Cooperazione allo sviluppo, la politica estera fatta “dal basso”
di
Ivana Borsotto*
14 Novembre 2023
Il 24 Ottobre 1970, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una Risoluzione per la quale “Each economically advanced country will progressively increase its official development assistance to the developing countries and will exert its best efforts to reach a minimum net amount of 0.70 % of its gross national product at market prices by the middle of the Decade.”
L’Italia sottoscrisse quell’impegno e lo ribadì aderendo all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata all’unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite con la Risoluzione del 15 Settembre del 2015. Cinquanta anni dopo, mezzo secolo dopo, pochi Paesi hanno raggiunto quel traguardo, per prima la Svezia nel 1974, seguita dalla Olanda, dalla Norvegia, dalla Danimarca e dal Lussemburgo. Nessun altro Paese lo ha rispettato e la media dei Paesi firmatari non è mai stata superiore allo 0.50 % del RNL. Purtroppo, gli investimenti del nostro Paese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo sono ancora lontani da quell’obiettivo e insufficienti a fronteggiare le esigenze internazionali in termini sia di emergenze umanitarie che di politiche di sviluppo e ancora di impegno per il contrasto alle urgenze climatico-ambientali. Oggi siamo allo 0.32%, quota inferiore alla media europea (0,57%), a quella della Francia (0,50%) e alla Germania e ai Paesi scandinavi, che hanno già raggiunto quel traguardo. Questo ritardo indebolisce la Cooperazione Internazionale allo sviluppo, che è definita dalla Legge 125 del 2014, “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia” e “contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato”. Politica estera, che è fondamentale, in un mondo che non è il migliore dei mondi possibili. Ce lo sbattono in faccia Bucha e Grozny e Aleppo e il Mediterraneo, fossa comune, e la rotta balcanica e i lager libici e le violenze della guerra mondiale a pezzi, e Israele e Gaza. E le carestie e le disuguaglianze e la povertà che aumentano. Un mondo in bilico sopra la follia, dove acqua, grano, medicine, le sementi, la tecnologia, l’informazione, l’energia diventano armi. Con milioni di persone, e specie bambini e bambine, che soffrono la fame, con milioni di persone che “vivono” nei campi profughi. Dove non ha funzionato l’esportazione della democrazia, dove si registrano i limiti del miglioramento e del progresso tramite il commercio, dove le forze del mercato si propongono come soluzione ai problemi che lo stesso mercato, senza regole, contribuisce a determinare e il commercio e il mercato non bastano ad assicurare benessere e pace. Dove la democrazia è tanto più fragile e a rischio se aumentano le disuguaglianze e se non mantiene le sue promesse di giustizia, di dignità e di benessere
In questo mondo, la politica estera è fondamentale. E rivela chi siamo. Politica estera che è diplomazia, rapporti tra Stati, presenza attiva nelle Istituzioni internazionali, Fondi multilaterali, negoziati, trattative, accordi, conferenze, scambi commerciali, investimenti esteri. Ed è anche cooperazione, che è politica estera dal basso, relazioni di comunità. In un periodo di drammatica congiuntura internazionale che rende sempre più necessario ricostruire legami di pace e solidarietà a livello globale, la Cooperazione internazionale può rivestire un ruolo centrale nelle relazioni internazionali dell’Italia, coinvolgendo sia le Istituzioni nazionali e locali del nostro Paese che le Istituzioni e le Comunità territoriali di tante realtà del mondo in progetti e partenariati efficaci e paritari.
In cui noi, donne e uomini della cooperazione internazionale cerchiamo di svolgere quel dovere che la Legge ci ha assegnato. Lavorando nelle periferie più abbandonate, nei villaggi più lontani, scavando un pozzo, costruendo una scuola o un’infermeria, piantando un albero, curando un malato, nutrendo un bimbo, rendendo umano un carcere, sostenendo lo sviluppo di una piccola azienda artigiana o contadina, salvando dall’estinzione un umile specie vegetale, promuovendo l’associazionismo e la cittadinanza attiva. Una piccola goccia, forse, ma quella piccola grande goccia che può scavare la pietra. Di quelle che alimentano fratellanza. Traducendo in pratica quotidiana la grammatica dei diritti e dei valori.
Gli analisti geopolitici sottolineano il ruolo determinante del cosiddetto “soft power”, la forza delle relazioni culturali, della Cooperazione che è costruzione di fiducia, costruzione di capitale sociale, in un mondo dove siamo il 10% della popolazione della Terra e ancor meno di giovani. Dove chi ha i piedi sul terreno sa che aumentano la delusione, l’insofferenza, il risentimento e la conflittualità nei nostri confronti. E perché non dovrebbero avercela con noi quando ci percepiscono come predatori, quando facciamo affari con i loro dittatori, quando non li soccorriamo mentre affogano in mare, quando li insultiamo con teorie razziste, con stereotipi e con parole d’odio?
