Opportunità e sfide per una cooperazione allo sviluppo 2.0
di
Nicolò Russo Perez*
12 Giugno 2023
Lo sviluppo tecnologico si sta affermando sempre più quale arena di competizione nel contesto internazionale. Emerging and Disruptive Technologies che trovano applicazione in una pluralità di settori stanno svelando aree di crescente vulnerabilità per molti Paesi e aree regionali, che si scoprono esposte a nuove dipendenze e interferenze esterne, ad esempio in termini di utilizzo o capacità di accesso a strumenti o materie prime essenziali per i propri sistemi produttivi e per le proprie infrastrutture strategiche.
Le brusche frenate al processo di globalizzazione determinate prima dalla pandemia e poi dalla aggressione russa dell’Ucraina, con i conseguenti fenomeni di re-shoring e accorciamento più o meno volontario delle catene produttive, ad uno sguardo più ravvicinato rivelano in realtà quanto le interconnessioni – in forme certo molteplici – tra regioni del mondo non siano affatto rallentate ma stiano invece aumentando. EU Global Gateway, la grande strategia europea finalizzata a promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti, è naturalmente un esempio di tentativo del decisore pubblico europeo di dare un framework e provare a guidare tali processi, e secondo molti osservatori anche una risposta all’attivismo cinese che aveva trovato massima espressione nella Belt and Road Initative.
Attraverso i cavi sottomarini essenziali per il funzionamento delle comunicazioni digitali (veicolano oltre il 97% del traffico internet) transitano non solo informazioni, ma anche azioni ad impatto molto concreto sulla nostra vita quotidiana: il funzionamento di apparecchiature sanitarie nei nostri ospedali, l’azionamento di sistemi infrastrutturali nelle nostre città, le transazioni finanziarie, per citarne solo alcune. Ma attraverso i medesimi cavi sottomarini, che dal basso dei fondali oceanici avvicinano tra loro i Continenti, passano anche sfide alla democrazia, con governi autoritari che sempre più utilizzano (anche) tecnologie digitali per aumentare il proprio potere ed esercitare forme di controllo sui cittadini. E le sfide alla democrazia non si fermano certo alle frontiere: se stato di diritto e istanze democratiche subiscono forti limitazioni all’interno dei confini di determinati Stati autoritari, quegli stessi Governi dimostrano sempre più spesso un crescente attivismo proiettato anche verso l’esterno. Produzione di fake news nel quadro di azioni di influenza e interferenza elettorale a danno di altri Paesi sono all’ordine del giorno, alle latitudini più diverse.
Allo stesso tempo, tuttavia, le tecnologie digitali hanno anche consentito a un numero crescente di nuovi attori non-statali (incluso Organizzazioni Non Governative) di avere più voce sullo scenario internazionale, rafforzando notevolmente l’impatto della propria azione sulle dinamiche geopolitiche globali. Se lo sviluppo tecnologico costituisce fattore abilitante delle politiche pubbliche, tanto a livello nazionale quanto internazionale, allo stesso tempo, per via del rilevante ruolo ricoperto in esso dal settore privato, lo stesso progresso tecnologico rappresenta contemporaneamente anche una grande opportunità di sviluppo economico per ciascun Sistema Paese – o area regionale – che ne sappia sviluppare, valorizzare e mettere in rete le vaste potenzialità.
In questo quadro, disporre di un quadro complessivo, tutt’ora mancante, dei diversi nessi tra cooperazione, sviluppo economico-sociale e nuove tecnologie appare quanto mai centrale. Dall’intelligenza artificiale ai big data, all’impiego di sistemi autonomi, si tratta di applicazioni tecnologiche che inevitabilmente presentano sia rischi sia opportunità, come evidenziato nella stessa Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ma che indubbiamente determinano e innescano rilevanti processi di sviluppo, già in atto, nei Paesi a basso e medio reddito.
Senza dubbio sussiste ancora, e si va anzi facendo per molti versi sempre più marcato, il divario digitale fra diversi Paesi, in un quadro fluido nel quale è sempre più complesso individuare e comprendere quali saranno i suoi concreti effetti sulle persone e sui loro diritti.
