Nota dell'Ambasciatrice della Repubblica dell'Armenia in Italia, S.E. Tsovinar Hambardzumyan
Stepanakert, Shushi e Martakert e le altre città e i villaggi nel Nagorno-Karabakh (Artsakh) sono state oggetto dei più intensi bombardamenti da parte dell'Azerbaigian che hanno causato ingenti perdite tra la popolazione civile e la distruzione di infrastrutture vitali. Seppur nel corso di una pandemia, gli ospedali e altre infrastrutture, tra cui l'ospedale ostetrico e pediatrico, sono stati intenzionalmente presi di mira.
Sfortunatamente, questo atroce crimine è solo una parte delle tragiche realtà cui assistiamo in Artsakh da ormai più di un mese, da quando le forze armate azere hanno lanciato un attacco aereo, missilistico e terrestre su larga scala lungo l'intera linea di contatto con l'Artsakh. Contro la popolazione civile dell’Artsakh vengono usati missili con testate a grappolo e bombe al fosforo bianco. Sono in atto torture, esecuzioni di civili e decapitazioni di ostaggi, incitamento all'odio di massa nei confronti degli armeni. Ci sono vittime tra bambini, donne e anziani, distruzioni massicce di insediamenti civili.
Queste violazioni massicce del diritto internazionale umanitario da parte azera vengono effettuate con il diretto coinvolgimento della Turchia e di mercenari jihadisti provenienti dal Medio Oriente e hanno l'obiettivo di eliminare il popolo dell'Artsakh.
Nonostante gli appelli della comunità internazionale e gli sforzi di Francia, Russia e Stati Uniti, Co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, l'Azerbaigian rifiuta in maniera persistente di implementare gli accordi di tregua umanitaria e l'introduzione di meccanismi di verifica per garantire il mantenimento del cessate il fuoco nella zona di conflitto.
Le azioni sopra descritte si iscrivono perfettamente nella politica armenofoba alimentata per decenni dal Presidente azero Ilham Aliyev, palesata nella sua dichiarazione “Tutti gli armeni del mondo sono il nemico numero uno dell’Azerbaigian!”. Sotto il regime Aliyev, un'intera generazione è stata cresciuta con visioni razziste contro gli armeni: a cominciare dalla socializzazione negli asili, un’intera generazione di azeri è stata allevata in uno spirito di odio ed è stata incoraggiata e premiata per la violenza contro gli armeni. Questa pratica è stata denunciata dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l'Intolleranza del Consiglio d’Europa.
Per farsi un'idea di questa mentalità e di questo morboso sistema di valori nazionali ci sono numerosi casi a cui poter fare riferimento: per esempio, nel 2004 un ufficiale azero, durante un addestramento NATO a Budapest, ha decapitato un ufficiale armeno mentre questo dormiva, dopo di che l'assassino è stato nominato eroe nazionale in Azerbaigian. Nel 2016, durante la guerra dei quattro giorni, le truppe azere hanno mutilato e ucciso persone anziane nei villaggi di confine e decapitato alcuni soldati armeni, pubblicando le foto sui social media. È stato comprovato come uno di quegli ufficiali criminali di guerra sia stato successivamente premiato dal Presidente Aliyev.
La continua politica azera di pulizia etnica nei confronti degli armeni è stata anche palesata dalla distruzione e dagli attacchi contro il patrimonio cristiano culturale ed architettonico armeno sparso su tutto il territorio dell’Azerbaigian. Tra il 1998 e il 2003, in condizioni di relativa pace, quasi 10.000 croci medievali armene in pietra sono state abbattute ed eliminate nella regione di Nakhichevan in Azerbaigian e le chiese armene sono state completamente distrutte in tutto l'Azerbaigian. Questo non è stato altro che un genocidio culturale e un crimine di guerra come sancito dal diritto internazionale umanitario, poiché la distruzione dell'eredità culturale e architettonica di un popolo lo priva del suo passato e del suo luogo di appartenenza, distrugge la sua identità, la sua memoria, la sua storia. A seguito della pulizia etnica attualmente nel Nakhichevan non è rimasto neanche un armeno.
