Il Piano Mattei: opportunità, ambizioni e priorità

Luca Jahier
già Presidente CESE

La recente iniziativa del Piano Mattei si inserisce in una lunga storia di up and down nelle relazioni con l’Africa, sia del nostro paese che dell’Europa. Come non ricordare lo slancio degli anni ’80 a seguito degli stanziamenti straordinari del Fondo Aiuti Italiani, prioritariamente nel Sahel; o il rilancio della cooperazione con l’Africa, dopo la grave crisi del debito pubblico di inizio anni ’90 e l’azzeramento degli aiuti pubblici allo sviluppo, con investimenti nel Sahel, nel Corno d’Africa e australe (Mozambico soprattutto a seguito della firma degli accordi di  pace del 1992) E poi ancora il ‘Processo di Barcellona’, fortissimamente voluto da Susanna Agnelli, poi evoluto nell’Unione per il Mediterraneo, le cui enormi potenzialità sono ancora inespresse. Un processo multilaterale, inteso ad associare l’UE in una grande politica regionale (riprendendo in questo la logica degli Accordi di Lomè con i paesi ACP) e soprattutto a superare l’approccio assistenzialistico del passato, con l’obiettivo di una cooperazione orizzontale e paritaria tra i paesi coinvolti.

Come non ricordare che veniamo anche da una sconfortante storia di relativo “abbandono” dell’Africa da parte UE, soprattutto intorno alla non edificante vicenda dei vaccini per il COVID, dell’impatto della guerra sui prezzi dell’energia e delle derrate alimentari sull’intero continente, con ulteriori dinamiche inflattive, di esplosione del debito estero e impoverimento. I Governi africani vedono così confermato il loro pregiudizio che “quando il gioco si fa duro, i nostri partner europei, che tanto vorremmo nonostante il difficile passato e tanti aspetti ancora neocoloniali delle nostre relazioni, ci voltano le spalle e pensano prima di tutto a sé stessi”…  Del resto è stato così almeno altre due volte nel primo ventennio di questo secolo: i costi politici ed economici della realizzazione dell’eurozona prima e dell’allargamento poi hanno coinciso con un declassamento della priorità Africa e Mediterraneo nelle agende europee, malgrado i flussi di finanziamento non siano complessivamente diminuiti, salvo il caso di alcuni paesi europei.  E così è stato anche dopo la grave crisi finanziaria ed economica del 2008-2013.

Nelle capitali africane hanno una memoria da elefante e quindi aprono le porte ad altri attori che assumono ruoli di rilievo e in crescendo, dai vecchi noti (Cina e Russia e in parte USA) ai nuovi rampanti (Turchia, Qatar, Emirati arabi, Arabia saudita, India, Brasile, Corea del Sud). Si moltiplicano summit di alto livello e investimenti in settori strategici per loro (risorse energetiche e materie prime soprattutto, ma anche beni agricoli), così come in cultura e formazione delle giovani generazioni (Cina e soprattutto i paesi del Golfo).

Il Piano Mattei vuole positivamente definire un proprio metodo di partenariato e i primi passi vanno in questa direzione, ma d’altro canto fa i conti con risorse molto limitate e con un quadro complessivo ancora da chiarire. Tre nodi mi sembrano rilevanti, sia per l’talia che per l’Europa intera. In primis la linea della continuità sul medio lungo termine, in termini di politica, di progetti strategici e di risorse: l’up and down non paga, soprattutto a fronte dei problemi e delle potenzialità del continente e gli altri attori procedono ben diversamente. Il secondo è una connessione operativamente strutturata con i grandi piani dell’Unione Europea e Unione africana, definendo una propria collocazione specifica e, perché no, assumendo la leadership di alcune azioni. Il terzo è superare la tentazione di limitarsi alla relazione con i singoli governi o il solo finanziamento di opere, seppur pregevoli, per sviluppare una relazione strutturata e stabile con attori economici, sociali e delle società civili europee e africane, che va ben oltre l’associare gli interessi e i finanziamenti del settore privato.

