Mancanza di leadership e crisi delle sinistre sudamericane
Era il 1998 e sulla scena politica sudamericana irrompeva il ciclone Hugo Chàvez.
Un populista di sinistra, lo chiameremmo oggi. Amatissimo da alcuni, detestato ed etichettato come dittatore da altri.
Socialista, immagine del riscatto degli ultimi in una parte del mondo – l'America Latina – dilaniata da disuguaglianze, fame, povertà e analfabetismo.
Il suo trionfo, nelle elezioni del 1998 aprì la strada a quello che alcuni osservatori hanno ribattezzato “Socialismo del ventunesimo secolo”.
Dopo la prima vittoria di Chàvez in Venezuela, uno ad uno, i paesi della regione si tingono dei colori del socialismo democratico: è la marea, l'onda rosa progressista che porta governi di centrosinistra a insediarsi in buona parte del Sud America.
Il Brasile di Lula e Rousseff, l'Argentina dei Kirchner, il Cile di Bachelet, il Nicaragua di Ortega, l'Uruguay di Vàsquez e Mujica, la Bolivia di Morales, Correa in Ecuador e l'ex vescovo Lugo in Paraguay.
Nel 2005 in quasi tutta la regione sono insediati governi progressisti: è il Socialismo del XXI secolo.
I successi dell'agenda progressista sono evidenti. In Argentina, Brasile, Venezuela ed Ecuador sono ridotte disoccupazione, povertà, disuguaglianze sociali e analfabetismo. In politica estera i governi progressisti rafforzano i sistemi di integrazione regionale del Mercosur, ALBA e Unasur. Oggi la marea rosa si è definitivamente ritirata senza aver risolto i problemi strutturali della regione. Non è stata sconfitta del tutto la grave piaga della corruzione, non sono stati riformati i sistemi politici ed economici.
Dopo quasi quindici anni la cartina del Sud America è stravolta nei colori, con la caduta delle ultime roccaforti rosse Bolivia e Uruguay solo l'Argentina resta a issare la bandiera della sinistra, dopo la parentesi, di soli 5 anni, del liberal-conservatore Macrì.
Il declino del progressismo latino inizia nella regione proprio dall'Argentina, con la sconfitta della coalizione di Cristina Kirchner nel 2015. Lentamente e in maniera inesorabile, come in un effetto domino, con sconfitte elettorali, inchieste giudiziarie e dubbie procedure parlamentari, cadono i governi in Brasile, Cile, Paraguay e, da ultimo, l'Uruguay e la Bolivia di Evo Morales.
A invertire la rotta e tornare a sinistra è stata l'Argentina di Alberto Fernández, vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso ottobre soprattutto grazie al marchio kirchnerista e al ritorno sulla scena di Cristina Fernández de Kirchner, vicepresidente di Alberto Fernández e trascinatrice di folle in campagna elettorale.
Ma, eccezione Argentina a parte, la crisi della sinistra sudamericana e la fine di un ciclo sono evidenti e inesorabili.
Lasciando da parte la triste vicenda venezuelana, con Nicolás Maduro che resiste al potere nonostante la forte delegittimazione a livello interno e davanti agli occhi del mondo, la caduta dell'Uruguay e l'uscita di cena di Evo Morales - forte simbolo del socialismo latinoamericano e del riscatto degli ultimi - chiudono definitivamente la stagione d'oro del progressismo sudamericano e a mio avviso pongono la sinistra sudamericana davanti al più grande dei suoi problemi: l'assenza di nuove leadership.
Emblematico il caso argentino.
Per la campagna elettorale e la netta vittoria di Alberto Fernandez, è stato difatti decisivo il ritorno del kirchnerismo e di chi ne rappresenta l'essenza: Cristina Kirchner.
Il tandem dei “Fernandez” ha riconquistato la Casa Rosada con percentuali schiaccianti, ma è innegabile che a spianare la strada al centrosinistra peronista sia stato proprio il ritorno sulla scena dell'ex first lady e presidente dell'Argentina: Cristina Fernandez de Kirchner.
