Se Londra ci ripensa
Drammaticamente distratti dai conflitti in corso e impotenti spettatori di una globalizzazione che scivola verso una «confusione globale» in cui le istituzioni internazionali sembrano non avere più voce, non ci siamo accorti di un segnale politico importante che potrebbe riaccendere qualche speranza, almeno fra quanti hanno a cuore il destino dell’Europa. Destino che non interessa - come ovvio - soltanto gli europei, perché un’Europa più unita, più integrata, in una parola più forte politicamente e militarmente, potrebbe ancora avere voce in capitolo nella «confusione globale» che, appunto, appare inarrestabile.
Questo segnale, per ora niente più che un segnale, è arrivato da Londra, ai primi di ottobre, quando il neo primo ministro britannico Keir Starmer, in visita a Bruxelles, ha fatto chiaramente intendere di volersi impegnare in iniziative che rafforzino i legami fra Londra e la Ue. Non si tratta ancora di iniziative a largo raggio che possano preludere a un’inversione di rotta rispetto alla Brexit, e nemmeno di un «pentimento» ma la volontà si è manifestata. Negli incontri con Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel, si è parlato soprattutto delle questioni che più stanno a cuore alla leadership d’oltremanica - immigrazione, cooperazione militare, convergenza diplomatica sul fronte ucraino - ma fra le righe di incontri all’insegna del massimo riserbo si è capito che un coraggioso «reset» delle relazioni non è più un tabù.
Sarebbe stato logico attendersi una chiusura, anche perché la ferita è ancora troppo aperta e si avverte in molti ambienti una sorta di malcelato compiacimento per le conseguenze catastrofiche che la Brexit ha avuto sull’economia e sulla società britannica. Invece, si avverte un vento diverso, spinto da tre fattori non di poco conto: la vittoria dei laburisti, le minacce alla sicurezza globale e, non ultimo, la profonda crisi che attraversa l’Europa e, soprattutto, le «colonne del tempio», Germania e Francia. La prima è in crisi di leadership, con un’economia stagnante, attraversata da fremiti di estrema destra e da ondate di populismo anti-europeo. La seconda paralizzata da una lunghissima e irrisolta crisi di governo (e forse di sistema), con un primo ministro (Michel Barnier, ironia della Storia, il negoziatore della Brexit) praticamente ostaggio del Rassemblement National di Marine Le Pen. In altre parole, il «reset» delle relazioni con Londra è un interesse strategico anche per la Ue.
«Di questi tempi pericolosi - ha detto il premier britannico - abbiamo bisogno di lavorare insieme per preservare stabilità e sicurezza». «Partner affini devono cooperare più strettamente», ha commentato la presidente della Commissione. Concetti che appunto meritano una lettura approfondita. Almeno sui temi della sicurezza e della difesa, si aprono quindi spazi che potrebbero riempirsi di contenuti. Londra vuole maggiore collaborazione anche sulle politiche migratorie. Inoltre, due potenze nucleari, Gran Bretagna e Francia, conterebbero più di una sola sullo scacchiere internazionale. Le politiche migratorie e le relazioni commerciali, dopo anni di scontri fra il precedente governo conservatore e l’Ue, non si risolvono facilmente. Ma questo è l’obiettivo dichiarato di Keir Starmer che ha addirittura parlato di «superamento degli ostacoli al commercio» e «sicurezza dei confini», dove in questo caso la parola confine va intesa in senso allargato. Starner ha parlato anche di sfide comuni, accennando anche ai cambiamenti climatici. In pratica una Brexit dinamica, che funzioni davvero anche in base agli accordi già stipulati a suo tempo in attuazione del divorzio.
Attualmente, Londra è in ritardo su alcuni aspetti fondamentali dei trattati, in particolare per i diritti di residenza e lavoro dei cittadini Ue che si sono trasferiti nel Regno Unito prima della Brexit. Sempre aperta inoltre la questione della frontiera terrestre fra Irlanda e Irlanda del Nord.
Londra vorrebbe implementare la questione dei rimpatri dei clandestini e in questo ambito si è aperta una finestra di collaborazione con l’Italia, nonostante la diversa collocazione politica dei due governi. A Roma Starner ha incontrato Giorgia Meloni e ha mostrato interesse per il «progetto Albania» peraltro oggetto di aspre politiche fra il governo italiano, la magistratura e le opposizioni e attualmente sotto osservazione a Bruxelles.
Come nota a margine, a futura memoria, anche se la Storia non si fa con i «se», sarebbe interessante chiedersi se il risultato del referendum sulla Brexit sarebbe stato diverso se la Ue avesse messo in campo una serie di stimoli legali per influenzare un atteggiamento più europeista, in particolare fra i ceti popolari britannici, soprattutto inglesi, che sono risultati decisivi. Qualche cosa, in altri termini, che assomigliasse a quanto si continua a fare per attrarre verso l’Europa Paesi e cittadini dell’Europa orientale e dei Balcani.