Una postura autonoma della sicurezza
Dopo aver convissuto per 45 anni nell’ombra della competizione dei sistemi rivali di Washington e Mosca, in seguito al 1989 il mondo entrò per due decenni nell’ombrello della egemonia americana prima di vedersi coinvolgere – grazie al revisionismo russo e soprattutto all’ascesa cinese – in un ordine multipolare incentrato sulla nuova rivalità globale tra USA e Cina. L’Ue è un’entità legata a doppi fili economici, di sicurezza e di valori dominanti all’impero americano ma deve ancora interiorizzare la necessità di considerare un rivale strategico Pechino. Nel frattempo nei suoi confini orientali è sfidata da una potenza che gioca con le regole del sistema pre-wilsoniano per la parte che riguarda l’autodeterminazione dei popoli: la Russia.
L’Ucraina sta pagando il prezzo di una visione imperiale aggressiva imperante a Mosca. L’effimero armistizio geopolitico del 1989-2014 tra Vecchio Continente e Russia sostava sull’assunto che l’Ue, parte dell’impero atlantico USA per essersi maggiormente posta (tramite l’appartenenza di 21 dei suoi membri nella NATO) alla garanzia di sicurezza fornito dall’ombrello nucleare americano, avrebbe contenuto il vicino russo (geopoliticamente insicuro e storicamente votato alle espansioni territoriali e d’influenza) tramite forti legami economici. Questi legami hanno portato l’Europa a subire la dipendenza energetica da Mosca ma non le hanno portato più sicurezza per il fallimento della tattica di contenimento delle mire espansive russe. Cominciando a imporre sanzioni contro Mosca dopo l’annessione della Crimea l’Ue diventò (malvolentieri) un avversario della Russia.
L’Ucraina è la più importante e sanguinante ma non rappresenta l’unica faglia del sistema di sicurezza della Ue. Nei Balcani Occidentali (da due decenni nel limbo di una promessa di allargamento da Bruxelles) è cresciuta – oltre a quella russa - la penetrazione di una grande potenza come la Cina popolare e una aspirante tale quale la Turchia. Ankara sta rendendo impervio l’ingresso nella NATO dei membri Ue Svezia e Finlandia. Oltre ai legami economici e un soft power dimostratosi durante la crisi del Covid-19, Pechino rientra tra i venditori di armamenti alla Serbia, che negozia l’ingresso nell’Ue tenendo la sua politica estera non allineata con Bruxelles, come testimonia la mancata adesione alle sanzioni contro Mosca.
Bagnata dal Mediterraneo, l’Ue confina pericolosamente in questo mare con il Medio Oriente e il Nord Africa, territori di crisi guerreggiate (Siria, Libia) che esacerbano le tensioni in Europa tramite costanti flussi di migranti. In mancanza di leverage sul terreno, Bruxelles (accordo con Turchia del 2016) o suoi stati membri (Piano italiano del ministro Minniti nel 2017) sovvenzionano la gestione della sicurezza migratoria europea da paesi con record negativi di valori democratici in nome di una “Realpolitik” che non protegge da ricatti di stracciare gli accordi o lassismo su questi patti. Ankara e Mosca si sono assicurate anche una presenza militare in Siria e Libia, garantendosi un’altra sponda di pressione umana sulla Ue.
La guerra d’Ucraina deve suonare, in un momento nel quale si sta ultimando la rescissione del legame sull’energia tra Ue e Mosca, come il momento in Europa nel quale le necessità politiche di sicurezza prendono il sopravento sulle considerazioni economiche che hanno alimentato i legami con Russia e Cina. La postura dell’Ue nel mondo anarchico simboleggiato dalla sfida russa dentro il Vecchio Continente deve puntare con un passo deciso a serrare politicamente i ranghi per snellire il processo decisionale interno, adattarlo così all’altezza delle sfide alla sicurezza e proiettarlo verso la competizione imposta dal nuovo ordine multipolare, nel quale ogni sfera (economia, tecnologia, proiezione militare, materie prime, migrazioni) diventa un’arma.
È diventata una necessità improcrastinabile all’interno dell’Ue il superamento del sistema decisionale all’unanimità almeno per questioni attinenti a sicurezza e allargamento. Affermando che “i trattati europei non sono scritti nella pietra”, in un discorso a Praga nell’agosto scorso il cancelliere tedesco Scholz ha reso pubblica la proposta tedesca di passare gradualmente a votazioni di maggioranza nei campi della politica estera, sanzioni e diritti umani. Tenendo presente il truismo storico che l’asse portante Ue rimane quello Berlino – Parigi, è fondamentale che le due capitali inizino a concordare le loro posizioni in funzione dell’attuazione dell’intendimento e coinvolgere poi gli altri paesi membri.