Bisogna poi uscire da due gravi trappole. L’una è l’eterna maledizione delle materie prime, che da sempre sfrutta e impoverisce il continente e lo trascina in eterne e devastanti guerre (vedasi la dimenticata guerra civile in Sudan, forse la peggiore oggi nel continente). È proprio intorno al loro sfruttamento che bisogna costruire una nuova logica di condivisione e partenariato, sostenendo la volontà dei governi e Istituzioni africane di crescere nel loro controllo, lavorazione e trasformazione, diventando anch’essi protagonisti delle rivoluzioni industriali in corso e del loro dividendo. L’altra è la maledizione degli “accattoni” che non è solo quella dele narrazioni che guardano il grave volto delle povertà pur da non dimenticare, ma anche la priorità immigrazione, che viene imposta come vincolante. Resta l’amaro in bocca a tanti dirigenti africani, che ben conoscono le cifre incomparabili dei profughi e delle migrazioni interne al continente, per i quali non vi è certo l’attenzione spasmodica che vi è per i flussi minimi verso l’Europa. Senza dimenticare quanto questi approcci finiscano per incentivare non solo il “cimitero” Mediterraneo, ma anche quello di altre rotte, siano esse il deserto del Sahel o del Sinai.

Infine e solo in modo molto sommario, indico 4 ambiti strategici sui quali converrebbe riflettere ed assumere una postura di strategie di lavoro a lungo termine.

La Green Belt e l’accesso all’acqua. La Grande Muraglia Verde è una pionieristica iniziativa condotta nell'ambito della lotta agli effetti indotti dal cambiamento climatico e dalla desertificazione, lanciata dall’Unione Africana nel 2006, con investimenti che al 2021 hanno superato i 14 miliardi dollari e che dal Nord Africa al Golfo di Guinea coinvolge oltre 20 paesi. Ancora lontana dal proprio obiettivo fissato al 2030, essa mira alla creazione di un vasto sistema di paesaggi produttivi verdi che diano una prospettiva a milioni di persone. Ad essa è connessa una specifica priorità acqua, bene sempre più scarso e che può generare nuove guerre o migrazioni di portata colossale.

Il Global Gateway, nuova strategia globale di investimenti dell’Unione europea nel campo delle infrastruttura e delle reti, in risposta alla Via della seta cinese e alla loro presa sul sistema delle infrastrutture di trasporto, con i suoi cinque assi di intervento (digitale, clima ed energia, trasporti, salute, educazione e ricerca), che punta a mobilitare tra il 2021 e il 2027 300 miliardi di nuovi investimenti, ha un focus rilevante sull’Africa, in connessione con il nuovo Partenariato strategico UE-Africa del 2022, con investimenti pubblici e privati di almeno 150 miliardi. Perché essa si realizzi sarebbe più che opportuno che ogni paese europeo e soprattutto i maggiori assumano la leadership su specifiche aree ed in questo diano sostanza ad alleanze di scopo.

Il partenariato con il Mediterraneo langue da molto tempo, molte iniziative di rilievo sono spesso rimaste sulla carta. Converrebbe guardare alla creazione di un hub mediterraneo di produzione di energie rinnovabili (solare e idrogeno) quale veicolo di stabilizzazione e progresso congiunto, a servizio dei due continenti. Riprendendo la feconda intuizione politica della CECA e il suo metodo, converrebbe assumere con forza i progetti già individuati dall’Unione per il Mediterraneo, nel quadro della loro strategia su Energia e clima, a seguito del primo ed impressionante Rapporto sul cambiamento climatico e ambientale nel Mediterraneo da questi realizzato pochi anni or sono.

L’ AfCFTA – African Continental Free Trade Area, stabilito per iniziativa dell’Unione Africana nel 2018, con 44 paesi che hanno già ratificato e altri 11 partner istituzionali, è stato definitivamente avviato il 1° gennaio 2021 con la creazione del segretariato basato ad Accra, diventando così il piano politico ed economico più significativo in corso di realizzazione della Agenda 2063 dell’UA. Non è improprio fare un parallelo tra questo piano e quanto accaduto in Europa con l’adozione prima dell’Unione doganale e poi del Mercato interno, il maggiore e più dinamico driver di crescita e sviluppo del nostro continente. Non ragionare in tema di sinergie e supporto a un tale piano africano, che può davvero cambiare il volto del continente e favorire il suo sviluppo autonomo, potrebbe essere quantomai miope, considerando anche l’ampio know-how europeo in questo campo. Certo questo non interessa alle altre potenze rampanti.

Non sono che pennellate, per significare che l’intuizione del Piano Mattei si potrà sviluppare, nel quadro delle strategie europee e assieme alle istituzioni africane, se saprà davvero farsi strutturale e di lungo periodo, facendo propria quella prospettiva, già enunciata tempo fa da ben due Premi Aquisgrana per l’Europa, Carlo Azeglio Ciampi e Andrea Riccardi, di una grande alleanza strategica Africa-Europa per uno sviluppo reciproco sostenibile, capace di proiettarsi nel nuovo secolo quale attore globale di relazioni internazionali diverse.