In un orizzonte internazionale oscurato da molte nubi, raramente i Balcani appaiono all'attenzione della politica e delle cancellerie europee. Eppure tutti abbiamo nella memoria lo spaventoso massacro di Srebrenica e le atrocità che soltanto due decenni fa devastarono i territori della Jugoslavia, dalla cui dissoluzione nacquero nazioni segnate dalla guerra e dalla pulizia etnica. Tant'è che per mettere la pace di Dayton al riparo da nuovi odi etnici e conflitti nazionalistici, la comunità internazionale decise di schierare nei Balcani 60.000 soldati della NATO, grazie alla cui presenza da vent'anni la regione non conosce più guerre.
Per accompagnare quel processo e offrirgli una prospettiva di stabilizzazione l'Unione Europea fin da allora si è impegnata - con dichiarazioni del Consiglio Europeo reiterate più volte in questi vent'anni - a promuovere un percorso di integrazione dei Paesi balcanici, anticipata dall'ingresso della Slovenia nell'Unione nel 2004 e poi della Croazia nel 2009. A cui sono seguiti, in tempi diversi, accordi di associazione con gli altri Paesi candidati, senza tuttavia indicare tempi certi di adesione.
A sua volta la NATO ha aperto le sue porte all'adesione di Slovenia (2004), Croazia e Albania (2009), Montenegro (2017) e stabilito rapporti di partnership con gli altri paesi della regione.
Sempre nell'ottica di offrire sedi di integrazione e cooperazione è stata rilanciata l'Iniziativa Centro Europea (Ince) che, istituita all'indomani della caduta del muro di Berlino con le nazioni della Mitteleuropa, si è poi allargata a tutti i 18 Paesi dell'Europa centrale e sudorientale. E nel 2000, su iniziativa dell'Italia, è nata l'Iniziativa Adriatico-Ionica come Forum di cooperazione regionale tra i Paesi rivieraschi dell'Adriatico. A tutto ciò sono affiancate intense relazioni bilaterali con i paesi della regione, in particolare da parte di Germania, Italia e Austria. Come si vede una fitta rete di azioni tutte volte all'integrazione dei Balcani nelle istituzioni euroatlantiche.
Tuttavia, la crisi economica che ha colpito l'Europa e le molte turbolenze vissute in questi anni dall'Unione Europea - da Brexit alle spinte centrifughe dei Paesi dell'est, dalla crisi Ucraina alle tensioni sulla gestione dei flussi migratori - hanno reso più problematica e incerta la prospettiva dell'adesione delle nazioni balcaniche, via via dilazionata a tempi indefiniti. Peraltro i venti euroscettici che soffiano sul continente europeo e la prospettiva di una Unione a più velocità rischiano di relegare ulteriormente l'integrazione europea dei Balcani nel porto delle nebbie. Una mancanza di certezze che sta facendo maturare non solo nelle cancellerie dei Paesi balcanici, ma anche nelle loro opinioni pubbliche una frustrazione che - in tempi di populismi antieuropei - inizia ad attecchire anche nella regione.
In verità l'obiettivo della integrazione europea è oggi tanto più attuale proprio di fronte alle non poche criticità che si manifestano nella regione. La Bosnia Erzegovina - costituita da due entità federate e da tre comunità nazionali - continua a vivere con grande difficoltà la sua identità plurietnica e la complessità del suo assetto istituzionale. La Macedonia è attraversata da periodiche crisi e instabilità nella difficile convivenza tra maggioranza macedone e minoranza albanese. L'Albania - che pure ha conosciuto uno sviluppo economico significativo - è anch'essa caratterizzata da una dialettica politica interna di aspra contrapposizione tra le due principali forze politiche. Il Kossovo continua a essere un "territorio statuale" non accettato dalla Serbia, con cui periodicamente si riaccendono conflitti. La Serbia - forte di una storia che sempre le ha assegnato un ruolo primario nella regione - oscilla tra una ambizione di integrazione europea e un rapporto culturale, religioso e identitario con il mondo slavo e con Mosca.
Non mancano naturalmente nella regione confortanti segnali positivi, in particolare l'atteggiamento pro europeo delle classi dirigenti, della business community, del mondo accademico e intellettuale, dei giovani. Il che accresce la urgenza che da parte dell'Unione Europea giunga un messaggio chiaro: "noi vi vogliamo" è ciò che le classi dirigenti e le opinioni pubbliche vogliono sentirsi dire da Bruxelles.
Ancorché di complessa realizzazione, la integrazione europea resta infatti la sola scelta strategica per dare ai Balcani una duratura stabilità politica ed economica. Un'area - non dimentichiamolo mai - in cui storicamente ogni popolo ha pensato e perseguito il proprio destino contro il vicino. Peraltro basta osservare una carta geografica della regione per constatare che i Balcani - confinando con Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Grecia e prospicienti all'Italia - sono una enclave nel territorio dell'Unione, pur senza esserne membri.
