Trump, l’Europa, la guerra
Dato che non è ancora immaginabile - in base alla storia di decenni - una politica estera europea fedele ai valori delle democrazie occidentali ma al tempo stesso autonoma dalle decisioni di Washington, sarà bene cominciare a preparare gli scenari futuri nel caso, assai probabile, che il prossimo inquilino della Casa Bianca sia per la seconda volta Donald Trump. Salvo ovviamente colpi di scena o di fucile mitragliatore, come si è visto in questo drammatico inizio luglio. Immaginare scenari significa anche considerare che la storia non si ripete allo stesso modo e che il «presidente» Trump, dopo l’attentato subito e alla luce della precedente esperienza, possa avere atteggiamenti e obiettivi diversi, magari più moderati e più empatici con le capitali europee, tenendo anche conto della situazione internazionale che è molto cambiata rispetto a quella che trovò sul tavolo della sala ovale nel 2016.
Allora Trump scosse gli europei dal loro ripiegamento. Di fronte al rischio di disimpegno americano i governi cominciarono seriamente a pensare alla costruzione di una difesa e di una politica estera continentale, ma gli atti concreti non sono stati numerosi in questa direzione e gli aumenti di budget, salvo Germania e Polonia, abbastanza modesti. L'Europa e il suo vicinato sono ancora più in fiamme oggi che nel 2016. A sud-est, la guerra tra Israele e Hamas è sull'orlo di un conflitto più ampio. Nel Sahel, le potenze europee sono state estromesse mentre la Russia rafforza la sua presenza. Inoltre, le democrazie europee appaiono più fragili, divise al proprio interno e aggredite da nazionalismi di destra che dopo l’esperienza negativa di Brexit boicottano la Ue dall’interno. Una deriva da brividi, tenendo conto che alcune componenti hanno simpatie e forse legami neppure troppo nascosti con il Cremlino.
Come ha detto il senatore americano J.D. Vance, prossimo vice presidente, "è giunto il momento che l'Europa stia in piedi da sola". "La nostra Europa di oggi è mortale. Può morire", ha ammonito il presidente francese Emmanuel Macron a fine aprile. In un mondo America First, sarà questo il destino?
«Trump - come ha scritto Foreign Policy - ha lamentato gli oneri che Washington sopporta nella NATO; ha minacciato di lasciare che i russi facciano "quello che diavolo vogliono" agli alleati europei. Detesta l’UE, che vede come un concorrente economico spietato. E da populista illiberale, è indifferente - se non addirittura ostile - alle sorti della democrazia liberale».
Se questi atteggiamenti si calassero nella realtà dei prossimi anni, dovremmo cominciare a chiederci ad esempio che ne sarà dell’Ucraina. Saremmo in grado di sostenerla da soli oppure, in caso si giungesse ad un accordo, di sostenere il maggior onere della ricostruzione dopo avere pagato quello energetico? Alcuni Paesi, come ad esempio la Polonia si stanno si preparando per il futuro post-americano. È giunto il momento di costruire un continente "più unito, più sovrano, più democratico", ha dichiarato il presidente francese Macron, senza tuttavia rassicurare i partner sulle ambizioni egemoniche della Francia in materia di difesa. D’altra parte, la Germania, per ragioni storiche, non potrebbe a sua volta esercitare una leadership in questa materia.
In questo quadro varrebbe la pena di riconsiderare per tempo il senso del viaggio a Mosca del leader ungherese Orban, subito liquidato dalla Commissione come fuori dagli schemi e non concordato. Che l’iniziativa sia stata un’ennesima provocazione del più nazionalista fra i partner è probabile. Ciò non toglie che allo stato attuale delle cose, Mosca possa dialogare soltanto con governi amici o complici. Occorre inoltre ricordare che negli stessi giorni Orban ha visto il presidente ucraino Zelensky, il presidente cinese XI Jinping e il «presidente» Trump. Forse non esiste un piano di pace, ma è importante che qualcuno s’incarichi di parlarne, anziché limitarsi a reiterare la narrazione del sostegno incondizionato all’Ucraina fino a una vittoria che non potrà mai arrivare.
Lo scenario peggiore sarebbe quello di un’Europa debole e divisa che non riuscirebbe a generare la potenza militare necessaria per l'Ucraina e a proteggere i propri Stati orientali in prima linea. Di fatto, questa Europa potrebbe trovarsi stretta tra una Russia aggressiva, una Cina predatrice e, sotto Trump, gli Stati Uniti ostili o almeno distanti. Questo è ciò che alcuni importanti osservatori si aspettavano all'inizio degli anni Novanta. Un quadro complicato dalle guerre nei Balcani e dall’instabilità nell'Europa orientale dopo il crollo del blocco sovietico. Quel futuro è stato scongiurato perché gli Stati Uniti hanno allargato la loro influenza dopo la fine della Guerra Fredda - intervenendo in Bosnia e in Kosovo per sedare i conflitti etnici e inglobando nella Nato i Paesi dell’Est. Passi, questi ultimi, condotti anche in modo spregiudicato, che hanno di fatto portato la Russia ad arroccarsi e a avviare una politica di aggressione nei confronti dei vicini, fino alla guerra in Ucraina e a quella, sfiorata, in Georgia. Alcuni leader, fra i quali ricordiamo Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, misero in guardia gli alleati americani sui rischi dell’espansione a est, ma rimasero inascoltati.