La Germania e le ricadute economiche della crisi Covid 19 - II parte
La crisi che emerge dall’emergenza Covid 19 è molto complessa perché assistiamo a uno shock simultaneo di domanda e offerta e al crollo della domanda di “consumo sociale"; in Germania si discute molto sull’efficacia compensatoria che potrebbe essere prodotta dal sostegno della domanda da parte dello Stato. Soprattutto dove si assiste a difficoltà sul versante dell'offerta, il sostegno governativo alla domanda potrebbe finire con l’essere controproducente, mentre in altre situazioni appare addirittura vitale.
La priorità, naturalmente, è quella sanitaria: se l’epidemia non viene messa velocemente sotto controllo qualsiasi prospettiva di ripresa economica è irrealistica e gli effetti negativi saranno duraturi e dirompenti: pensiamo ad esempio un'ondata di insolvenze e, soprattutto, di licenziamenti ingestibile. Ma accanto alla priorità sanitaria urge stabilizzare i settori economicamente più colpiti, evitando che gli shock che hanno investito i settori manifatturieri e alcuni servizi (il turismo in particolare) inneschino delle reazioni a catena trasformando le crisi settoriali in una crisi sistemica per l’economia e per tutto il cosiddetto “Modell Deuschland”.
Le classiche misure di stimolo all’economia, monetarie e fiscali, stavolta potrebbero non bastare perché si potrebbe andare incontro a una crisi di fiducia tale da mettere in crisi tutto il sistema finanziario e bancario. Anche nel dibattito tedesco sembra emergere la possibilità che la Banca centrale europea debba, infine, diventare il prestatore di ultima istanza in grado sia di ristabilire la fiducia tra i cittadini (impedendo una corsa al ritiro dei depositi) sia l’eventuale crisi di liquidità delle banche. Dall’altra parte gli interventi sui tassi d’interesse sono ormai davvero limitati, così come gli interventi sul versante dell’acquisto di obbligazioni: basti pensare che i titoli di stato tedeschi (Bund) a 10 anni il 9 marzo hanno raggiunto il -0,826. L'acquisto di obbligazioni societarie da parte della BCE, ad esempio dalle compagnie aeree, sarebbe tecnicamente possibile ma trova i tedeschi abbastanza scettici.
Una parte molto interessante del dibattito tedesco, sia in chiave italiana che europea, concerne il tema dell’indebitamento.
Il freno all'indebitamento, infatti, ha un'eccezione esplicita per le situazioni di crisi: l'articolo 115 della Legge fondamentale (Grund Gesetz) prevede che in caso di catastrofi naturali o di situazioni di emergenza eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato e che incidono in modo significativo sulla situazione finanziaria dello Stato, i massimali di credito possano essere superati sulla base di una risoluzione della maggioranza dei membri del Bundestag. Anche il patto di stabilità europeo, come vediamo in questi giorni, non è un impedimento insuperabile: il richiamo è all'articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (CE) Nr. 1466/97: “In caso di un evento eccezionale che esuli dal controllo dello Stato membro interessato e che abbia un impatto significativo sulla situazione delle finanze pubbliche, o in caso di grave recessione economica nell'area dell'euro o nell'Unione nel suo insieme, gli Stati membri possono essere autorizzati a deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di bilancio a medio termine di cui al terzo comma, a condizione che ciò non metta a repentaglio la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche".
A differenza della BCE, la politica fiscale tedesca ha un grande potenziale di stabilizzazione dell'economia a breve e medio termine, non da ultimo a causa del basso rapporto debito/PIL, e questo introduce una differenza fondamentale con l’Italia che potrebbe portare le due nazioni a un confronto piuttosto serrato in ambito europeo proprio in virtù della diversa sostenibilità dei due debiti pubblici. La Germania può oggi con una certa serenità discostarsi dal principio del cosiddetto “zero nero” (schwarzen Null), la politica di bilancio perseguita dal Governo tedesco con l’obiettivo di raggiungere il pareggio o addirittura il surplus di bilancio, obiettivo che consegue costantemente dal 2014, e può quindi utilizzare il margine di manovra offerto dal freno all'indebitamento.