Le nuove tecnologie non sono infatti accessibili in modo omogeneo a livello globale, con vaste fasce della popolazione mondiale (in particolare donne, persone in condizioni di povertà e abitanti di zone rurali) tutt’ora immerse in sistemi economico-sociali informali e in ogni caso “analogici”. Ma le Emerging and Disruptive Technologies possono essere allo stesso tempo un fattore chiave di sviluppo, miglioramento delle aspettative e della qualità della vita e benessere in quanto strumento abilitante di politiche di cooperazione con Paesi Terzi, con un impatto evidente sulle dinamiche geopolitiche.
Emerging and Disruptive Technologies sono già ampiamente utilizzate quali strumenti primari nella cooperazione allo sviluppo, e Organizzazioni Internazionali quali FAO, UNIDO, UNDP stanno da tempo integrando nei loro programmi le possibilità date dallo sviluppo tecnologico.
Tuttavia, resta tutt’ora poco conosciuto il livello effettivo di conoscenza e impiego di tali strumenti da parte dei soggetti della società civile e dalle Organizzazioni Non Governative che di tali politiche di cooperazione allo sviluppo sono motore imprescindibile.
In primo luogo, si tratta di comprendere meglio gli utilizzi che attori della cooperazione internazionale effettivamente fanno delle nuove tecnologie. In secondo luogo, un quadro circa l’utilizzo delle nuove tecnologie in questi ambiti di applicazione non può prescindere dalla valutazione delle criticità che l’impiego di queste stesse tecnologie può avere per i diritti umani. In terzo luogo, oltre ai fattori di rischio, andrebbero analizzate le ricadute positive che le nuove tecnologie sono in grado di portare al benessere delle popolazioni nei Paesi terzi.
Tre possono essere i filoni iniziali di analisi:
L’educazione, l’istruzione e la formazione professionale. Le vaste potenzialità offerte dalle nuove tecnologie possono infatti trovare applicazioni significative nei processi di apprendimento a distanza. Organizzazioni internazionali come ILO, e in particolare il suo International Training Center, stanno esplorando forme molto avanzate di apprendimento in questo ambito, senza dimenticare quanto la formazione costituisca un elemento portante del più ampio tema del governo delle migrazioni nell’attuale contesto internazionale.
La sanità e la tutela dei diritti della persona. Naturalmente le nuove tecnologie possono essere fattore abilitante solo se poste in corretta correlazione con appropriate infrastrutture sanitarie. Ma le potenzialità delle applicazioni tecnologiche in remoto in questi campi sono vaste e tutt’ora largamente inesplorate.
L’attività economica e le transazioni finanziarie. Già da tempo assistiamo in molti Paesi terzi con economie in transizione alla capillare diffusione di nuovi strumenti di pagamento che nel contesto del cosiddetto leapfrogging bypassano gli stadi di evoluzione infrastrutturale che abbiamo conosciuto e ben colgono le opportunità offerte dall’ampio utilizzo di telefonia mobile. Pensiamo a Mpesa in Kenya, progetto che ha mosso i suoi primi passi ormai vent’anni fa. Lo studio di questo tipo di pratiche e della loro evoluzione sicuramente può raccogliere l’interesse non solo dei grandi donors multilaterali ma anche catalizzare un interesse più intenso di attori privati.
Per i Paesi dell’Unione Europea, è essenziale guardare a queste dinamiche attraverso una lente che ne metta in luce l’imprescindibile ancoraggio al contesto dei valori di rispetto dei diritti umani, della legalità e dello stato di diritto su cui si basa la stessa Unione. Per sua natura, storia e vocazione, l’Ue dovrebbe cercare di porsi alla guida di un processo di regolamentazione dell’uso delle nuove tecnologie che sia in grado si tenere assieme i nessi tra il progresso tecnologico, la sicurezza e i diritti umani. L’Europa potrebbe in questo senso aspirare a diventare il luogo di elaborazione di politiche pubbliche in grado di definire standard di portata più ampia, globale, sull’utilizzo e le applicazioni delle Emerging and Disruptive Technologies. Non va trascurato, in questo quadro, il blind spot connesso alla tutt’ora assai limitata produzione di sapere scientifico prodotto congiuntamente tra Paesi europei ed extra europei, fattore essenziale in tema di politiche di cooperazione internazionale. A livello nazionale, in Italia l’avvio del Programma Strategico Intelligenza Artificiale 2022-2024 pone senz’altro le basi per una riflessione di questo tipo e costituisce la giusta promessa per sviluppare una più ampia e articolata linea politica che valorizzi le vaste potenzialità che possono scaturire dall’interazione lo sviluppo tecnologico e nuove forme di cooperazione internazionale allo sviluppo 2.0.
