Crisi della cittadinanza e alleanze polifoniche

Francesco Ferri
Programme Developer Migration, Action Aid Italia

Sono finalmente maturi i tempi per la riforma della legge sulla cittadinanza? Le possibili risposte a questa domanda variano, in maniera radicale, col variare della specifica prospettiva a partire dalla quale si osserva il tema. Dal punto di vista delle nuove generazioni escluse dalla cittadinanza italiana, una nuova disciplina delle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana è un’urgenza non più rinviabile. La prospettiva indicata dall’attivismo delle e dei giovani non formalmente italian* - in alcune fasi molto visibile nello spazio pubblico, in altre sviluppato in maniera carsica - indica, senza possibilità di equivoci, che è indispensabile modificare in maniera sostanziale la legge attuale, la n. 91 del 1992.

Viceversa, questa urgenza non sembra trovare spazio nell’attuale scenario politico. L’architettura dell’attuale maggioranza sembrerebbe suggerire per lo meno cautela sulle prospettive di esito politico. Più in generale, il giusto momento per l’approvazione della nuova legge sembra non arrivare mai. Nel periodo precedente alla pandemia, anche quando si sono configurate maggioranze parlamentari teoricamente favorevoli, il tema della riforma della cittadinanza non ha mai occupato i primi posti dell’agenda politica. La costante incombenza di altre priorità, da affrontare prima dell’approvazione della legge sulla cittadinanza, è una delle retoriche che ha contribuito a strutturare una sostanziale impasse istituzionale.

Che fare per invertire la tendenza? Può essere utile provare a mettere a fuoco quali sono i termini specifici dell’attuale crisi della cittadinanza. Se inquadrata da una prospettiva più ampia, questa crisi ci riguarda tutt* da molto vicino.

Doppia crisi

Le motivazioni per le quali l’istituto della cittadinanza è strutturalmente in crisi sono costantemente richiamate nelle mobilitazioni di chi nasce, cresce o vive stabilmente in Italia ma è escluso dal riconoscimento della cittadinanza italiana. Nel 1991 gli stranieri residenti erano poco più di seicentomila. Ora tale cifra è superiore ai cinque milioni. Le donne e gli uomini che costituiscono la società italiana hanno una provenienza molto più variegata, eterogenea, molteplice rispetto a quando la disciplina della cittadinanza in vigore è stata elaborata.

In aggiunta, la legge attuale ha una dimensione compiutamente identitaria: lo ius sanguinis - la trasmissione genitoriale della cittadinanza italiana - è un criterio a tendenziale vocazione etnica. Chi nasce in Italia ed è figli* di genitori stranieri non consegue automaticamente la cittadinanza italiana: deve attendere il compimento dei 18 anni. Non di rado questa possibilità non si configura per via dello specifico iter previsto. Chi, nato all’esterno, cresce in Italia, non ha a disposizione neanche questa misura. Anche per gli adulti che risiedono stabilmente nel territorio nazionale l’acquisizione della cittadinanza è un esercizio molto complesso. La lunghissima continuità nella residenza e il requisito del reddito sono potenti strumenti di esclusione. Questi caratteri rendono la disciplina attuale una complicata corsa a ostacoli escludente e classista. La trasformazione dei caratteri della popolazione che vive in Italia e l’accelerazione della mobilità attraverso i confini hanno determinato la crisi irreversibile dell’attuale legge sulla cittadinanza. La pandemia globale ha reso più visibile la dimensione di questa crisi. La mobilità transnazionale diseguale e gli asimmetrici assetti del welfare in relazione allo status giuridico dei destinatari sono rappresentativi del salto di qualità nella crisi della cittadinanza configurato nell’ultimo anno.

Questa crisi può essere osservata anche da un’altra prospettiva, che riguarda da vicino molt* tra gli autoctoni. La parola cittadinanza, infatti, non indica soltanto l’appartenenza di un individuato a uno stato. È anche “il rapporto politico fondamentale, il rapporto fra un individuo e l’ordine politico-giuridico nel quale si inserisce” per usare, ad esempio, la definizione fornita da Pietro Costa. Frasi di uso corrente del tipo “la cittadinanza è invitata”, “sono un libero cittadino”, “appello alla cittadinanza”, ad esempio, afferiscono a questa seconda dimensione della cittadinanza.