Niente è cambiato nel 2020, infatti l’8 ottobre le forze armate azere hanno lanciato due attacchi intenzionali contro la cattedrale del Santo Salvatore (Ghazanchetsots) nella città di Shushi, un simbolo culturale e religioso emblematico dell’Artsakh. L’essenza disumana della leadership dell’Azerbaigian è rivelata dal fatto che in quel momento, nel seminterrato della cattedrale, vi fossero bambini, donne e anziani alla ricerca di un riparo dagli attacchi diretti contro gli edifici residenziali di Shushi. Ciò ha provocato non solo gravi distruzioni ma anche numerosi feriti, tra cui anche giornalisti stranieri.
È importante ricordare che le radici di questo conflitto originano nei tempi sovietici, quando Josef Stalin decise di annettere il Nagorno-Karabakh come regione autonoma all'Azerbaigian sovietico, seguendo la logica politica del “divide et impera”. Il Nagorno-Karabakh è stata solo per 70 anni, durante il periodo sovietico, parte dell’Azerbaigian. Tra il 1988 e il 1990, prima del collasso dell'Unione Sovietica, l'Azerbaigian ha risposto alle proteste pacifiche e alle richieste di più ampi diritti degli armeni nel Nagorno-Karabakh con massacri e pogrom nelle città di Sumgait, Baku e Kirovabad. A ciò ha fatto seguito l'espulsione di tutti gli armeni che vivevano in Azerbaigian e una guerra a tutti gli effetti che è durata tre anni e che ha causato 30,000 vittime da ambo le parti. Gli armeni allora resistettero alla guerra imposta. Inoltre, l'Azerbaigian è diventato vittima della sua stessa aggressione, poiché le forze armene sono state costrette a creare una buffer zone intorno al Nagorno-Karabakh allo scopo di garantire la sicurezza di quest'area. Questi distretti erano stati utilizzati dall'Azerbaigian come avamposti dell'artiglieria pesante e per il blocco del Karabakh, attraverso cui era stato impedito qualsiasi rifornimento di beni essenziali, compresi cibo e medicine.
In questo contesto, è importante riflettere sulle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, principale argomento azero degli ultimi anni. Queste risoluzioni furono adottate nel 1993 durante la fase armata del conflitto con l'obiettivo immediato di raggiungere un cessate il fuoco tra gli armeni del Nagorno-Karabakh e l'Azerbaigian, e non potevano in alcun modo definire le basi per la soluzione politica del conflitto. Le risoluzioni chiedevano che l'Armenia usasse la sua influenza sulla leadership del Nagorno-Karabakh per attuarle.
Nel maggio 1994 l’Armenia, il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian hanno firmato un accordo di cessate il fuoco, soddisfacendo così la richiesta essenziale delle risoluzioni ONU. L’accordo del 1994 legalmente è tuttora in vigore e l’Azerbaigian l’ha violato il 27 settembre scorso. È importante notare che è stato l'Azerbaigian, proprio come adesso, a violare continuamente i requisiti primari di quelle risoluzioni, che chiedevano di fermare "gli attacchi ai civili e i bombardamenti delle aree abitate, nonché di rendere efficace il cessate il fuoco permanente" (Risoluzione 874) ed esortavano "tutti gli Stati della regione ad astenersi da qualsiasi atto ostile e da qualsiasi interferenza o intervento, che porterebbe all'ampliamento del conflitto e minerebbe la pace e la sicurezza nella regione" (Risoluzione 884).
Inoltre, adottando queste risoluzioni, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha negato l'importanza di altri principi di diritto internazionale, vale a dire quello del diritto all'autodeterminazione dei popoli. Le suddette risoluzioni hanno indicato che la mediazione internazionale è affidata ai Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell'OSCE, ovvero a Russia, Stati Uniti e Francia, i quali hanno posto le basi per i negoziati su tre principi fondamentali: divieto dell'uso della forza o minaccia dell'uso della forza, integrità territoriale e autodeterminazione dei popoli. Cosa ancora più importante, i suddetti principi devono essere considerati tutti insieme come un pacchetto e non separatamente. Eppure, questi principi sono stati gravemente violati o manipolati dall'Azerbaigian negli ultimi tre decenni.