Assume perciò un particolare valore il vertice annuale del "Processo di Berlino" che si riunirà il 12 luglio prossimo a Trieste. Proposto dalla Germania a Italia, Francia e Austria e coinvolgendo tutti i Paesi dei Balcani, il Processo di Berlino si propone di essere uno strumento di cooperazione politica ed economica finalizzato a favorire uno sviluppo dei Balcani e un progressivo avvicinamento a standard europei, condizione essenziale per la integrazione nell'UE. Ed è significativo che accanto al vertice intergovernativo - che vedrà la presenza dei Capi di governo, ministri degli Esteri e ministri di dicasteri economici - si sia voluto organizzare a Trieste sia un Forum della società civile con largo coinvolgimento di fondazioni, associazioni, ong e movimenti civici, sia un Business Forum con la partecipazione di imprese, camere di commercio, operatori finanziari. L'inclusione europea dei Balcani richiede infatti un'azione di democratic institution building che mobiliti la società civile e i suoi attori, consolidi il tessuto democratico spesso ancora fragile, promuova una diffusa adesione ai valori dell'europeismo e affermi una cultura dell'integrazione sovranazionale.
In questo scenario alcuni Paesi europei sono chiamati a svolgere un ruolo di punta. Tra questi l'Italia che per prossimità territoriale, relazioni storiche, intensità di rapporti economici, ragioni di sicurezza, è particolarmente interessata alla stabilità e all'integrazione della regione. L'Italia é il primo o secondo partner economico di ogni Paese della regione; la presenza di imprese italiane abbraccia ogni settore ed è motore essenziale di sviluppo; la immediata vicinanza fa si che ogni dinamica che si manifesti nei Balcani investa il nostro Paese; sicurezza e stabilità della regione sono un interesse vitale comune. Sono ragioni forti che devono vedere l'Italia in prima fila come sponsor dell'integrazione europea dei Balcani, battendosi perché l'Unione non si sottragga al dovere di indicare tempi, modi e tappe certe di questo processo. E questo nostro impegno sarà tanto più convincente se contemporaneamente saranno ulteriormente espanse e rafforzate le relazioni bilaterali tra Il nostro Paese e le nazioni della regione, dando così concreta dimostrazione di quanto l'Italia consideri strategica l'integrazione europea dei Balcani.
Questo articolo è pubblicato sul numero 72 (luglio/agosto '17) di Eastwest, in uscita in queste settimane.
Balcani, Europa batti un colpo !
In un orizzonte internazionale oscurato da molte nubi, raramente i Balcani appaiono all'attenzione della politica e delle cancellerie europee. Eppure tutti abbiamo nella memoria lo spaventoso massacro di Srebrenica e le atrocità che soltanto due decenni fa devastarono i territori della Jugoslavia, dalla cui dissoluzione nacquero nazioni segnate dalla guerra e dalla pulizia etnica. Tant'è che per mettere la pace di Dayton al riparo da nuovi odi etnici e conflitti nazionalistici, la comunità internazionale decise di schierare nei Balcani 60.000 soldati della NATO, grazie alla cui presenza da vent'anni la regione non conosce più guerre.
Per accompagnare quel processo e offrirgli una prospettiva di stabilizzazione l'Unione Europea fin da allora si è impegnata - con dichiarazioni del Consiglio Europeo reiterate più volte in questi vent'anni - a promuovere un percorso di integrazione dei Paesi balcanici, anticipata dall'ingresso della Slovenia nell'Unione nel 2004 e poi della Croazia nel 2009. A cui sono seguiti, in tempi diversi, accordi di associazione con gli altri Paesi candidati, senza tuttavia indicare tempi certi di adesione.
A sua volta la NATO ha aperto le sue porte all'adesione di Slovenia (2004), Croazia e Albania (2009), Montenegro (2017) e stabilito rapporti di partnership con gli altri paesi della regione.
Sempre nell'ottica di offrire sedi di integrazione e cooperazione è stata rilanciata l'Iniziativa Centro Europea (Ince) che, istituita all'indomani della caduta del muro di Berlino con le nazioni della Mitteleuropa, si è poi allargata a tutti i 18 Paesi dell'Europa centrale e sudorientale. E nel 2000, su iniziativa dell'Italia, è nata l'Iniziativa Adriatico-Ionica come Forum di cooperazione regionale tra i Paesi rivieraschi dell'Adriatico. A tutto ciò sono affiancate intense relazioni bilaterali con i paesi della regione, in particolare da parte di Germania, Italia e Austria. Come si vede una fitta rete di azioni tutte volte all'integrazione dei Balcani nelle istituzioni euroatlantiche.
