilitare il via libera ai negoziati di adesione. Indicano allo stesso tempo le piste prioritarie su cui continuare a lavorare per il futuro approdo europeo del Paese delle Aquile.
Va ribadito con chiarezza. Si tratta di un approdo che risponde anche ad un nostro preciso interesse nazionale. Perché per noi non si tratta di uno Stato qualunque, ma del “Paese di fronte” (dal titolo di un bel documentario sull’Albania dell’Istituto Luce di qualche anno fa).