Opportunità e sfide per una cooperazione allo sviluppo 2.0
Lo sviluppo tecnologico si sta affermando sempre più quale arena di competizione nel contesto internazionale. Emerging and Disruptive Technologies che trovano applicazione in una pluralità di settori stanno svelando aree di crescente vulnerabilità per molti Paesi e aree regionali, che si scoprono esposte a nuove dipendenze e interferenze esterne, ad esempio in termini di utilizzo o capacità di accesso a strumenti o materie prime essenziali per i propri sistemi produttivi e per le proprie infrastrutture strategiche.
Le brusche frenate al processo di globalizzazione determinate prima dalla pandemia e poi dalla aggressione russa dell’Ucraina, con i conseguenti fenomeni di re-shoring e accorciamento più o meno volontario delle catene produttive, ad uno sguardo più ravvicinato rivelano in realtà quanto le interconnessioni – in forme certo molteplici – tra regioni del mondo non siano affatto rallentate ma stiano invece aumentando. EU Global Gateway, la grande strategia europea finalizzata a promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti, è naturalmente un esempio di tentativo del decisore pubblico europeo di dare un framework e provare a guidare tali processi, e secondo molti osservatori anche una risposta all’attivismo cinese che aveva trovato massima espressione nella Belt and Road Initative.
Attraverso i cavi sottomarini essenziali per il funzionamento delle comunicazioni digitali (veicolano oltre il 97% del traffico internet) transitano non solo informazioni, ma anche azioni ad impatto molto concreto sulla nostra vita quotidiana: il funzionamento di apparecchiature sanitarie nei nostri ospedali, l’azionamento di sistemi infrastrutturali nelle nostre città, le transazioni finanziarie, per citarne solo alcune. Ma attraverso i medesimi cavi sottomarini, che dal basso dei fondali oceanici avvicinano tra loro i Continenti, passano anche sfide alla democrazia, con governi autoritari che sempre più utilizzano (anche) tecnologie digitali per aumentare il proprio potere ed esercitare forme di controllo sui cittadini. E le sfide alla democrazia non si fermano certo alle frontiere: se stato di diritto e istanze democratiche subiscono forti limitazioni all’interno dei confini di determinati Stati autoritari, quegli stessi Governi dimostrano sempre più spesso un crescente attivismo proiettato anche verso l’esterno. Produzione di fake news nel quadro di azioni di influenza e interferenza elettorale a danno di altri Paesi sono all’ordine del giorno, alle latitudini più diverse.
Allo stesso tempo, tuttavia, le tecnologie digitali hanno anche consentito a un numero crescente di nuovi attori non-statali (incluso Organizzazioni Non Governative) di avere più voce sullo scenario internazionale, rafforzando notevolmente l’impatto della propria azione sulle dinamiche geopolitiche globali. Se lo sviluppo tecnologico costituisce fattore abilitante delle politiche pubbliche, tanto a livello nazionale quanto internazionale, allo stesso tempo, per via del rilevante ruolo ricoperto in esso dal settore privato, lo stesso progresso tecnologico rappresenta contemporaneamente anche una grande opportunità di sviluppo economico per ciascun Sistema Paese – o area regionale – che ne sappia sviluppare, valorizzare e mettere in rete le vaste potenzialità.