Allora la Cooperazione non si riduce a un dono, a un trasferimento monetario, dall’alto in basso, non è gioco a somma zero. Ma è interesse comune. Terreno in cui noi, volontari e operatori e Associazioni, non dobbiamo essere alibi o abbellimento e neppure supplenza di quanto e come agiscono il nostro Stato e l’Europa ma neanche separatezza o controparte pregiudiziale ma protagonisti, partner, soggetti della co-progettazione, con una piena assunzione di responsabilità, valorizzando la nostra esperienza, la nostra competenza, le nostre presenze.
Consapevoli che “sviluppo” è aiuti umanitari, garanzia di arrivare a domani. È sicurezza alimentare: l’ONU stima che la popolazione mondiale sarà di 10 miliardi nel 2050, dopo domani. Di questi il 75% vivranno nelle città e saranno 7,5 miliardi contro i 4 miliardi che ora nelle città vivono. Come assicurare il cibo e le case e nuove città e nuovi quartieri per quelle persone? Che sviluppo è investimenti nell’istruzione di base e nella formazione professionale, accessibilità universale alle medicine e ai servizi sanitari, riqualificazione delle periferie urbane, disponibilità di acqua potabile e di elettricità e di servizi TLC e digitali, promozione della imprenditorialità contadina e artigiana, cura dell’ambiente e della biodiversità, programmi di transizione green, dialogo interculturale e interreligioso. Sviluppo è criteri ESG nei nostri investimenti all’estero, superamento delle barriere tariffarie europee, gestione generosa e prudente del debito, perché non diventi una trappola, soldi “facili” in cambio di sovranità.
La Campagna 070, promossa da Focsiv, Aoi, Cini e Link 2007, insieme al Forum del Terzo Settore, ASVIS, Caritas Italiana e Missio, ha lanciato da tempo l’appello per un impegno concreto tale da assicurare che il nostro Paese raggiunga entro il 2030, con un calendario graduale ma vincolante, quell’obiettivo dello 0,70% del proprio reddito nazionale lordo in aiuto pubblico allo sviluppo, in linea con gli obiettivi internazionalmente concordati. Questo impegno rappresenta la cartina di tornasole con la quale l’Italia può dimostrare la sua credibilità ed affidabilità nelle relazioni e nelle Istituzioni internazionali, assumendo anche in questo modo un ruolo da protagonista nella costruzione di un mondo più giusto e in pace. E può essere un buon viatico per la Presidenza italiana del G7 nel 2024.
In occasione dell’imminente discussione della Legge di Bilancio 2014, la Campagna 070 ha dunque predisposto una proposta di emendamento alla Legge 125 del 2014 in materia di cooperazione internazionale allo sviluppo. La proposta emendativa rafforza quanto già si trova all’art. 30 della Legge 125 del 2014 che, infatti, richiama la necessità di un riallineamento con gli obiettivi internazionali, che per la Comunità internazionale possono essere raggiunti solamente in presenza di un rinnovato e urgente impegno per massici investimenti da parte di tutta la comunità globale, come ricordato recentemente, con il lancio dell’SDG Stimulus a inizio 2023, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.
L’emendamento proposto recita : “Al fine di raggiungere entro il 2030 lo stanziamento annuale pari allo 0,70% del RNL per il finanziamento degli interventi a sostegno delle politiche di cooperazione allo sviluppo come concordato dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, adotta con apposito Decreto del Presidente del Consiglio, nei successivi tre mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione, il percorso di graduale adeguamento e indica gli stanziamenti che saranno inseriti nelle previsioni del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, per ciascuno stato di previsione della spesa dei ministeri interessati, a partire dalla Legge di Bilancio 2025”.
L’emendamento non è immediatamente oneroso, rinviando la definizione degli impegni di spesa all’iniziativa del Governo e potrà avere un impatto in termini di maggiori investimenti e costi solamente a partire dal 2025 in considerazione del ciclo del bilancio dello Stato.
Non possiamo permetterci di essere frettolosi né velleitari. Non possiamo permetterci di volere tutto e subito. Per ogni raccolto sono necessari i dovuti tempi di maturazione. Ma gradualmente non vuol dire MAI, non vuol dire accampare sempre nuove scuse e giustificazioni per rimandare le decisioni alle calende greche. E allora non possiamo tergiversare, non bastano le dichiarazioni e le buone intenzioni, non bastano le briciole o i fichi secchi.
