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Politica

Il Regno Unito volta pagina: la vittoria del Labour riformista di Keir Starmer mette fine a 14 anni di governi Tory

11 Luglio 2024
Mario Massungo

E in meno di 6 settimane il Regno Unito volta pagina e mette fine a 14 anni di governi Tories con una vittoria travolgente del partito Laburista. Un risultato annunciato dai sondaggi, che vedevano il partito laburista guidato da Keir Starmer primeggiare di oltre 20 punti sul partito conservatore del Primo Ministro Rishi Sunak. Il quale aveva sorpreso tutti con la sua decisione di indire le elezioni anticipate sei mesi prima della fine naturale della legislatura, probabilmente per evitare di affrontare in autunno una legge di bilancio lacrime e sangue. Le finanze britanniche, infatti, non godono di ottima salute: il debito pubblico è aumentato negli ultimi anni dal 75% del PIL nel 2010 (primo anno di governi Tory dopo i governi laburisti di Tony Blair e Gordon Brown) al 101% nel 2023, e il deficit è fuori controllo, specie dopo il disastro del "mini-budget" della Premier Liz Truss nel 2022. Sperando di sfruttare il fattore sorpresa, Sunak non è invece riuscito a ribaltare i pronostici in campagna elettorale, nonostante una buona performance nei dibattiti. La clamorosa gaffe di lasciare in anticipo i festeggiamenti per gli 80 anni dallo sbarco in Normandia per rilasciare un'intervista TV non ha aiutato. Nelle urne, il giudizio degli elettori britannici è stato netto: hanno consegnato al partito laburista oltre 412 seggi (la seconda vittoria più ampia dopo quella di Blair del 1997 con 418 seggi) e bocciato senza appello i Tories, che hanno subito la loro più dura sconfitta dal 1830. Tra i volti noti caduti ci sono l'ex premier Liz Truss e persino Jacob Rees-Mogg, il capo dell'ala Brexiteer del partito.

In effetti, ognuno dei cinque governi Tories succedutisi dal 2010 ad oggi ha lasciato un'eredità negativa per il Regno Unito. Il governo Cameron è associato alla Brexit e alla dura austerità, quello di Theresa May all'"hostile environment", un regime oppressivo contro l'immigrazione la cui brutalità è culminata nello scandalo Windrush (la deportazione di cittadini caraibici che vivevano nel Regno Unito da decenni) e all'introduzione dell'"universal credit", che ha abbassato il limite massimo di sussidio statale accessibile alle famiglie indigenti. Il governo di Boris Johnson è stato segnato dal partygate e dalla sottovalutazione dei rischi della pandemia, mentre quello di Truss ha causato la turbolenza finanziaria del "mini-budget" varato durante i suoi 44 giorni al potere. Rishi Sunak, negli ultimi anni, non è riuscito a raccogliere i cocci, osteggiato sia dalla gente comune, che lo percepiva come un freddo tecnocrate, sia dalla base del partito, che alle primarie interne gli aveva preferito Liz Truss. Insomma, più che una vittoria dei laburisti, si tratta di una sconfitta dei Tories, che dovranno impegnarsi molto per riconquistare la credibilità presso l'elettorato.

Analizzando più da vicino i risultati, emerge chiaramente che un contributo significativo al successo laburista sia provenuto da Nigel Farage, ideatore della Brexit, e dal suo Reform Party, che ha eroso milioni di voti ai conservatori permettendo ai laburisti di vincere in molti collegi. I laburisti hanno ottenuto 9.6 milioni di voti (il 34% del totale), i conservatori 6.7milioni (24%) e Farage 4 milioni di voti (14%), dati che mettono in luce la struttura fortemente maggioritaria della legge elettorale britannica composta da piccoli collegi uninominali causando dei risultati alquanto peculiari, come i liberal-democratici che ottengono 71 seggi con 3.5 milioni di voti (12%) mentre Farage con 4 milioni di voti ottiene solo 4 seggi (tra cui Farage stesso che per la prima volta entra nella Camera dei Comuni).

In questi termini, ben venga il maggioritario che ferma gli estremi. Altro grande sconfitto di queste elezioni è il partito nazionale scozzese SNP che travolto dagli scandali lascia molto spazio ai laburisti in Scozia. Oltre alla Scozia, il Labour avanza in tutte le grandi città e riesce a riprendersi il ‘Red Wall’, la regione di cittadine post-industriali tradizionalmente rosse nelle Midlands che nel 2019 si erano lasciate convincere dai Tories di Boris Johnson che predicava di ‘get brexit done’.  Questo spiega probabilmente la grande cautela con cui Keir Starmer si è finora espresso sul tema Brexit, arrivando perfino a dichiarare poche ore prima delle elezioni che non immagina di vedere il Regno Unito riunirsi all'Unione Europea "finché campa".

Parole che forse deludono l’elettorato europeista, specie in quanto espresse dallo stesso Starmer che pochi anni fa promuoveva l’idea di un secondo referendum sulla Brexit, ma che probabilmente servivano a riconquistare la fiducia dell’elettorato perso nel 2019 quando il partito laburista guidato da Jeremy Corbyn era andato incontro alla sua più grande disfatta elettorale del dopoguerra. Elementi che mettono in luce l’elevatissima volatilità elettorale nell’Europa del nostro tempo.

Si apre dunque un nuovo capitolo per il Regno Unito dai contorni non ancora ben definiti (il grande vantaggio nei sondaggi ha permesso al team Starmer di non essere troppo preciso nei propri programmi) ma una cosa che possiamo aspettarci è il probabile miglioramento dei rapporti con l’UE. E solo questo rappresenta in sé un passo avanti.

Da Londra è tutto.