Uscire dalla morsa deregulation o protezionismo

di 
Piero Fassino

La decisione del Presidente Trump di imporre nuovi dazi e tariffe supplementari sulle importazioni da paesi terzi segna un mutamento di scenario dell’economia globale. È una decisione non inaspettata, stante che fin dalla sua campagna elettorale Trump aveva annunciato l’intenzione di adottare misure protezionistiche. E tuttavia gli ultimi trent’anni a cavallo del passaggio di secolo sono stati caratterizzati dall’affermarsi di mercati aperti, riduzione di barriere, aree di libero scambio, integrazioni economiche sovranazionali. E la dimensione globale è venuta affermandosi via via in ogni ambito, non solo economico e finanziario. E soprattutto ha cambiato la geografia politica ed economica del mondo. Se per secoli tutta l’economia del mondo aveva il suo fulcro nell’Europa e nell’occidente - dalle imprese marittime per scoprire nuovi continenti alla creazione di imperi coloniali, dalla rivoluzione industriale fino al sistema di Bretton Woods - negli ultimi sei lustri il mondo è divenuto più largo e più grande. Sono entrati in scena nuovi grandi players - dalla Cina all’India, dal Brasile alla Russia - a cui si è via via aggiunta una lunga fila di economie emergenti.

L’esito di questo processo è stato duplice. Per un verso con la globalizzazione quattro miliardi di donne e uomini sono entrati nella sfera dei consumi e la loro qualità della vita ha conosciuto un salto di qualità in avanti. Per altro verso le società occidentali hanno visto insidiate la loro capacità produttiva e la prosperità dei loro cittadini con negative conseguenze sulla distribuzione del lavoro, del reddito e delle opportunità di vita di cui ha sofferto una vasta parte di popolazione compreso quel ceto medio che è pilastro essenziale di ogni società. Di qui un istinto di difesa, invocando misure di protezione, in particolare verso le forme di dumping e ineguale concorrenza.

Sarebbe un errore giudicare moralisticamente quella domanda. Né può rappresentare una risposta richiamare i tanti - e veri - vantaggi offerti dalla globalizzazione, perché le dinamiche macroeconomiche di crescita non necessariamente producono effetti positivi nella vita quotidiana di famiglie e persone. Per altro verso sarebbe velleitario pensare di arrestare la globalizzazione e di tornare ai mercati chiusi. Ma tra deregulation e protezionismo occorre perseguire una terza possibilità c’è: dare una guida alla globalizzazione. Si perché il nodo non risolto dell’economia globale é l’assenza di regole (o comunque la debolezza delle poche che ci sono) e di governance. Emerge qui la principale contraddizione di un mondo che è globale in tutto - produzione, scambi, trasferimento di tecnologie, circolazione delle persone, comunicazione, ricerca - ma non ha luoghi di sovranità globale, essendo i destini del mondo ancora affidati in grandissima parte alla sovranità delle nazioni e alle loro reciproche relazioni. 

Certo evocare l’obiettivo di una governance globale può apparire velleitario in un mondo percorso da molti conflitti e da una molteplicità di interessi. Eppure non c’è un’altra strada. Di fronte a problemi sempre più globali - dal climate change alla transnazionalità delle attività finanziarie alla invasività digitale - tutto ci dice che nessun problema può oggi essere risolto chiudendosi semplicemente nei propri confini nazionali. Quel che serve oggi è costruire sedi sovranazionali capaci di adottare regole e di darsi gli strumenti per farle rispettare. Una strada che peraltro si è già iniziato a percorrere. Vanno in questa direzione i Trattati di libero scambio, come quelli negoziati dall’Unione Europea con Canada e Giappone per adottare regole e standard comuni. Vanno in questa dizione gli Accordi di Parigi sul clima. Va in questa direzione una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio che le conferisca poteri e strumenti di intervento contro ogni forma di sleale concorrenza. E va in questa direzione ottenere da tutte le nazioni la effettiva applicazione - e non solo la sottoscrizione formale - delle 8 Convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del Lavoro in ragione da contrastare le troppe forme di dumping sociale.

Insomma: la sfida è dare alla globalizzazione un verso, una direzione, una guida per ottimizzarne i benefici e minimizzarne i rischi. Difficile certo, ma indispensabile.