Nonostante fosse in fuga dai processi, quando la scorsa primavera si è diffusa la voce di un ritorno sulla scena politica il suo nome è balzato in testa ai sondaggi. A rilanciare la sua immagine ha contribuito anche l'uscita della sua autobiografia. “Sinceramente” è un best-seller, uno dei libri più venduti nella storia argentina.
Il vincitore delle presidenziali dello scorso ottobre è stato Alberto Fernandez, ex capo di gabinetto di Nestor Kirchner e uomo di solida fede kirchnerista. Tuttavia la forte immagine di Cristina de Kirchner e la sua corsa per la vicepresidenza sono state determinanti per un centrosinistra peronista che non era riuscito a trovare un nuovo leader riconoscibile e una nuova agenda che non si riconducesse al kirchnerismo.
Anche la sconfitta del Frente Ampio in Uruguay è figlia di una crisi di leadership nella sinistra sudamericana.
Alle elezioni dello scorso 24 novembre, dopo 15 anni di governi progressisti guidati da Vásquez e Mujica il piccolo Uruguay ha svoltato a destra.
Il presidente eletto, il conservatore Loius Lacalle Pou, si insedierà nel marzo 2020, dopo aver sconfitto la coalizione di centrosinistra del Frente Ampio che candidava l'ex intendente di Montevideo Daniel Martinez, che pure era in testa al primo turno.
Quello di Montevideo è uno degli esempi più evidenti di un ricambio difficile nelle leadership progressiste e quello di un partito - il Frente Ampio - che non riesce a trovare leader all'altezza di Vásquez e soprattutto di Pepe Mujica, "l'amatissimo", inarrivabile in quanto a carisma.
Più liquida è la questione boliviana. Qui, la leadership di Evo Morales sembrava aver “tenuto” dopo le elezioni di ottobre da cui era uscito vincitore, pur nel quadro di molte polemiche e dubbie procedure, tra cui la stessa ricandidatura del presidente uscente, vietata dalla Costituzione.
Il presidente ambientalista, anti-imperialista, primo presidente indio della storia, è ancora amatissimo dal popolo delle campagne e da Buenos Aires, dove è rifugiato, continua a tenere di fatto le redini del suo Movimento al Socialismo (Mas).
Le elezioni presidenziali in Bolivia si svolgeranno il 3 maggio 2020, in un quadro democratico certo e senza lo spettro del Colpo di Stato.
Il Mas ha davanti a sé ottime possibilità di vittoria anche in virtù del fatto che la destra potrebbe arrivare divisa e non presentare una candidatura unitaria.
A candidarsi per la presidenza per il dopo Morales però, saranno due esponenti di primo piano dei governi di Evo, quasi a volerne rimarcare la continuità e la vicinanza ideologica. Il candidato a presidente correre per la presidenza sarà Luis Arce, ex potente ministro dell'economia tra il 2006 e il 2017 e artefice, secondo molti, del miracolo economico boliviano noto come 'Evonomics'. Candidato per la vicepresidenza sarà David Choquehuanca, ex ministro degli esteri: di origine Indigena è l'uomo scelto per essere trait d'union tra il Mas e le popolazioni indigena da cui proviene lo stesso Morales, nonché parte del suo consenso.
Quello della Bolivia che candida esponenti riconoscibili e vicini a Morales è solo l'ultimo esempio di una sinistra, quella latina, che fatica a trovare nuove leadership ed eredi che siano al livello dei protagonisti della marea rosa, leader con il carisma e la visione politica di Chavez, Morales, Lula (tornato sulla scena brasiliana dopo la scarcerazione) e Cristina Kirchner, dalla cui Argentina, sperano in molti, potrebbe cominciare una nuova stagione per i progressisti sudamericani e riprendere vigore l'onda rosa che, nel bene e nel male, ha cambiato la storia del Continente.