Tuttavia, la crisi economica che ha colpito l'Europa e le molte turbolenze vissute in questi anni dall'Unione Europea - da Brexit alle spinte centrifughe dei Paesi dell'est, dalla crisi Ucraina alle tensioni sulla gestione dei flussi migratori - hanno reso più problematica e incerta la prospettiva dell'adesione delle nazioni balcaniche, via via dilazionata a tempi indefiniti. Peraltro i venti euroscettici che soffiano sul continente europeo e la prospettiva di una Unione a più velocità rischiano di relegare ulteriormente l'integrazione europea dei Balcani nel porto delle nebbie. Una mancanza di certezze che sta facendo maturare non solo nelle cancellerie dei Paesi balcanici, ma anche nelle loro opinioni pubbliche una frustrazione che - in tempi di populismi antieuropei - inizia ad attecchire anche nella regione.
In verità l'obiettivo della integrazione europea è oggi tanto più attuale proprio di fronte alle non poche criticità che si manifestano nella regione. La Bosnia Erzegovina - costituita da due entità federate e da tre comunità nazionali - continua a vivere con grande difficoltà la sua identità plurietnica e la complessità del suo assetto istituzionale. La Macedonia è attraversata da periodiche crisi e instabilità nella difficile convivenza tra maggioranza macedone e minoranza albanese. L'Albania - che pure ha conosciuto uno sviluppo economico significativo - è anch'essa caratterizzata da una dialettica politica interna di aspra contrapposizione tra le due principali forze politiche. Il Kossovo continua a essere un "territorio statuale" non accettato dalla Serbia, con cui periodicamente si riaccendono conflitti. La Serbia - forte di una storia che sempre le ha assegnato un ruolo primario nella regione - oscilla tra una ambizione di integrazione europea e un rapporto culturale, religioso e identitario con il mondo slavo e con Mosca.
Non mancano naturalmente nella regione confortanti segnali positivi, in particolare l'atteggiamento pro europeo delle classi dirigenti, della business community, del mondo accademico e intellettuale, dei giovani. Il che accresce la urgenza che da parte dell'Unione Europea giunga un messaggio chiaro: "noi vi vogliamo" è ciò che le classi dirigenti e le opinioni pubbliche vogliono sentirsi dire da Bruxelles.
Ancorché di complessa realizzazione, la integrazione europea resta infatti la sola scelta strategica per dare ai Balcani una duratura stabilità politica ed economica. Un'area - non dimentichiamolo mai - in cui storicamente ogni popolo ha pensato e perseguito il proprio destino contro il vicino. Peraltro basta osservare una carta geografica della regione per constatare che i Balcani - confinando con Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Grecia e prospicienti all'Italia - sono una enclave nel territorio dell'Unione, pur senza esserne membri.
Assume perciò un particolare valore il vertice annuale del "Processo di Berlino" che si riunirà il 12 luglio prossimo a Trieste. Proposto dalla Germania a Italia, Francia e Austria e coinvolgendo tutti i Paesi dei Balcani, il Processo di Berlino si propone di essere uno strumento di cooperazione politica ed economica finalizzato a favorire uno sviluppo dei Balcani e un progressivo avvicinamento a standard europei, condizione essenziale per la integrazione nell'UE. Ed è significativo che accanto al vertice intergovernativo - che vedrà la presenza dei Capi di governo, ministri degli Esteri e ministri di dicasteri economici - si sia voluto organizzare a Trieste sia un Forum della società civile con largo coinvolgimento di fondazioni, associazioni, ong e movimenti civici, sia un Business Forum con la partecipazione di imprese, camere di commercio, operatori finanziari. L'inclusione europea dei Balcani richiede infatti un'azione di democratic institution building che mobiliti la società civile e i suoi attori, consolidi il tessuto democratico spesso ancora fragile, promuova una diffusa adesione ai valori dell'europeismo e affermi una cultura dell'integrazione sovranazionale.
In questo scenario alcuni Paesi europei sono chiamati a svolgere un ruolo di punta. Tra questi l'Italia che per prossimità territoriale, relazioni storiche, intensità di rapporti economici, ragioni di sicurezza, è particolarmente interessata alla stabilità e all'integrazione della regione. L'Italia é il primo o secondo partner economico di ogni Paese della regione; la presenza di imprese italiane abbraccia ogni settore ed è motore essenziale di sviluppo; la immediata vicinanza fa si che ogni dinamica che si manifesti nei Balcani investa il nostro Paese; sicurezza e stabilità della regione sono un interesse vitale comune. Sono ragioni forti che devono vedere l'Italia in prima fila come sponsor dell'integrazione europea dei Balcani, battendosi perché l'Unione non si sottragga al dovere di indicare tempi, modi e tappe certe di questo processo. E questo nostro impegno sarà tanto più convincente se contemporaneamente saranno ulteriormente espanse e rafforzate le relazioni bilaterali tra Il nostro Paese e le nazioni della regione, dando così concreta dimostrazione di quanto l'Italia consideri strategica l'integrazione europea dei Balcani.
Questo articolo è pubblicato sul numero 72 (luglio/agosto '17) di Eastwest, in uscita in queste settimane.