Confini e integrazione transfrontaliera nell’UE in tempi di crisi

di 
Raffaella Coletti*

Negli ultimi quindici anni si è accentuato il ricorso al termine “crisi” per definire diversi tipi di eventi che hanno colpito l’Europa e il mondo. La crisi economica, l’intensificarsi dei fenomeni migratori, gli effetti sempre più pervasivi del cambiamento climatico, la pandemia da Covid-19, il ritorno del conflitto armato nel cosiddetto vicinato europeo, hanno contribuito e contribuiscono in vario modo a minacciare la stabilità dell’Unione europea e non solo. Alcuni analisti rifiutano l’interpretazione di una “tempesta perfetta” scatenata dai diversi eventi, ma focalizzano piuttosto l’attenzione sulle relazioni causali che esistono tra i diversi fenomeni: non si tratterebbe quindi di crisi distinte, ma piuttosto di frammenti di una unica “policrisi”, in cui diversi fattori si influenzano reciprocamente e i cui effetti mettono in discussione la tenuta dell’attuale sistema globale.

L’obiettivo di questo editoriale è porre attenzione agli effetti che queste dinamiche stanno esercitando sulle aree di confine interne al territorio comunitario e, dunque, sull’integrazione territoriale dell’UE. Sin dall’istituzione dell’Unione europea con il Trattato di Maastricht, il processo di integrazione politica è stato infatti accompagnato da un processo di integrazione territoriale, che ha visto nella riduzione del ruolo dei confini nazionali una componente fondamentale. La creazione del mercato unico e il protocollo di Schengen hanno modificato la gestione delle frontiere nazionali da parte degli Stati membri, nella direzione di una crescente libertà di movimento di merci, persone, servizi e capitali all’interno del territorio dell’UE. In parallelo, la Commissione europea ha sin dal 1990 sostenuto, nell’ambito della politica europea di coesione, iniziative per accompagnare i territori di frontiera nella transizione verso il mercato unico. I programmi di cooperazione transfrontaliera Interreg hanno continuato anche successivamente a sostenere la cooperazione tra comunità territoriali, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico e sociale di aree periferiche (rispetto ai centri nazionali) ma anche di stimolare un senso di appartenenza europea attraverso l’integrazione transfrontaliera.

Le crisi degli ultimi anni hanno avuto un impatto significativo sui confini e sulle aree di confine. Se da un lato alcune tipologie di crisi stimolano una maggiore cooperazione transfrontaliera (si pensi alla crisi economica, che può favorire ad esempio la messa in comune di servizi, o alla crisi ambientale, che per sua natura non riconosce i confini nazionali), altre hanno anche, come noto, determinato un maggiore controllo – con una conseguente minore permeabilità – dei confini europei: si pensi all’aumento della pressione migratoria e ai cosiddetti movimenti secondari dei migranti o alla crisi da Covid-19. L’aumento dei controlli ai confini europei è anche conseguenza della rinnovata diffusione dei nazionalismi e dei sovranismi, a loro volta legata alla fase critica che stiamo attraversando.

La rinnovata attenzione ai confini nazionali da parte degli Stati membri trova una chiara rappresentazione nell’aumento esponenziale del ricorso alle sospensioni unilaterali del protocollo di Schengen, facoltà prevista nel protocollo frontiere a fronte di circostanze prevedibili o imprevedibili. L’utilizzo di questa misura ha conosciuto una prima importante diffusione durante il periodo della cosiddetta crisi dei rifugiati (a partire dal 2015), ha attraversato un picco nel periodo pandemico (2020-2021) per continuare poi ad essere utilizzata in modo ininterrotto da numerosi Stati Membri anche successivamente, sulla base di motivazioni ricorrenti quali le minacce terroristiche o i movimenti secondari dei migranti.

Il ricorso sistematico alla sospensione del protocollo di Schengen mina di fatto la sua operatività, e ha spinto la Commissione a proporre una modifica dello stesso, per andare incontro ad un contesto europeo profondamente mutato dai tempi della sua prima formulazione. Proposta dalla Commissione europea nel dicembre 2021 e adottata a giugno 2024, la revisione del protocollo si focalizza su nuovi strumenti per affrontare la pressione migratoria, la sicurezza e la sanità pubblica, cercando di limitare il ricorso alle sospensioni e garantire la libera circolazione delle persone nell’area dell’Unione Europea. La revisione mira di fatto a salvare il protocollo dal progressivo svuotamento che lo caratterizza, consentendo un maggiore controllo dei flussi ai confini europei ma salvaguardando l’integrazione territoriale.