Il conflitto del Nagorno-Karabakh non è una lotta per i territori, né uno scontro religioso o culturale – ma riguarda il diritto del popolo dell'Artsakh di determinare liberamente il proprio destino. Il popolo dell'Artsakh non vuole nulla che non gli appartenga. La sua lotta è per il diritto umano più basilare – ossia il diritto a vivere liberi dall'insicurezza e dall'oppressione. Qualcosa che tutti i popoli hanno rivendicato ad un certo punto della loro storia - come nel Timor Est e nel Kosovo, tra gli altri. Il popolo dell'Artsakh si è guadagnato lo stesso diritto, e non vi è alcuna quota su libertà e democrazia.
Per quasi trent'anni l'Artsakh ha dimostrato di godere di tutti gli attributi della piena sovranità: capacità di tenere elezioni democratiche, di governare la propria popolazione, di proteggere i propri confini e di condurre relazioni internazionali. E il suo diritto all'autodeterminazione è ulteriormente rafforzato dai seguenti elementi legali:
• Componente dell’autodeterminazione: nel 1991, subito dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica, il Nagorno-Karabakh ha ottenuto la propria indipendenza esattamente come ha fatto l'Azerbaigian, nel pieno rispetto della legislazione dell'Unione Sovietica, in particolare secondo l’articolo 3 della “Legge sui problemi concernenti la secessione di una repubblica dell'Unione dall’URSS”. Così, sul territorio dell'ex Repubblica Socialista Sovietica Azera sono state create due formazioni statali uguali: la Repubblica del Nagorno-Karabakh e la Repubblica dell'Azerbaigian.
• Componente territoriale: il popolo dell'Artsakh ha rivendicato il diritto all'autodeterminazione sulle proprie terre storiche che non sono mai state sotto la giurisdizione dell'Azerbaigian indipendente.
• Componente dei diritti umani: l'Azerbaigian, perpetrando violenza, odio e pulizia etnica nei confronti degli armeni dell'Artsakh che sta realizzando anche in questo momento, non ha nessun diritto morale di governarli.
• Componente democratica: il popolo della Repubblica dell'Artsakh ha scelto la via della democrazia e nessuno può costringere questo popolo a vivere sotto il dominio di una dittatura corrotta come quella dell'Azerbaigian.
Riferimenti a qualsiasi tipo di autonomia all’interno dell’Azerbaigian sono assolutamente inaccettabili per il popolo di Artsakh, poiché quell’autonomia porterebbe un esito tragico per gli abitanti di Artsakh. È proprio contro quell’autonomia all'interno dell’Azerbaigian che si è ribellato il popolo di Artsakh nel 1988. E ora l'Azerbaigian ha coinvolto la Turchia di Erdogan con il suo evidente obiettivo di portare avanti l'eredità ottomana del genocidio degli armeni, e ha importato nella regione migliaia di mercenari jihadisti dal Medio Oriente per combattere contro gli armeni. L’obiettivo dell’Azerbaigian è chiaro: cancellare tutte le tracce armene dall'Artsakh, e prendersi la terra senza i suoi abitanti armeni.
Il popolo dell’Artsakh oggi combatte per le proprie case, per le proprie famiglie, per la propria sicurezza, per la propria sopravvivenza e per il proprio futuro. Questo fa sì che queste persone, appena 150.000, scelgano di combattere la loro guerra esistenziale contro il triumvirato multimilionario turco-azero-terrorista e di morire piuttosto che vivere sotto la giurisdizione dell'Azerbaigian.
In questi tempi estremamente difficili, è essenziale che Parlamenti, organi amministrativi ed esecutivi insistano affinché la moralità sia al contempo la base e il traguardo delle politiche estere. È un imperativo morale dimostrare e affermare chiaramente che le persone valgono più del petrolio e del gas. In effetti, l'Europa ha bisogno delle risorse energetiche dell'Azerbaigian tanto quanto l'Azerbaigian ha bisogno dell'Europa per venderle.
Il popolo dell'Artsakh è ora sull'orlo di una catastrofe umanitaria e c'è un disperato bisogno che la comunità internazionale non sia indifferente e riconosca l’indipendenza dell'Artsakh per salvare il suo popolo dell'annientamento.