Cooperazione allo sviluppo, la politica estera fatta “dal basso”
Il 24 Ottobre 1970, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una Risoluzione per la quale “Each economically advanced country will progressively increase its official development assistance to the developing countries and will exert its best efforts to reach a minimum net amount of 0.70 % of its gross national product at market prices by the middle of the Decade.”
L’Italia sottoscrisse quell’impegno e lo ribadì aderendo all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata all’unanimità dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite con la Risoluzione del 15 Settembre del 2015. Cinquanta anni dopo, mezzo secolo dopo, pochi Paesi hanno raggiunto quel traguardo, per prima la Svezia nel 1974, seguita dalla Olanda, dalla Norvegia, dalla Danimarca e dal Lussemburgo. Nessun altro Paese lo ha rispettato e la media dei Paesi firmatari non è mai stata superiore allo 0.50 % del RNL. Purtroppo, gli investimenti del nostro Paese per la Cooperazione internazionale allo sviluppo sono ancora lontani da quell’obiettivo e insufficienti a fronteggiare le esigenze internazionali in termini sia di emergenze umanitarie che di politiche di sviluppo e ancora di impegno per il contrasto alle urgenze climatico-ambientali. Oggi siamo allo 0.32%, quota inferiore alla media europea (0,57%), a quella della Francia (0,50%) e alla Germania e ai Paesi scandinavi, che hanno già raggiunto quel traguardo. Questo ritardo indebolisce la Cooperazione Internazionale allo sviluppo, che è definita dalla Legge 125 del 2014, “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia” e “contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato”. Politica estera, che è fondamentale, in un mondo che non è il migliore dei mondi possibili. Ce lo sbattono in faccia Bucha e Grozny e Aleppo e il Mediterraneo, fossa comune, e la rotta balcanica e i lager libici e le violenze della guerra mondiale a pezzi, e Israele e Gaza. E le carestie e le disuguaglianze e la povertà che aumentano. Un mondo in bilico sopra la follia, dove acqua, grano, medicine, le sementi, la tecnologia, l’informazione, l’energia diventano armi. Con milioni di persone, e specie bambini e bambine, che soffrono la fame, con milioni di persone che “vivono” nei campi profughi. Dove non ha funzionato l’esportazione della democrazia, dove si registrano i limiti del miglioramento e del progresso tramite il commercio, dove le forze del mercato si propongono come soluzione ai problemi che lo stesso mercato, senza regole, contribuisce a determinare e il commercio e il mercato non bastano ad assicurare benessere e pace. Dove la democrazia è tanto più fragile e a rischio se aumentano le disuguaglianze e se non mantiene le sue promesse di giustizia, di dignità e di benessere
In questo mondo, la politica estera è fondamentale. E rivela chi siamo. Politica estera che è diplomazia, rapporti tra Stati, presenza attiva nelle Istituzioni internazionali, Fondi multilaterali, negoziati, trattative, accordi, conferenze, scambi commerciali, investimenti esteri. Ed è anche cooperazione, che è politica estera dal basso, relazioni di comunità. In un periodo di drammatica congiuntura internazionale che rende sempre più necessario ricostruire legami di pace e solidarietà a livello globale, la Cooperazione internazionale può rivestire un ruolo centrale nelle relazioni internazionali dell’Italia, coinvolgendo sia le Istituzioni nazionali e locali del nostro Paese che le Istituzioni e le Comunità territoriali di tante realtà del mondo in progetti e partenariati efficaci e paritari.
In cui noi, donne e uomini della cooperazione internazionale cerchiamo di svolgere quel dovere che la Legge ci ha assegnato. Lavorando nelle periferie più abbandonate, nei villaggi più lontani, scavando un pozzo, costruendo una scuola o un’infermeria, piantando un albero, curando un malato, nutrendo un bimbo, rendendo umano un carcere, sostenendo lo sviluppo di una piccola azienda artigiana o contadina, salvando dall’estinzione un umile specie vegetale, promuovendo l’associazionismo e la cittadinanza attiva. Una piccola goccia, forse, ma quella piccola grande goccia che può scavare la pietra. Di quelle che alimentano fratellanza. Traducendo in pratica quotidiana la grammatica dei diritti e dei valori.
Gli analisti geopolitici sottolineano il ruolo determinante del cosiddetto “soft power”, la forza delle relazioni culturali, della Cooperazione che è costruzione di fiducia, costruzione di capitale sociale, in un mondo dove siamo il 10% della popolazione della Terra e ancor meno di giovani. Dove chi ha i piedi sul terreno sa che aumentano la delusione, l’insofferenza, il risentimento e la conflittualità nei nostri confronti. E perché non dovrebbero avercela con noi quando ci percepiscono come predatori, quando facciamo affari con i loro dittatori, quando non li soccorriamo mentre affogano in mare, quando li insultiamo con teorie razziste, con stereotipi e con parole d’odio?
