Siria: dalle armi al negoziato. È tempo di agire.

di 
Piero Fassino

Le immagini di bambini, donne, anziani, intere famiglie soffocati dai gas tossici hanno suscitato indignazione e emozione in tutto il mondo. E di fronte a tanta sofferenza la reazione sanzionatoria verso chi ne è responsabile è inevitabile, anche perché in passato il regime di Damasco ha fatto uso di armi chimiche. Tant’è che, di fronte alle proteste della comunità internazionale, si impegnò a smantellare gli arsenali di armi chimiche e i loro siti produttivi. E oggi è necessario accertare tutte le responsabilità’ di ciò che è accaduto a Douma, garantendo piena libertà di azione agli ispettori dell’Opac.

L’intervento messo in campo da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna è stato definito dagli stessi promotori “circoscritto e preventivo rispetto all’eventuale volontà di uso di armi chimiche da parte di Damasco”. Il che significa l’implicito riconoscimento che non saranno le armi a dare soluzione alla guerra civile che da sette anni scuote la Siria. Kobane, Damasco, Aleppo, Gouta, Afrin, Douma, Iblib sono le stazioni di una via crucis che ha causato un interminabile sequenza di distruzioni, sofferenze, dolore, esodi che hanno travolto la vita di milioni di siriani e causato un enorme quantità di vittime.

Una guerra civile atroce a cui via via si sono sovrapposti altri conflitti intorno a cui si giocano molteplici equilibri: tra Assad e i suoi oppositori, tra Isis e islamici non integralisti, tra curdi e i governi dell’area, tra sciti e sunniti, tra Iran e Arabia Saudita, tra Arabia Saudita e Qatar, tra Iran e Israele, tra Israele e palestinesi, tra fazioni opposte in Yemen. E con la presenza sul terreno di Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, uniti nella lotta all’Isis e al terrorismo, ma divisi e su fronti opposti nel sostegno ai protagonisti di quei molti conflitti.

Pensare che una situazione così complessa possa essere risolta con le armi é pura velleità. Dalle vicende di questi giorni deve perciò emergere un sussulto di consapevolezza. A quei conflitti si può dare soluzione solo se si imbocca con determinazione la via dei negoziati per ricercare soluzioni condivise. La Siria potrà uscire dalla guerra civile che da sette anni la devasta solo se Assad e i suoi oppositori saranno sollecitati, sostenuti e accompagnati nella ricerca di un punto di compromesso. E così per il conflitto israelo-palestinese che torna a conoscere in queste settimane una escalation di violenze. E in Yemen solo con un negoziato si potrà uscire da un conflitto che sta già pericolosamente coinvolgendo altri paesi, a partire dall’Arabia Saudita. E solo con soluzioni negoziali si potrà dare soddisfazione all’aspirazione  curda a veder riconosciuta la autonomia della propria identità.

Insomma, serve una svolta.

Ma perché questo avvenga occorre un salto di qualità da parte della comunità internazionale e in primo luogo da parte dei tanti attori di quella crisi.

La crisi siriana ci mette di fronte a una innegabile verità che troppo spesso e troppo a lungo ci si ostina a occultare. Non si governa un mondo globale solo sulla base di politiche nazionali. Da sette anni entrano nelle nostre case immagini terribili di morte, sofferenza, distruzioni. E chiunque di noi si è chiesto: “ma cosa deve ancora accadere per fermare una tale mattanza?“. La risposta a quell’interrogativo é che non si interviene perché non vi è un autorità titolata a farlo. O meglio un’ autorità ci sarebbe, perché la Carta dell’Onu prevede un diritto di intervento per proteggere le popolazioni dai conflitti. Ma quella possibilità è subordinata a una autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dove le decisioni le prendono i rappresentanti degli Stati e se tra loro - come nella vicenda siriana - non c’è accordo, ogni decisione si ferma. Insomma, se non si supera la “gelosia delle Nazioni” - gelose della loro sovranità, della loro potenza, della loro influenza - di fronte a ogni conflitto la comunità internazionale e le sue istituzioni saranno sempre impotenti. In un mondo interdipendente e globale servono sedi di sovranità globale capaci di gestire e governare conflitti che nessuna politica nazionale da sola potrebbe dirimere. Per e saggia e lungimirante la scelta dell’Italia - ribadita dal Presidente Gentiloni nel suo discorso all’Assemblea dell’Onu dello scorso ottobre - di sostenere il rafforzamento delle istituzioni multilaterali e sovranazionali dotandole di poteri, strumenti e risorse necessarie a esercitare la loro funzione di governance.

E questo vale anche per l’Europa che è vitalmente interessata e direttamente investita da ciò che accade in quella regione strategica che va dallo Stretto di Gibilterra al Golfo Persico. Basterebbe pensare a come la crisi siriana e di altri Paesi mediterranei ha generato imponenti flussi di profughi e migranti approdati in Italia e in Europa per comprendere che quel che accade là ci riguarda direttamente. Ma proprio per questo anche l’Unione Europea deve fare un salto di qualità. Per contare bisogna parlare con una sola voce e agire con una sola mano. Mentre di fronte alle tante crisi che scuotono il Mediterraneo e il Medio Oriente molte nazioni europee -  a partire dalle più potenti - tendono ad agire in proprio. Il risultato è una babele di azioni che non consente di arginare i conflitti e riduce la autorevolezza, la credibilità e la capacità di azione dell’Unione Europea. E se un merito va riconosciuto all’Italia è di aver sempre pensato e compiuto le proprie scelte di politica estera dentro la dimensione europea, scegliendo non l’effimero prestigio di avventure solitarie, ma l’impegno a far sì che l’Unione Europea potesse esprimere una politica efficace, nell’interesse comune di tutti i suoi Paesi membri e di tutti i cittadini europei.

Per tutte queste ragioni è passaggio importante la Conferenza internazionale sulla Siria che l’Onu e l’Unione europea hanno convocato per il 24-25 aprile a Bruxelles con la presenza di tutti i protagonisti di quel teatro. La Conferenza deve essere l’occasione per aprire una fase nuova: sospendere il ricorso alle armi, attivare un corposo programma di interventi umanitari, rilanciare il negoziato tra le parti. Ed sarà decisivo che la comunità internazionale, e in primo luogo tutti coloro che sono coinvolti in quel conflitto, assumano e sostengano le proposte che saranno avanzate dal rappresentante Onu Staffan De Mistura e dall’Alto Rappresentante europeo Federica Mogherini.

Insomma, non c’è più tempo davanti a noi. Ogni nazione, ogni governo, ogni istituzione internazionale, ogni parte in conflitto é chiamata ad assumere le proprie responsabilità. E ognuno ha la responsabilità di non far mancare il sostegno a ogni iniziativa utile a restituire pace e vita là dove per troppi anni hanno prevalso guerra e morte. A nessuno saranno perdonate indifferenza, passività, opportunismi di fronte al prezzo di sangue, sofferenze, distruzioni che la Siria ha pagato e continua a pagare.