La partecipazione e le lotte per il lavoro come forma di inclusione. Il caso della logistica
Sotto il punto di vista lavorativo, la condizione degli immigrati nella società italiana appare all’insegna di una integrazione “subalterna”, che vede il lavoratore extracomunitario occupato principalmente nelle attività, nelle mansioni e nelle forme salariali rifiutate dai lavoratori italiani, non di rado in situazioni di irregolarità e precariato.
Nell’immaginario collettivo quando si parla di lavoro e migrazione vengono spesso alla luce le immagini del migrante sfruttato e passivo (spesso definito ‘invisibile’) di fronte ad ogni forma di sopruso e soggiogamento da parte dei datori di lavoro.
L’assenza di documenti, così come le condizioni di vulnerabilità socio-economica nelle quali molti dei migranti vivono, oltre a rappresentare la base dello sfruttamento in vari settori produttivi, sono anche le cause principali della mancata integrazione all’interno della comunità cosiddetta ospitante.
Le immagini delle baraccopoli di San Ferdinando o i diversi casi di grave sfruttamento in agricoltura, oltre ad aver scatenato diverse reazioni da parte della società civile e dell’opinione pubblica in generale, hanno anche catalizzato una serie di mobilitazioni da parte dei migranti stessi che in più occasioni hanno manifestato davanti le sedi istituzionali locali, nazionali e davanti le aziende che smontano di fatto l’immaginario del migrante ‘invisibile’.
La mobilitazione e la partecipazione politica dei lavoratori migranti è ancora più forte all’interno dei magazzini della logistica, settore che negli ultimi anni sta assumendo sempre più centralità all’interno dell’apparato produttivo italiano e che vede un’ampia presenza della manodopera straniera.
Manodopera che, grazie alla partecipazione attiva all’interno dei sindacati di base, sembrerebbe avere intrapreso un percorso particolare di integrazione.
In effetti, analizzando i meccanismi con i quali si è concretizzata, ci accorgiamo che l’inserimento sociale di buona parte dei lavoratori del settore della logistica non è avvenuta attraverso tappe formali (spesso legate all’accoglienza), ma attraverso pratiche di lotta e di emancipazione che negli anni si sono moltiplicate all’interno degli hub e dei grandi magazzini di stoccaggio e distribuzione delle merci.
A partire dall’impegno per i propri diritti lavorativi e la partecipazione alle mobilitazioni, spesso accompagnata da un ruolo attivo all’interno del sindacato (soprattutto quelli di base), i lavoratori migranti hanno potuto intraprendere un percorso di conoscenza dei meccanismi e delle leggi che regolano il mercato del lavoro, arrivando ad aggiungere la propria voce e a dare nuovo slancio alle lotte dei lavoratori.
Questo processo non ha solo sviluppato una maggior presa di coscienza del loro status di sfruttati e precari, ma ha dato il via ad una serie di ‘competenze’ acquisite in maniera del tutto volontaria e strategica durante le loro azioni.
La pedagogia della lotta.
La partecipazione attiva da parte dei lavoratori della logistica alle azioni di sciopero all’interno del posto di lavoro ha attivato quel processo di interiorizzazione delle azioni esterne che, secondo lo psicologo Vygotsky, fa sì che “un’operazione che inizialmente rappresenta un’attività esterna, è ricostruita e comincia a prodursi internamente” (Vygotsky, L. S. (1978). Mind in Society. The Development of Higher Psychological Processes. Cambridge: Harvard University Press).
Questo passaggio di conoscenza dall’esterno all’interno non è nient’altro che una presa di coscienza non solo della condizione di sfruttato all’interno del posto di lavoro ma di quali siano effettivamente i fattori strutturali che la determinano.
La partecipazione attiva dei lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro e l’affiliazione al sindacato ha fatto sì che gli stessi, seppur non avendo partecipato ad un percorso formale di integrazione, abbiano di fatto sviluppato un capitale umano e sociale tale da potergli consentire una piena conoscenza dei loro diritti come lavoratori e delle leggi che regolano il mercato del lavoro.
In questo passaggio risiede ciò che Vygotsky concepisce come interiorizzazione nella quale “l'attività o la prestazione non sono semplicemente "copiate" in un piano di coscienza esistente come competenza, ma
il transfert interiore delle neoformazioni è il processo che sviluppa tale piano mentale” (Smet, B. D. (2015). A Dialectical Pedagogy of Revolt: Gramsci, Vygotsky, and the Egyptian Revolution. Netherlands: Brill).
Il lavoratore della logistica, in questo senso, non assimila soltanto le tecniche della lotta in sé, ma essendone partecipe e protagonista, né assimila le problematiche e le possibili soluzioni.
Seppur molti lavoratori stranieri impiegati all’interno dei magazzini dello stoccaggio delle merci, fino a qualche tempo fa, avevano un capitale umano molto alto (Cuppini, N., Pallavicini, C. (2015). Le lotte nella logistica nella valle del Po. SOCIOLOGIA DEL LAVORO. 210-224), l’assunzione di ulteriore manodopera straniera ha portato all’interno dei luoghi di lavoro anche lavoratori che fino a poco tempo prima rappresentavano la fetta più vulnerabile delle comunità dei migranti.
Seppur sindacati come il SI Cobas o USB (maggiormente presenti all’interno dei magazzini) abbiano una struttura verticale rigida, le loro dimensioni ridotte e la vicinanza ai vertici fanno sì che lo scambio tra vertici e base sia più costante.
