Il Governo-ombra del governo-ombra

30 Dicembre 2024
Francesco Olivieri

Il mandato di Biden è agli sgoccioli, e il momento della verità si avvicina: Trump-2 sta per ricevere le consegne ed entrare alla Casa Bianca, alla guida del paese che lo ha distrattamente eletto a governare la nazione nel momento più vulnerabile dai tempi della guerra del Vietnam e della crisi politica del Watergate. Il team di Biden ha esaurito il suo potere, al di là della ordinaria amministrazione, ma ormai largamente anche al di qua.  Con ciò, Trump ha cominciato a governare, nella caratteristica del “governo-ombra” che i capi di stato entranti allestiscono alla vigilia di prendere possesso dell’intero governo, e il suo primo passo è stato quello di far conoscere le persone cui attribuirà la responsabilità della miriade di posti di comando in cui si articola il governo del paese.

               E il suo primo gesto da Presidente “in pectore” è stato catastrofico.

L’elenco dei prescelti fiduciari è agghiacciante. Gli americani sono sbigottiti, al pensiero che il loro paese sarà diretto da un drappello di persone di cui la maggiore qualificazione è il rapporto personale col Presidente entrante: non è un requisito da poco, e non va sottovalutato, ma non si sceglie un dottore solo perché gioca al golf con il capo. Difficile immaginare che governo ne verrà fuori, al di là della incombente servitù al capo della nazione. Questo governo-ombra, in attesa di balzare alla pedana di comando ormai tra poche settimane, sarà lo strumento di Trump per il prossimo quadriennio; ma, ormai alla vigilia, non si può più ignorare la domanda successiva: e Trump, di chi sarà lo strumento? Non certo del partito Repubblicano, tale come lo abbiamo conosciuto e rispettato nella sua lunga storia, ma di una entità con lo stesso nome e -c’è motivo di temere- molto più debole ed evanescente, con un legame alla propria storia ormai molto discutibile. Questo governo ombra è a sua volta il governo-ombra di un altro governo, che non riflette un partito vincitore, con la sua storia e il suo messaggio raffinato dai lunghi confronti propri della democrazia, bensì gli individui che ne hanno assunto la guida- apertamente, come Trump, o implicitamente, come i suoi finanziatori.

          Anche una democrazia solidamente radicata, frutto di una storia in cui la sua natura democratica è stata ripetutamente al centro del dibattito politico nazionale - uscendo ogni volta confermata e persino rafforzata - può essere soggetta a momenti di oscuramento. In queste fasi di vulnerabilità, rischia di compromettere proprio il suo principio cardine: il diritto del popolo di scegliere liberamente i propri governanti, senza altri limiti se non quello dell'adesione alla Costituzione. Quest'ultima, anche oggi, dopo due secoli di vicende di ogni genere, continua a rappresentare e cristallizzare l'eredità politica più nobile del paese. Gli americani non si riconoscono in un regno ereditato dalla storia, ma in un patto concepito e rinnovato, di quadriennio in quadriennio, da loro stessi. La democrazia non è soltanto una scelta, ma l'essenza stessa della nazione che hanno creato. Democrazia significa che i cittadini scelgono e comandano, e la storia del paese registra l’esito, di volta in volta, di queste scelte - comprese quelle tragiche che conducono alla guerra tra gli Stati stessi che lo compongono. Ma, soprattutto, democrazia non si può ridurre alla scienza del rastrellamento dei voti e del denaro per acquistarli, un esercizio transazionale che non dice nulla di buono dell’avvenire di questa nazione.

               Democrazia e potere del popolo sono inscindibili, ma il potere del popolo non può essere miracolosamente infallibile - sono esistiti Presidenti grandi e piccoli, buoni e cattivi secondo il giudizio di poi, e si è prodotta maggiore unione oppure dura divisione tra gli stati. Al termine la nazione può uscirne a bandiere spiegate, dimostrando che la scelta del popolo non è sempre la migliore  nell’immediato, specie se frammentaria, ma resta la migliore alla fine, in quanto è la sola condizione veramente riunificatrice. La condizione perché ciò avvenga, peraltro, non è solo il prodotto quantitativo dei voti per l’uno o l’altro candidato, che si presterebbe a un semplice gioco transazionale, ma deve essere costruito su un impegno reale e coerente con la storia di questa democrazia. Così oggi si possono accogliere con incredulità e apprensione i primi gesti dell’imminente governo americano.

               Al tempo stesso occorre ricordare che la storia non finisce qui, proprio come la storia non è finita cinquanta anni fa, nel 1974, con la fuga di un Nixon disfatto, battuto da un Congresso che rifletteva un popolo alimentato dalla inflessibile stampa di allora - la quale a sua volta echeggiava, a monte delle redazioni dei “media”, una determinazione a dire e agire nella libertà e per la libertà.

               La storia ha registrato quella lezione- e oggi, mezzo secolo dopo, si ritrova a doversi pronunciare in un mondo in cui non ci sono più gli stessi giornali, gli stessi giornalisti, gli stessi americani. Certo, è legittimo pensare che gli americani di oggi non saranno troppo diversi dagli americani di allora, e ricorderanno quei giorni di crisi e come furono superati, e manterranno la rotta.