Per l’Europa o contro l’Europa?
E’ questo il dilemma che caratterizza l’attuale situazione europea e le prospettive future e in vista delle prossime elezioni del maggio 2019. Nella nostra migliore tradizione di autoflagellazione collettiva, non mancano gli epiteti negativi per definire il momento attuale. Viviamo tempi turbolenti, convulsi, privi di solidarietà, al posto della promessa della “fine della storia” e del paradiso dopo la guerra fredda.
La contrapposizione sull’Europa si è fatta strada dopo il superamento dell’ultima crisi della costruzione europea, per ragioni che è opportuno analizzare. Il punto fondamentale è che stiamo assistendo al consolidamento dello spazio pubblico europeo in quanto tale. Non si guarda più ai risultati delle elezioni dei paesi membri o alle loro decisioni in materia di politica estera nel modo in cui lo facevamo in passato. Due sono le cause fondamentali di questo cambiamento, strettamente collegate: l’Euro come moneta unica che, nonostante le sue debolezze, rappresenta il valore che struttura quotidianamente la vita della società (si veda la questione greca e l’effimera promessa populista, espressa a mezza bocca, di tornare alla moneta nazionale). Ciò è indicato dall'evoluzione dell’opinione pubblica negli Stati membri, regolarmente misurata dall'Eurobarometro, per quanto riguarda il quadro in cui essa ritiene che debbano essere risolti i problemi economici e sociali.
La seconda ragione concerne la crescita del radicamento della cittadinanza europea, come è stato messo in evidenza dalla Brexit, che per entrambe le parti in causa, Unione Europea e Regno Unito, riguarda milioni di persone. Per costoro la Brexit non sarà dura o morbida, ma inciderà profondamente nelle loro vite.
Si può dire in sostanza che il populismo non è un invenzione venuta dall’esterno, ma è come il colesterolo del sangue della società. Il problema nasce quando sistematicamente si alimenta il colesterolo cattivo rispetto a quello buono con promesse miracolistiche o semplificatorie, inadeguate per realtà complesse e in fase di cambiamento.
Ma soprattutto, lo scontro tra chi è a favore e chi è contro l’Europa costituisce la tendenza che si è andata affermando dal 2017 in tutte le tornate elettorali in Olanda, Francia,Germania e - con tinte più drammatiche - in Austria e Svezia, e poi col complesso caso italiano che pone in evidenza lo scontro fra il populismo e la dura realtà sperimentata da tutti.
I calcoli preelettorali europei si stanno impostando in termini di democrazia parlamentare. Questo è ciò che significa sostanzialmente lo “Spitzenkandidat”: governa chi può guidare una coalizione sulla base del fatto di aver avuto il maggior numero di voti, sapendo che non vi saranno maggioranze assolute. Di fatto, è proprio questa l’evoluzione tendenziale che si sta affermando nei vari Stati membri. Ciò che conta è la capacità di costruire coalizioni. Non solo calcolando i risultati per singolo paese ma anche per famiglia politica, compresi i nazionalisti contrari all’Unione che intendono creare un blocco alternativo sulla base dello smantellamento di tutto ciò che è stato raggiunto, salvo la conservazione di Bruxelles come una sorta di bancomat.
Oggi bisogna discutere sulla capacità di creare un programma comune capace di attrarre consenso, più che su quella di rispondere alle bravate anti-UE come quelle di Farage o Le Pen, con Orban e Salvini nel ruolo di loro diligenti allievi.
L’ulteriore fattore decisivo per il futuro dell’Europa è il mutamento dello scenario internazionale. In primo luogo, per il mutato atteggiamento del suo principale partner e alleato, gli Stati Uniti, riguardo al quadro multilaterale e alle sue relazioni bilaterali, cui si aggiunge la definitiva affermazione della Cina come potenza mondiale. Per l’Unione si tratta di una sfida che richiede di rafforzare e sviluppare le politiche comuni in tema di sicurezza e difesa, come anche in ambito tecnologico, per non rimanere ai margini e poter essere tra i protagonisti principali del futuro.
L’Unione Europea ha bisogno di idee e strumenti per poter sopravvivere a un circostante contesto geopolitico avverso. La crisi dell’immigrazione pone in evidenza una doppia dimensione: quella dei rifugiati provenienti da situazioni di conflitto armato, che richiedono asilo, e quella dei giovani che vedono il paradiso in un telefono cellulare e cercano di raggiungerlo. Un’Europa che invecchia messa di fronte a un continente demograficamente più attivo, l’Africa.
Le risposte a queste sfide richiedono un sistema politico che affermi la propria sovranità e capacità. Per questo, il termine di moda è aumentare le “clausole passerella”, eufemismo tecnocratico per indicare il passaggio, nelle decisioni, dall’unanimità al voto a maggioranza: in altre parole il federalismo come obbligo, come necessità storica. Le persone sono sempre più coscienti che separati non ci salveremo. Per questo stavolta non serve mettersi, dopo le elezioni, a calcolare le somme parziali, ma bisogna valutare il totale di ogni famiglia politica e la sua incidenza entro uno spazio vitale condiviso, la stessa società civile.