Questo scambio ha di fatto avvantaggiato sia lo sviluppo di rappresentanti sindacali di origine non italiana e sia una maggior coesione tra lavoratori stessi. Infatti, in molte delle realtà della logistica e durante le recenti proteste e picchetti all’esterno del magazzino, abbiamo visto lavoratori italiani e stranieri uno affianco all’altro per la rivendicazione di migliori condizioni lavorative e, in alcuni casi, a difesa del posto di lavoro.
Nonostante la precarietà giuridica sia uno dei fattori strutturali che generano precarietà e sfruttamento lavorativo (Barberis E., Battistelli S., Campanella P., Polidori P., Righini E., Teobaldelli D., Viganò, E. Vulnerabilità e irregolarità dei lavoratori nel settore agricolo: percezione, determinanti, interventi, Agriregionieuropa anno 14 n°55, Dic. 2018), l’assenza di tutele fondamentali, la perdita del lavoro potrebbe costare loro la permanenza in Italia secondo la legge Bossi-Fini (espulsione o restare nella clandestinità), i lavoratori migranti all’interno dei poli della logistica hanno dimostrato più e più volte di non voler rinunciare agli scioperi e alle manifestazioni di protesta.
Dalla lotta all’integrazione
Nonostante molti studi abbiano analizzato a fondo gli indicatori per misurare l’integrazione dei migranti all’interno della società ospitante (Cellini E., Fideli R., Gli indicatori di integrazione degli immigrati in Italia. Alcune riflessioni concettuali e di metodo, Quaderni di Sociologia, 28|2002, 60-84), quello che si vuole constatare con questo contributo è soprattutto come le pratiche quotidiane dei lavoratori migranti all’interno del settore della logistica contribuiscano all’integrazione degli stessi all’interno del contesto del paese di arrivo.
Molto spesso i migranti che approdano nel nostro paese tendono ad affidarsi, sia se essi passano attraverso il sistema di accoglienza e sia se ne restano fuori, alle reti dei connazionali. Reti che sono costituite, come ci ricorda il sociologo Ambrosini (Ambrosini M., (2006) Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni, Working Papers, Università degli studi di Milano, Milano), da “complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso i vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine” (Ibid.) che, almeno inizialmente, rappresentano un’ancora di salvezza per i neo-arrivati e che, successivamente, possono rivelarsi delle vere e proprie gabbie.
La rete fornisce di fatto tutto ciò di cui il neo-arrivato necessita: dalla casa, al lavoro fino ai servizi di base.
Tali servizi, spesso elargiti dalla comunità di co-nazionali, finiscono per essere mercificati (il migrante paga anche per servizi che sarebbero offerti gratuitamente) contribuendo a quel processo di disempowerment del migrante costringendolo all’isolamento e all’esclusione sociale.
È in questo senso che bisogna intendere il motivo e la misura in cui i migranti all’interno dei poli della logistica sono integrati all’interno della società ospitante.
Essendo soggetti attivi all’interno delle attività sindacali, con il tempo hanno una visione più o meno chiara di quali siano i diritti e i doveri del lavoratore e prima ancora del cittadino.
Non si tratta di un migrante che parla in modo fluente la lingua italiana e che abbia assimilato la cultura del paese ospitante. Si tratta semplicemente di essere al corrente di ciò che si muove attorno ad esso e quali siano i ‘pericoli’ che potrebbero mettere a repentaglio le proprie condizioni di vita.
È questa coscienza che spinge molti dei lavoratori a mobilizzarsi sempre più, anche per il minimo problema nella busta paga mensile. Secondo quanto riportato da un delegato del sindacato SI Cobas, soltanto nel 2020, nella sola città di Roma sono state più di cento tra manifestazioni, picchetti all’esterno delle aziende e scioperi.
L’emergere di molti quadri sindacali migranti (all’interno di realtà come il SI Cobas, ADL Cobas e USB, per citarne alcune) ha fatto sì che molte delle vertenze, assemblee e sit-in davanti i poli della logistica venissero fatte con interventi multi-lingue, così come i volantini o i manifesti.
Queste modalità, oltre a facilitare la comprensione di concetti di per sé difficili, aiutano e aumentano il capitale umano del singolo lavoratore rispetto al funzionamento del mercato del lavoro e, più in generale, dei diritti e doveri di ogni singolo cittadino.
Ciò, naturalmente non vuol dire che ogni lavoratore sindacalizzato all’interno della logistica sia ben integrato all’interno del tessuto sociale del paese di destinazione e non presenti vulnerabilità al pari dei lavoratori, ad esempio delle campagne. Restano di fatto problemi strutturali legati al loro status giuridico (in primis i documenti e i permessi di soggiorno) che rappresentano di fatto gli ostacoli principali per rivendicare a pieno i propri diritti di cittadini e di lavoratori.
Tuttavia, nelle vicende di mobilitazione e protagonismo dei lavoratori immigrati nel settore della logistica si coglie, in maniera rinnovata e forse rinascente, la positiva funzione storica e politica del lavoro: quella di integrazione nella società e di accesso ai diritti e alla cittadinanza, anche attraverso una solidarietà orizzontale (“di classe”) che supera le differenze di provenienza e di cultura. Resta da vedere se e come tali lotte apriranno scenari più ampi di impegno e di conquiste sia per i lavoratori tutti che, più specificamente, per quelli con background migratorio.