L’“autonomia strategica” di marca francese potrebbe risultare integrabile con la “sovranità strategica” coltivata a Berlino tenendo presente che il rafforzamento della sfera tecnologica nella sicurezza Ue – caposaldo della visione tedesca - fa parte dei contenuti del pilastro sugli investimenti della Bussola Strategica dell’Unione. La Germania sta ultimando la creazione di una agenzia federale di trasferimenti e innovazione dalle università e istituti di ricerca, che potenzialmente potrebbe aiutare anche lo sviluppo ulteriore dello strumento militare se diretto in tal senso e rafforzare una sicurezza paneuropea se si integrasse con politiche comunitarie in tal senso dell’Unione. Dopo il 24 febbraio 2022 Parigi – potenza Ue che autonomamente fa parte dei fautori dell’hard power (interventi in anni recenti in Libia, Mali e contro lo Stato Islamico) - è entrata nella linea di pensiero che annovera una guerra su larga scala sul Vecchio Continente come una eventualità più vicina, iniziando un percorso di adattamento su quest’assunto della sua dottrina strategica, dove il rafforzamento della cooperazione NATO-Ue e un potenziamento della capacità di risposta dell’Unione a sfide di sicurezza sono specificatamente menzionate. Nella prospettata linea d’azione francese rientra la maggiore flessibilità nell’attuazione dell’articolo 44 del Trattato Ue, il quale disciplina l’implementazione dai paesi membri del mandato d’intervento in casi di gestione di crisi e stabilizzazione post-conflittuale, aree che vedono attualmente l’Unione impegnata in Bosnia-Erzegovina e Kosovo.
In ambito Ue il rischio di schiacciamento geopolitico del Continente è rappresentato dalla eventualità che – dopo Trump – gli USA non risultino essere stabilmente il lido imprescindibile di sicurezza degli ultimi 75 anni per l’Europa. La forza di protezione americana attrae la “Nuova Europa” dell’Est (soprattutto Polonia ma anche le tre repubbliche baltiche), che sono nel loro costrutto geopolitico antirusse e intrinsecamente alleati saldi dell’America in chiave anti-Mosca. La corrente social-popolare che ha portato alle valanghe elettorali di Trump rimane forte negli USA e la creazione di un sistema di sicurezza in Europa incentrato dentro l’Ue e non anti-NATO è il miglior modo per tenere unite in comune postura sulla difesa le parti occidentali e orientali del nostro continente in caso di nuovi sconvolgimenti a Washington, che potenzialmente avrebbe una colonna di alleati volenterosi all’Est del Vecchio Continente nel caso vedesse di nuovo come alleati non necessari Berlino e Parigi come avvenne con l’ex-inquilino della Casa Bianca. In quest’ottica di potenziale allontanamento delle sponde dell’Atlantico è vitale che l’Ue, per rimanere saldamente ancorata anche in materia di sicurezza ai suoi valori liberaldemocratici fondanti, agganci a ogni suoi piano di potenziamento militare i paesi dell’Est.
Il legame con Washington, comunque, rimane imprescindibile per la sicurezza europea ancor di più da quando – legando a sé nella guerra ucraina la Bielorussia, che de jure non ha impedimenti a ospitare armi nucleari ed è stata nel 2021 un fattore di destabilizzazione anti-Ue usando come arma gli immigrati mediorientali al confine con la Polonia – Mosca ha una portata territoriale più assertiva ai confini dell’Est. Non è da escludersi – come afferma il think tank atlantista CEPA – che “l’impegno a non installare basi permanenti nucleari nei paesi orientali della NATO sia da considerarsi datato” nel caso la crisi con la Russia scivoli più d’ora nella pace armata. Tout court, è la NATO imperniata sulla leadership americana ad avere il monopolio della forza risolutiva a proteggere l’Ue, per i cui membri europei arrivare al minimo del 2% della spesa in difesa sul PIL è un must imperativo per essere più preparati ad ogni scenario ed evitare nuove tensioni con Washington dopo aver preso quest’impegno nel 2014. Secondo stime ufficiali del giugno 2022 diffuse dall’Alleanza i paesi membri Ue della NATO che raggiungono il pattuito 2% di spesa risultano solo Grecia, Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia e Slovacchia.
Negli ultimi 20 anni (sin dalla guerra in Iraq nel 2003 e le tensioni d’allora con Berlino e Parigi) il progressivo ritiro USA dalle interazioni pienamente amichevoli con i paesi Ue – dopo che Washington aveva pacificato con la forza della NATO le guerre nei Balcani dentro l’Europa - e in contraltare l’assertivismo militare ed economico della Russia a Est del Continente ha messo l’Unione di fronte alla sfida irrinunciabile di cercare una potente voce autonoma nel mondo anche nei campi della difesa e sicurezza. La guerra in Ucraina mette al centro dei calcoli di potenza la geopolitica e orienta per una accelerazione storica alla necessaria creazione di una sfera di sicurezza il più largamente autonoma paneuropea che sia – nella impossibilità e indesiderabilità ad emanciparsi dall’ombrello protettivo della NATO a guida americana ma assumendo un non escludibile allentamento del legame transatlantico – il più inclusiva possibile di tutti i membri Ue. Essa può poggiare sulla forza militare francese (paese dotato di armi nucleari possibili di uso autonomo), il potere tecnologico-industriale tedesco, la centralità ai confini con il Levante dei paesi-cardine sul Mediterraneo (Spagna, Italia, Grecia) – che devono potenziare le loro marine - e della frontiera con la Russia di tutti quelli dell’Est. È la forza economica e normativa ad avere costituito il principale polo d’attrazione dell’Ue ma l’essere anche un security provider il più muscolare militarmente aumenterebbe la forza di Bruxelles nella interazione cooperativa con alleati NATO (USA, Gran Bretagna, Canada) e potenziali partner (Giappone, Corea del Sud, Australia) di un nuovo blocco geopolitico multilateralista che le accelerazioni globali portano a prospettare.