Dopo la crisi finanziaria, la Germania è stata uno dei pochi paesi a tenere sotto controllo il debito pubblico che all’inizio dell’emergenza Covid 19 si era attestato al 62% della produzione economica, ovvero meno di prima dell'ultima crisi finanziaria del 2008. In altri paesi, invece, nel frattempo il debito pubblico è aumentato notevolmente. Prima dello scoppio della crisi finanziaria, la Francia era indebitata in misura simile alla Germania; oggi il suo debito pubblico è pari al 98% della produzione economica. Anche in tutti gli altri paesi del G7 il debito pubblico è aumentato notevolmente negli ultimi anni, e l’Italia non fa certo eccezione..
La prima mossa che questa solidità finanziaria consente è garantire liquidità alle imprese, problema anche italiano (che sfortunatamente dispone di mezzi ben più limitati), per evitare fallimenti causa insolvenza ricorrendo o ad un aumento della disponibilità del tradizionale strumento di intervento per le PMI, il Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) che dispone di 500 milioni di euro annui, o con un generoso sgravio degli ammortamenti, o una detrazione fiscale sugli investimenti oppure un rinvio generale senza interessi dei pagamenti di imposte dovute.
Per proteggere le PMI e i lavoratori autonomi, che sono considerati dal Ministero federale dell’economia e dell’energia i soggetti più esposti, sono stati messi a disposizione sussidi e prestiti a vari livelli. Ogni Stato federale fornisce il proprio aiuto economico d'emergenza alle PMI e ai lavoratori autonomi, che può ammontare tra i 3.000 e i 60.000 euro, a seconda delle dimensioni dell'azienda.
Il livello di sostegno finanziario varia notevolmente da uno Stato federale all'altro, ma il Governo federale prevede misure supplementari oltre agli sforzi dei Länder. Inoltre, ha messo in campo un budget per misure di protezione medica ed economica e per progetti di ricerca. Su un totale di 484,5 miliardi di euro, 50 miliardi di euro saranno utilizzati per sostenere le piccole imprese. L'obiettivo è quello di fornire un'assistenza temporanea ai lavoratori autonomi, ai piccoli imprenditori e ai piccoli imprenditori che, in mancanza di aiuti, rischiano di non sopravvivere. Per i lavoratori autonomi, tra l'altro, i fondi per Arbeitlosengeld II ( l'indennità di disoccupazione) e l’assistenza di base sono stati aumentati complessivamente di circa 7,7 miliardi di euro, mentre 5,9 miliardi di euro sono stati messi a disposizione per garanzie e fideiussioni.
Oltre ai prestiti che devono essere rimborsati, è stato istituito un regime di aiuti d'emergenza per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e le piccole imprese, che concede un contributo compreso tra 9.000 e 15.000 euro, a seconda del numero di dipendenti, che viene erogato per tre mesi. Questo sussidio non deve essere rimborsato e quindi alleggerisce l'onere per le PMI e i lavoratori autonomi. Nel complesso, lo scudo protettivo per i dipendenti, i lavoratori autonomi e le aziende è il più grande pacchetto di sostegno nella storia della Repubblica Federale Tedesca. L'importo totale delle misure che incidono sul bilancio è di 353,3 miliardi di euro e l'importo totale delle garanzie è di 819,7 miliardi di euro. I pagamenti anticipati d'imposta sono stati ridotti e le misure di esecuzione diventano esigibili in un secondo tempo.