Allora la Cooperazione non si riduce a un dono, a un trasferimento monetario, dall’alto in basso, non è gioco a somma zero. Ma è interesse comune. Terreno in cui noi, volontari e operatori e Associazioni, non dobbiamo essere alibi o abbellimento e neppure supplenza di quanto e come agiscono il nostro Stato e l’Europa ma neanche separatezza o controparte pregiudiziale ma protagonisti, partner, soggetti della co-progettazione, con una piena assunzione di responsabilità, valorizzando la nostra esperienza, la nostra competenza, le nostre presenze.
Consapevoli che “sviluppo” è aiuti umanitari, garanzia di arrivare a domani. È sicurezza alimentare: l’ONU stima che la popolazione mondiale sarà di 10 miliardi nel 2050, dopo domani. Di questi il 75% vivranno nelle città e saranno 7,5 miliardi contro i 4 miliardi che ora nelle città vivono. Come assicurare il cibo e le case e nuove città e nuovi quartieri per quelle persone? Che sviluppo è investimenti nell’istruzione di base e nella formazione professionale, accessibilità universale alle medicine e ai servizi sanitari, riqualificazione delle periferie urbane, disponibilità di acqua potabile e di elettricità e di servizi TLC e digitali, promozione della imprenditorialità contadina e artigiana, cura dell’ambiente e della biodiversità, programmi di transizione green, dialogo interculturale e interreligioso. Sviluppo è criteri ESG nei nostri investimenti all’estero, superamento delle barriere tariffarie europee, gestione generosa e prudente del debito, perché non diventi una trappola, soldi “facili” in cambio di sovranità.
La Campagna 070, promossa da Focsiv, Aoi, Cini e Link 2007, insieme al Forum del Terzo Settore, ASVIS, Caritas Italiana e Missio, ha lanciato da tempo l’appello per un impegno concreto tale da assicurare che il nostro Paese raggiunga entro il 2030, con un calendario graduale ma vincolante, quell’obiettivo dello 0,70% del proprio reddito nazionale lordo in aiuto pubblico allo sviluppo, in linea con gli obiettivi internazionalmente concordati. Questo impegno rappresenta la cartina di tornasole con la quale l’Italia può dimostrare la sua credibilità ed affidabilità nelle relazioni e nelle Istituzioni internazionali, assumendo anche in questo modo un ruolo da protagonista nella costruzione di un mondo più giusto e in pace. E può essere un buon viatico per la Presidenza italiana del G7 nel 2024.
In occasione dell’imminente discussione della Legge di Bilancio 2014, la Campagna 070 ha dunque predisposto una proposta di emendamento alla Legge 125 del 2014 in materia di cooperazione internazionale allo sviluppo. La proposta emendativa rafforza quanto già si trova all’art. 30 della Legge 125 del 2014 che, infatti, richiama la necessità di un riallineamento con gli obiettivi internazionali, che per la Comunità internazionale possono essere raggiunti solamente in presenza di un rinnovato e urgente impegno per massici investimenti da parte di tutta la comunità globale, come ricordato recentemente, con il lancio dell’SDG Stimulus a inizio 2023, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.
L’emendamento proposto recita : “Al fine di raggiungere entro il 2030 lo stanziamento annuale pari allo 0,70% del RNL per il finanziamento degli interventi a sostegno delle politiche di cooperazione allo sviluppo come concordato dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, adotta con apposito Decreto del Presidente del Consiglio, nei successivi tre mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione, il percorso di graduale adeguamento e indica gli stanziamenti che saranno inseriti nelle previsioni del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, per ciascuno stato di previsione della spesa dei ministeri interessati, a partire dalla Legge di Bilancio 2025”.
L’emendamento non è immediatamente oneroso, rinviando la definizione degli impegni di spesa all’iniziativa del Governo e potrà avere un impatto in termini di maggiori investimenti e costi solamente a partire dal 2025 in considerazione del ciclo del bilancio dello Stato.
Non possiamo permetterci di essere frettolosi né velleitari. Non possiamo permetterci di volere tutto e subito. Per ogni raccolto sono necessari i dovuti tempi di maturazione. Ma gradualmente non vuol dire MAI, non vuol dire accampare sempre nuove scuse e giustificazioni per rimandare le decisioni alle calende greche. E allora non possiamo tergiversare, non bastano le dichiarazioni e le buone intenzioni, non bastano le briciole o i fichi secchi.
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* Presidente della Focsiv, portavoce della campagna 070 e membro del Comitato Scientifico del CeSPI