Se la cittadinanza - intesa come status - è in crisi, quest’altra dimensione politica della cittadinanza non gode affatto di buona salute. Nel corso della seconda metà del Novecento europeo, la figura del cittadino e quella del lavoratore sono state per molti aspetti sovrapponibili. Il lavoro è stato, per lunghissimi decenni, la porta di accesso alla cittadinanza intesa come rapporto politico fondamentale. Nell’anno pandemico la “dissoluzione” del lavoro ha subito un nuovo impulso, con interi settori fermi e l’aumento dei lavoratori disoccupati, e con l’ulteriore precarizzazione ed erosione delle tutele giuridiche e welfaristiche dei rapporti di lavoro. Processi strutturali - la frammentazione delle figure del lavoro, la precarizzazione diffusa, la ristrutturazione del welfare, la crisi della democrazia rappresentativa, la critica femminista, i movimenti antirazzisti – e crisi periodiche hanno perciò contribuito a determinare il declino generalizzato del modello di cittadinanza configurato a partire dal secondo dopoguerra.

Alleanze impreviste
La crisi della cittadinanza-status in ragione dei movimenti tra i confini che ridisegnano la composizione della popolazione e la crisi della cittadinanza-rapporto politico fondamentale subiscono, quindi, una verticale accelerazione sotto la scure della diffusione della pandemia e delle misure finalizzate al contenimento. Questa dimensione può configurare anche un’opportunità? È possibile immaginare percorsi di convergenza tra le diverse soggettività che fanno i conti con le conseguenze della doppia crisi della cittadinanza? In che termini posture apparentemente molto diverse possono sovrapporsi e sostenersi?

Una possibile traccia è segnata dalle specifiche richieste articolate nelle mobilitazioni delle e dei giovani non formalmente italian*. Sembrerebbe, a uno sguardo superficiale, che le cd. nuove generazioni si mobilitino unicamente per rivendicare il diritto a una disciplina dell’acquisizione della cittadinanza italiana che sia in linea con la composizione molteplice dell’odierna società. Se questo è il tratto generale di molte mobilitazioni, andando un po’ più a fondo si scorge - negli interventi pubblici, nelle discussioni organizzative, nei comunicati, nelle prese di parola - la presenza strutturale di temi altri rispetto a quelli strettamente connessi alla legge 91 del 1992 e alla sua necessaria riforma. Molte e molti attivist*, ad esempio, denunciano la posizione subordinata all’interno del mercato del lavoro, l’accesso differenziato al welfare, l’esclusione dalle forme classiche della decisione politica. Le parole d’ordine tutele nel mercato del lavoro, welfare, partecipazione politica qualificano le prese di posizione delle e dei giovani non formalmente italian* e, allo stesso tempo, molto spesso risuonano anche nelle mobilitazioni delle e degli autoctoni impoveriti dalla crisi pandemica.

È immediatamente immaginabile un'alleanza programmatica tra l’attivismo per la riforma della cittadinanza e le mobilitazioni di chi è formalmente cittadin* italian* ma è, dal punto di vista della condizione sociale ed economica, in posizione subalterna? È uno degli aspetti dirimenti del nostro tempo. La conquista di nuovi diritti di cittadinanza può accompagnare, in uscita dalla crisi pandemica, il desiderio di radicale alterità formale, materiale, sociale, politica. Nell’ultimo anno, soggettività con percorsi, attitudini, biografie anche significativamente diverse hanno fatto comune esperienza della fragilità esistenziale. Questa percezione diffusa può favorire l’attitudine a manifestarsi nello spazio pubblico in polifonia, costruendo, a partire dalla propria differenza, una sinfonia comune.

Difficilmente ci saranno tempi maturi per la riforma della cittadinanza - e per una nuova grammatica dell’essere cittadin* - senza movimenti diffusi in grado di incidere sull'agenda politica e ridefinirne le priorità. L’inedita alleanza tra soggettività con caratteristiche differenti può aumentare verticalmente l’incisività delle mobilitazioni. Uguaglianze e differenze possono essere articolate insieme: dalla capacità di attivarsi in polifonia passa buona parte del futuro radicalmente alternativo ancora conquistabile.

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*Il testo contiene gli asterischi al posto della vocale finale maschile/femminile

26 Gennaio 2021
di
Sebastiano Ceschi