Uno strumento che in Germania ha dato già in passato buoni risultati e che adesso potrebbe essere rafforzato è quello del Kurzarbeitergeld. Il Governo sta facilitando le condizioni per ricevere le prestazioni di lavoro a orario ridotto e per rimborsare alle aziende una parte o la totalità dei costi dei contributi previdenziali che normalmente dovrebbero essere pagati. Le aziende ricevono un rimborso dei contributi sociali per un anno se il 10% dei dipendenti lavora a tempo ridotto e i dipendenti ricevono il 60% del loro salario netto dall'Ufficio federale del lavoro. L'obbligo di creare inizialmente saldi negativi dell'orario di lavoro come parte della flessibilità interna dovrebbe essere sospeso in tutto o in parte e anche i lavoratori temporanei dovrebbero poter beneficiare di un'indennità di lavoro a tempo parziale.
Per dare un’idea del problema ci possono aiutare alcune cifre. Il governo federale si aspetta 2,15 milioni di lavoratori a tempo parziale, ma il Presidente del Consiglio di Amministrazione di BA, Detlef Scheele, ha affermato che con tutta probabilità il numero di lavoratori a tempo parziale sarà molto più alto rispetto alla grande crisi finanziaria del 2008/2009. All'epoca, 1,44 milioni di persone in Germania dipendevano dal lavoro a orario ridotto. Qualche giorno fa il Governo tedesco ha presentato una stima per l'attuale crisi secondo la quale sono attesi 2,15 milioni di lavoratori a tempo parziale. Se questa stima sia corretta nessuno può dirlo al momento, ma la sensazione è che tutte le cifre andranno riviste in termini più negativi. Alla fine, circa un'impresa industriale su quattro dovrà reagire alla crisi ricorrendo al lavoro a orario ridotto e un'impresa su dieci è minacciata dall'insolvenza.
Il lavoro a orario ridotto è uno strumento a cui guardare con attenzione, come ha sottolineato Guy Ryder, capo dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). In effetti, le aziende tedesche sembrano essere in grado di salvare un numero cospicuo di posti di lavoro grazie al lavoro all’orario ridotto e sono nella condizione di licenziare meno persone rispetto ai loro concorrenti stranieri. Almeno questo è ciò che si aspetta la Commissione Europea, che prevede un aumento della disoccupazione al quattro per cento anche per la Germania. Ma è poco rispetto al tasso di disoccupazione del 9,4% che Bruxelles si aspetta in media per la zona euro.
Flessibilità e sostegno alla liquidità sembrano, nel breve periodo, i due approcci con i quali contenere gli effetti a breve della crisi anche accettando la conseguenza di un netto peggioramento dei conti pubblici, possibilità che peraltro il sistema tedesco potrebbe facilmente assorbire anche in virtù dei tanti anni in surplus di bilancio.
Una certa freddezza c’è riguardo ad un altro strumento classico di stimolo dell’economia: la riduzione delle aliquote IVA. I costi fiscali (circa 10 miliardi di perdita fiscale in euro per punto IVA) sono giudicati troppo elevati.
Quando ragioniamo sulle misure prese dal Governo tedesco in relazione alla crisi non dimentichiamo che, prima dell’emergenza, Berlino aveva già approvato un enorme piano di investimenti in infrastrutture fino al 2024 destinato a sostenere la domanda interna in misura considerevole. Questo piano sarà ancora più importante dal momento che molti settori industriali, e l’indotto ad essi legati, saranno colpiti dalla crisi generata dal Covid 19.
Quel che appare certo è che la crisi innescata dall’emergenza Covid 19 sta accelerando un processo di riflessione su tutta la struttura dell’economia tedesca e soprattutto del suo apparato industriale. Molte aziende stanno iniziando a ripensare radicalmente i confini della globalizzazione al cui interno hanno costruito il loro modello produttivo. Le catene di valore aggiunto internazionali utilizzate in modo intensivo dalle aziende tedesche promettono, infatti, enormi vantaggi in termini di costi. Ma la crisi attuale ne evidenzia anche la fragilità. Molte aziende cercheranno di diversificare maggiormente le loro catene di valore. In questo modo, proveranno a gestire le criticità ora evidenti quando si verifica uno shock specifico in un Paese (in questo caso l’esempio più esplicito è la Cina). Alcune aziende potranno ripensare il rapporto tra profitto e sicurezza della catena del valore immaginando di spostare completamente la loro produzione in Europa, e conseguentemente aprire nuove possibilità di investimento in territori considerati strategici (il Nord Italia, da questo punto di vista, potrebbe avere più di una carta da giocare per attrarre tali investimenti). Anche le nuove tecnologie che consentono tale riallocazione potrebbero essere un campo di particolare rilievo da tenere costantemente sotto osservazione.
