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Politica

Lo “Stato dell’Unione” pensa al 2024

21 Febbraio 2023
Francesco Olivieri

Lo “Stato dell’Unione” pensa al 2024

Il discorso del 7 febbraio sullo Stato dell’Unione è stato il preludio alla prossima stagione elettorale, che inizia tra un anno. Restano a Biden ancora due anni di lavoro, durante i quali la politica si focalizzerà prima sulle candidature, poi sulla contesa per il governo del paese nei successivi quattro anni. Da qui al novembre 2024, gli americani vivranno una specie di campionato della politica anziché del calcio.

Tre contendenti sono già oggi in lizza; altri si manifesteranno, ma intanto i portabandiera dei due campi si sono fatti avanti, per occupare il territorio e reprimere i presunti o reali competitori che possano erodere il loro seguito.

Da un lato, Trump ha già annunciato ufficialmente che intende presentarsi -nell’indifferenza di una parte dei suoi ex-seguaci, ma ancora con un grande seguito. Non ha però con ciò definito il campo repubblicano: restano diversi nomi in ballo, ciascuno con il potenziale di sorpassare nei sondaggi l'ex-Presidente (o di qualificarsi come possibile Vice ora che Pence è fuori questione), se non di sostituirlo in anticipo nel caso che la crescente massa di questioni giudiziarie renda impraticabile Ia sua persona.

Alla testa dei pretendenti alla Casa Bianca si trova per il momento il Governatore della Florida, De Santis, un alfiere della destra estrema su cui si concentrano i riflettori - ma non è l'unico del partito ad avere reali possibilità; sarebbe il primo italo-americano alla Casa Bianca, il che potrebbe aiutarlo a trovare voti. Una aspirante molto visibile che è scesa in campo in questi giorni è anche Nicky Haley, già Ambasciatrice all’ONU (che negli USA è un posto da ministro). È all’apparenza una fedelissima di Trump, ma con la sua candidatura lancia un messaggio ambiguo. Potrebbe anzitutto mirare umilmente al posto di Vice Presidente, sapendo che di certo Pence non sarà stavolta il compagno di gara di un ex-Presidente che era disposto a lasciarlo impiccare dalla folla del 6 gennaio del 2021; oppure anche tacitamente aspettare che Trump si autodistrugga, per puntare al bersaglio grosso. Il fatto è che proprio la molteplicità dei possibili candidati avvantaggia Trump, che detiene ancora un ascendente su una certa destra americana: dinanzi a un voto disperso alle primarie Repubblicane, sarebbe probabilmente in testa alla classifica, ottenendo automaticamente l’investitura del partito per una nuova corsa alla Presidenza. Haley comunque non sarà l’ultima a scendere in pista.

Sulla riva opposta, tutto lascia credere che il Presidente Biden intenda ripresentarsi, nonostante l’età e il deficit di popolarità, e sarebbe difficile in questo caso immaginare una sfida al Presidente in carica, dall’interno del partito Democratico.

A conferma delle sue intenzioni si deve registrare il suo discorso alle Camere riunite, l’annuale discorso sullo “Stato della Nazione”: una sceneggiata rituale della politica americana, che stavolta è stato preceduto dall’annuncio ufficiale da parte Democratica del nuovo calendario delle elezioni primarie del partito.

L’interesse di questa notizia, che è tipicamente di routine, è che il partito ha abbandonato la tradizione che vuole il primo sondaggio nello Iowa (bianco, rurale e simbolico del Midwest) e inizierà invece nel 2024 dalla Carolina del Sud (plurirazziale, costiero e simbolico del Sud). Il motivo non è affatto banale: Biden ripaga l’elettorato di colore, cui deve la sua elezione, assicurandogli che le sue preferenze politiche trovino ascolto sin dall’inizio della campagna, e non (come fin qui) quando oramai le scelte saranno già definite dalle prime due o tre votazioni. Questo pagamento non è solo riconoscenza, ma sembra un indizio che Biden -e con lui il partito- intende contare nuovamente sul voto di colore, e lavora fin d’ora per assicurarselo.  Con ciò la campagna presidenziale di Biden sta, di fatto, avendo inizio.

Sempre nel campo Democratico, un altro quesito riguarda la persona della Vice Presidente Kamala Harris, la cui posizione potrebbe essere delicata perché la sua immagine pubblica non è scintillante; purtroppo il suo tasso di gradimento -inizialmente elevato- è ora ancora più basso di quello di Biden.