In questo quadro, disporre di un quadro complessivo, tutt’ora mancante, dei diversi nessi tra cooperazione, sviluppo economico-sociale e nuove tecnologie appare quanto mai centrale. Dall’intelligenza artificiale ai big data, all’impiego di sistemi autonomi, si tratta di applicazioni tecnologiche che inevitabilmente presentano sia rischi sia opportunità, come evidenziato nella stessa Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ma che indubbiamente determinano e innescano rilevanti processi di sviluppo, già in atto, nei Paesi a basso e medio reddito.
Senza dubbio sussiste ancora, e si va anzi facendo per molti versi sempre più marcato, il divario digitale fra diversi Paesi, in un quadro fluido nel quale è sempre più complesso individuare e comprendere quali saranno i suoi concreti effetti sulle persone e sui loro diritti.
Le nuove tecnologie non sono infatti accessibili in modo omogeneo a livello globale, con vaste fasce della popolazione mondiale (in particolare donne, persone in condizioni di povertà e abitanti di zone rurali) tutt’ora immerse in sistemi economico-sociali informali e in ogni caso “analogici”. Ma le Emerging and Disruptive Technologies possono essere allo stesso tempo un fattore chiave di sviluppo, miglioramento delle aspettative e della qualità della vita e benessere in quanto strumento abilitante di politiche di cooperazione con Paesi Terzi, con un impatto evidente sulle dinamiche geopolitiche.
Emerging and Disruptive Technologies sono già ampiamente utilizzate quali strumenti primari nella cooperazione allo sviluppo, e Organizzazioni Internazionali quali FAO, UNIDO, UNDP stanno da tempo integrando nei loro programmi le possibilità date dallo sviluppo tecnologico.
Tuttavia, resta tutt’ora poco conosciuto il livello effettivo di conoscenza e impiego di tali strumenti da parte dei soggetti della società civile e dalle Organizzazioni Non Governative che di tali politiche di cooperazione allo sviluppo sono motore imprescindibile.
In primo luogo, si tratta di comprendere meglio gli utilizzi che attori della cooperazione internazionale effettivamente fanno delle nuove tecnologie. In secondo luogo, un quadro circa l’utilizzo delle nuove tecnologie in questi ambiti di applicazione non può prescindere dalla valutazione delle criticità che l’impiego di queste stesse tecnologie può avere per i diritti umani. In terzo luogo, oltre ai fattori di rischio, andrebbero analizzate le ricadute positive che le nuove tecnologie sono in grado di portare al benessere delle popolazioni nei Paesi terzi.
Tre possono essere i filoni iniziali di analisi:
Per i Paesi dell’Unione Europea, è essenziale guardare a queste dinamiche attraverso una lente che ne metta in luce l’imprescindibile ancoraggio al contesto dei valori di rispetto dei diritti umani, della legalità e dello stato di diritto su cui si basa la stessa Unione. Per sua natura, storia e vocazione, l’Ue dovrebbe cercare di porsi alla guida di un processo di regolamentazione dell’uso delle nuove tecnologie che sia in grado si tenere assieme i nessi tra il progresso tecnologico, la sicurezza e i diritti umani. L’Europa potrebbe in questo senso aspirare a diventare il luogo di elaborazione di politiche pubbliche in grado di definire standard di portata più ampia, globale, sull’utilizzo e le applicazioni delle Emerging and Disruptive Technologies. Non va trascurato, in questo quadro, il blind spot connesso alla tutt’ora assai limitata produzione di sapere scientifico prodotto congiuntamente tra Paesi europei ed extra europei, fattore essenziale in tema di politiche di cooperazione internazionale. A livello nazionale, in Italia l’avvio del Programma Strategico Intelligenza Artificiale 2022-2024 pone senz’altro le basi per una riflessione di questo tipo e costituisce la giusta promessa per sviluppare una più ampia e articolata linea politica che valorizzi le vaste potenzialità che possono scaturire dall’interazione lo sviluppo tecnologico e nuove forme di cooperazione internazionale allo sviluppo 2.0.
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* Responsabile Missione Aprire Scenari Internazionali, Fondazione Compagnia di San Paolo, e membro del Comitato Scientifico del CeSPI
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