Se la crisi durerà per molti mesi assisteremo sicuramente a un cambiamento profondo nella divisione globale del lavoro che impatterà nella stessa struttura spaziale della produzione, rendendo necessario un nuovo aumento della profondità della produzione e una rivalutazione delle scorte di magazzino che sembravano ormai obsolete in un meccanismo di produzione just in time. La ricaduta sulla dinamica degli investimenti sarà immediata e innescherà, a sua volta, l’emergere di nuove e particolari esigenze cui dovranno rispondere le infrastrutture pubbliche. Va anche tenuto presente che, con il rallentamento delle dinamiche del commercio mondiale, la percezione del rischio della globalizzazione sta cambiando per diverse ragioni: rischio di epidemie, concorrenza globale, cambiamenti nel quadro geopolitico della divisione globale del lavoro, rischi climatici e migrazione. In questo contesto, la crisi del Covid 19 può essere un'opportunità per sviluppare ulteriormente l'ordine multilaterale.
Nella politica tedesca il primo passo per una gestione multilaterale dello sviluppo economico mondiale è il rafforzamento dell’Europa, l’unica massa critica di cui Berlino dispone. La crisi spingerà il governo tedesco a maggiori aperture nei riguardi dei suoi partner europei, nella convinzione dell’importanza strategica dell’Unione per la tenuta del sistema economico interno. La Germania si spingerà fino a una revisione importante di quelli che sembravano limiti invalicabili della sua politica economica, e gli accordi con Parigi degli ultimi mesi in relazione ai prestiti e ai debiti dell’area mediterranea lo dimostrano.
Attenzione alle semplificazioni, però. L’Europa vista da Berlino non è esprimibile geometricamente con un triangolo Roma-Parigi-Berlino con la Germania come un lato del triangolo. Piuttosto, con un pentagono Parigi-Berlino-Varsavia-Vienna-Milano con la Germania al centro. L’Europa orientale è un’opzione fondamentale per la geo-economia tedesca e non è irrilevante che le economie dell’Europa orientale sembrino affrontare meglio la crisi e uscirne più velocemente. Secondo gli esperti, uno dei motivi di una possibile rapida ripresa della crescita economica è probabilmente rappresentato dagli enormi pacchetti di stimolo e di salvataggio in molti Stati UE dell'Europa orientale. L'Ungheria, ad esempio, ha mobilitato il 13,6% del PIL, la Repubblica Ceca il 12,4% e la Polonia l'11,3% del PIL per gli investimenti statali contro la crisi economica, come ha calcolato Rafal Benecki di ING Bank. Questo non solo è di fondamentale importanza per l'economia tedesca, dal momento che i quattro cosiddetti Stati di Visegrad (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) sono insieme partner commerciali esteri di aziende tedesche più grandi degli USA o della Cina; in più, le fabbriche delle aziende tedesche in questi paesi sono ormai parte importante della catena del valore delle società madri. Ci sono anche ricadute politiche che dobbiamo prendere in considerazione quando da Roma vediamo la Germania cercare, sul terreno della politica europea, un equilibrio tra le esigenze della parte mediterranea della UE e le esigenze della parte orientale.
L’Europa deve anche capire che dalla crisi potrà uscire soltanto con la Germania, non contro di essa: ma questo significa per prima cosa capire quali sono le opzioni politiche di Berlino e quali le necessità strategiche imposte alla Germania dalla sua situazione geo-economica.