Va detto che la sua non è una sinecura, e la posizione del Vice Presidente è difficile: scelta dal Presidente a condividere la campagna elettorale, la sua presenza essenzialmente serve ad allargare il campo dei sostenitori e migliorare le prospettive di vittoria -oltre ad assicurare una prospettiva di continuità in caso di impedimento o di mancanza improvvisa del Presidente. Ma una volta raggiunto l’obiettivo elettorale, i riflettori si spengono: il suo mandato di vicario si concentra sull’impegno tacito a lasciar splendere il titolare, in cambio nell’avvenire per una chance privilegiata di ereditarne la poltrona – per la quale deve però costruire il consenso. E non farne a meno.

Questo pone il Vice nella insostenibile posizione di doversi mettere in luce, pur restando scrupolosamente nell’ombra, e Kamala Harris non è la prima vittima; ma è tra i Democratici di colore, ed è perciò anch’essa è un visibile "pegno" di alleanza con l’elettorato. Forse solo una sua improbabile rinuncia potrebbe determinare un cambiamento, magari a favore di un’altra donna, o di un’altra minoranza.

Nella bottega politica, il resoconto alla nazione non si sostituisce alla quotidiana dialettica tra i partiti e la popolazione, ma ne è la indispensabile integrazione. Con questo discorso, Biden ha presentato, come richiesto, un credibile consuntivo della sua gestione; ma ha anche offerto un segnale politico di distensione, avallato dalla sua lunga pratica parlamentare, costretto dalla sua posizione quasi minoritaria e indotto dalla fragilità del suo controllo sul voto parlamentare. Da decenni, il partito Repubblicano -percependo una progressiva erosione dei propri consensi- si è radicalizzato, rifiutando quasi ogni pragmatica collaborazione con la parte Democratica. All’epoca di Obama, il controllo di una delle camere è bastato per paralizzare il programma di lavoro della Presidenza; il successo di questa tattica ostruzionista ha spinto l’insieme del suo elettorato su posizioni sempre più intransigenti- e gli onorevoli deputati del GOP su posizioni sempre più irriverenti. Ne è risultata una sceneggiata vergognosa durante il discorso presidenziale, interrotto da schiamazzi degni di altri parlamenti, abilmente ritorti da Biden è sembrato godere della confusione Repubblicana, che alla fine è servita solo a provocare nel pubblico una reazione pro-Biden, documentata dai sondaggi successivi.

È una visione radicalmente opposta a quella non solo dei Democratici, ma particolarmente di Biden, che è per indole un ‘costruttore di ponti’ della vecchia scuola. Non si stanca di ripetere: nonostante le divergenze tra i partiti, esistono sempre aree dove è possibile concordare: si è trovata concordia in questi tempi di guerra per assicurare un’Europa più forte e più sicura, come ce ne è stata per scrivere la legge sull’infrastruttura, e anche altre. Entrambi i partiti convergono sulla necessità di concentrarsi sul sostegno allo sviluppo della classe media, e dovrebbe questo essere un punto dove competere, non dove combattere.

Intanto l'arcana macchina delle primarie si sta già avviando, e non sarà "business as usual”. Da parte Democratica, il primo segnale è stata la decisione apparentemente innocua di cominciare la consultazione con la Carolina de! Sud, anziché con lo Iowa come è tradizione, generando un certo numero di musi lunghi in quello stato. Dietro la decisione sta una realtà: spesso basta il primo paio di primarie a orientare il partito sulla scelta finale del candidato alla Presidenza, e se per il giorno delle elezioni si vuole incoraggiare, e captare, il voto delle componenti etniche del paese è opportuno che queste componenti, che tendono a orientarsi collettivamente, possano riconoscersi nel lungo procedimento elettorale sin dal suo inizio. Poiché senza il voto dei cittadini di colore i Democratici perdono Ie elezioni, proprio come senza quello dei “latinos” le perdono i Repubblicani, lo Iowa (bianco oltre il 90%), non fotografa più la composizione dei sostenitori Democratici e deve cedere il posto in calendario alla Carolina del Sud, che conta un 30% più o meno di votanti di colore, abbastanza da dare un segnale; tanto più che fu proprio questo stato a proiettare Biden nel 2020 alla testa degli aspiranti alla Presidenza. Un debito viene ora ripagato, con un occhio sul futuro prossimo.

A suo tempo, Obama era riuscito a superare tutti questi intralci e farsi nominare, per poi essere eletto due volte, nonostante la guerra ad oltranza dell’establishment Repubblicano: ma si trattava di un personaggio straordinariamente carismatico, capace di riunire in una sola alleanza le componenti multicolori del popolo americano.

Che non ce ne siano altri sottomano viene evidenziato di tanto in tanto dalla sua riapparizione a dar man forte alla Casa Bianca nei momenti difficili, provocando torrenti di nostalgia tra i Democratici e i loro simpatizzanti.