Uno degli strumenti innovativi messi in campo in questo ambito è una tutela specifica dell’integrazione transfrontaliera a fronte dell’adozione di misure di ripristino dei controlli ai confini. Si prevede ad esempio l’istituzione di corridoi verdi che garantiscano la circolazione di merci e lavoratori transfrontalieri anche in momenti di crisi e di sospensione della normale circolazione; ma anche la possibilità di definire deroghe e autorizzazioni che, in caso di necessità, tutelino gli interessi di regioni e città transfrontaliere. Riguardo a questo ultimo punto, gli Stati membri saranno chiamati nei prossimi mesi a definire, in accordo tra loro, quali aree considerino pertinenti ai fini dell’applicazione del protocollo, sulla base della effettiva integrazione transfrontaliera che le caratterizza.

La tutela delle aree transfrontaliere e dell’esigenza di integrazione, negli ultimi anni, è stata sostenuta anche da un insieme di altre iniziative in ambito europeo, portate avanti soprattutto nel contesto della politica di coesione. Diversi strumenti sono stati introdotti con l’obiettivo, soprattutto, di superare le barriere giuridiche e amministrative che si frappongono ad una piena cooperazione tra comunità di frontiera, favorendo quindi una crescente integrazione transfrontaliera delle comunità locali. Si possono ricordare in particolare tre iniziative: innanzitutto il programma B-Solutions, lanciato nel 2018 e realizzato in collaborazione con l’Associazione delle Regioni Frontaliere Europee, che offre assistenza personalizzata per superare ostacoli giuridici e amministrativi, e può essere attivato su richiesta di diversi stakeholder del territorio di frontiera. In secondo luogo, l’Obiettivo specifico Interreg “una migliore governance della cooperazione”, sostenuto nel periodo di programmazione europea 2021-2027 nell’ambito della politica di coesione, che consente ai territori di sviluppare progetti espressamente mirati a migliorare la governance superando gli ostacoli di confine. Infine, il regolamento per un Meccanismo transfrontaliero europeo, proposto (e poi fermato) già nella fase di adozione dei regolamenti 2021-2027 e riproposto con sostanziali modifiche come Cross-Border Facilitation Tool nell’attuale fase di negoziazione sui regolamenti della politica di coesione per il post 2027. Nella sua attuale formulazione il regolamento prevede la definizione di punti di coordinamento transfrontalieri in ogni Stato membro, che possano facilitare la relazione tra regioni frontaliere e istituzioni nazionali ove si riveli necessario per superare barriere legali e amministrative. Emerge chiaramente da questi strumenti il ruolo preminente che gli Stati Membri sono chiamati a giocare per superare gli ostacoli legali e amministrativi, e consentire così una reale integrazione transfrontaliera.

La ricerca di nuovi strumenti a scala europea per rafforzare la cooperazione transfrontaliera in tempi di crisi può essere letta come una manifestazione sul territorio del continuo investimento nel processo di integrazione. La coesistenza tra integrazione transfrontaliera e diffusione crescente dei controlli ai confini interni non può che stimolare la selettività dei confini stessi, sempre più chiusi di fronte a determinati flussi “indesiderati” ma aperti di fronte a quelli “desiderabili”. Quello che è interessante sottolineare e che emerge da questa breve analisi è che, in materia di cooperazione transfrontaliera, le comunità di confine e la Commissione europea chiedono agli Stati membri di impegnarsi a favorire una maggiore integrazione, proprio quando questi sono occupati a “riprendere il controllo” dei propri confini (in senso materiale e simbolico) di fronte a minacce reali o percepite. Quale delle due tendenze prevarrà ai confini interni – se la spinta verso l’integrazione o quella verso il controllo –  e quali nuove forme di selettività e bordering ne deriveranno, è un interrogativo centrale per qualunque riflessione sul futuro dell’Europa.

 

 

 

 

Le riflessioni presentate in questo editoriale sono state sviluppate nell’ambito delle attività di ricerca del progetto PRIN “Italian borderscapes after 2020. Mapping, Unfolding, and re-framing border territories in response to the Covid-19 pandemic” (20225TN2R9), finanziato dall’Unione europea – Next generation EU. Maggiori informazioni sul Progetto sono disponibili sul sito: https://www.italianborderscapes.polimi.it

* Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Studi sui Sistemi Regionali, Federali e sulle Autonomie “Massimo Severo Giannini” (CNR ISSIRFA), membro del Direttivo del CeSPI