Radicalizzazione islamista e fragilità politico-istituzionale in Bosnia Erzegovina: due facce della stessa medaglia

Dario D'Urso
Questo paper è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca “La Presidenza italiana dell’OSCE 2018: sfide e opportunità in aree prioritarie”, con capofila l’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa/Centro per la Cooperazione Internazionale, grazie a un cofinanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per contributi straordinari a progetto ex art. 2 Legge 948/1982.
Data: 
2018

La Bosnia-Erzegovina è recentemente tornata alle luci della ribalta come bacino di reclutamento per molti foreign fighters che si sono uniti allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda nei territori da essi conquistati in Siria e Iraq, rimettendo così il paese balcanico nella mappa della sicurezza europea a più di vent’anni dalla fine del conflitto. Come fenomeno sociale e politico, seppur limitato a piccole porzioni di popolazione, la radicalizzazione islamista in Bosnia-Erzegovina affonda le sue radici nella guerra del 1992-95, come frutto perverso dell’incrocio tra il soul-searching dei musulmani locali (i ‘bosgnacchi’), l’arrivo di mujaheddin arabi venuti a sostenere l’esercito bosniaco contro le forze serbe e croate e l’influenza dei donors del Golfo e dell’ideologia wahabita da essi esportata. Un contesto delicato, reso ancora più fragile dall’architettura istituzionale definita negli accordi di pace di Dayton nel 1995, che ha cristallizzato la segregazione delle comunità etnica all’interno del paese. Si rileva inoltre la persistenza al potere per vent’anni delle stesse élite etnopolitiche – con alcune eccezioni, che però non cambiano la sostanza – che hanno portato il paese al conflitto: partiti su base etnica che si sono garantiti i numerosi vertici istituzionali della Bosnia-Erzegovina giocando sulla paura dell’altro, bloccandosi in veti reciproci e innescando meccanismi di accaparramento di risorse pubbliche con cui hanno in parte foraggiato gli elettori che li hanno mantenuti al potere. Del mancato processo di state-building del paese sono stati vittime soprattutto i bosgnacchi, che – al contrario dei croati e dei serbi locali – non hanno una realtà nazionale di riferimento a cui guardare. Ciò, unito alla costantemente stagnante situazione economica e all’alto tasso di disoccupazione, specie giovanile, ha favorito l’attrattività di modelli e stili di vita alternativi tra alcuni segmenti della società bosgnacca, dando vita a fenomeni di radicalizzazione salafita – violenta e non – spesso favoriti da influenze esterne, come quella dell’Arabia Saudita. L’estremismo islamista, pur se riguardante porzioni esigue della popolazione musulmana del paese, è figlia anche della fragilità istituzionale, del radicalismo etno-politico e della mancata definizione nazionale e statuale (nel senso liberale dei termini) della Bosnia-Erzegovina: un fenomeno che quindi ha in sé tutti gli elementi per tornare di nuovo alla ribalta.

Formato: 
Pdf
Lingua documento: 
Italiano