Frattura e ricomposizione. Cittadinanza plurale latinoamericana ed Empowerment femminile

Benedetta Calandra
Docente Storia dei paesi dell'America Latina, Università di Bergamo

Dal 27 al 31 gennaio del 2020, a Santiago del Cile, si è svolta la quattordicesima Conferenza Regionale sulla Donna dell’America Latina e dei Caraibi (Conferenza Regional sobre la Mujer de América Latina y el Caribe) – organo sussidiario della Commissione Economica per l’America Latina e Caraibi (CEPAL). Convocato con regolare cadenza triennale da oltre quarant’anni, l’incontro risponde al mandato di monitorare costantemente, a livello dei singoli casi nazione ma anche sullo scenario latinoamericana nel suo complesso, la formulazione e l’applicazione di specifiche politiche pubbliche in termini di uguaglianza di genere e di diritti delle donne.

Correva l’anno 1977 quando per la prima volta la Conferenza veniva indetta a l’Avana, in parte come prodotto degli stimoli ricevuti sul piano delle istituzioni internazionali durante la Conferenza Mondiale dell’anno Internazionale della Donna (Città del Messico, 1975). In quella congiuntura, parafrasando la sociologa Elizabeth Jelin (Women, Gender and human rights, in Jelin, Hershberg [ed.] Constructing democracy. Human rights, citizenship and society in Latin America, San Francisco, Westview Press, 1996), percorsi paralleli, e solo talvolta comunicanti, vedevano un rinnovato attivismo da parte delle women for women’s rights, da un lato, e delle women for human rights, dall’altro. Il movimento internazionale femminista acquisiva una visibilità senza precedenti, favorendo numerose occasioni di incontro tra attiviste del Nord e del Sud del mondo; negli stessi anni, piccoli gruppi di donne sconosciute (casalinghe, madri, figlie e nonne di desaparecidos) iniziavano, in particolare nel Centroamerica e nel Cono Sud latinoamericano, ad acquisire, senza particolare consapevolezza, identità di soggetto politico attivo perché inviso ai regimi militari autoritari. 

Come ci ricorda Daniele Pompejano (L’America Latina contemporanea. Tra democrazia e mercato, Roma, Carocci, 2006), la forte compressione esercitata dall’alto dei regimi burocratico-autoritari (Guillermo O’Donnell, Modernization and Bureaucratic Authoritarianism, Berkeley, University of California, 1973) ha comportato, come reazione di medio periodo, un’espansione orizzontale di forme di aggregazione sociale. La cittadinanza latinoamericana, compressa e schiacciata durante la cosiddetta década perdida degli anni Ottanta del Novecento, negli ultimi due decenni ha spiccato un balzo in alto, decomprimendosi e anzi manifestando una vera e propria esplosione di istanze, richieste e protagonismo di soggetti precedentemente marginali sulla scena politica.

Questo breve contributo intende proporre alcune sintetiche riflessioni proprio su tale percorso di ricostruzione di una cittadinanza fortemente penalizzata nell’esercizio dei propri diritti che manifesta al momento attuale una rinnovata vitalità – e anzi fa sentire in modo anche violento la propria voce, quando del tutto inascoltata, articolandosi in una pluralità di soggetti sociali. Movimenti femministi, ecologisti, indigenisti, associazioni di quartiere, sono solo alcune delle vie  della nuova cittadinanza latinoamericana, sempre più plurale e attualmente legata a nuove linee ideali di alleanze e appartenenze comuni fondate sull’etnia, il genere, la difesa dell’ambiente. Nella “disputa per la ricostruzione democratica” regionale (Evelina Dagnino [et al.], La disputa por la construcción democrática en América Latina, México D.F., Ciesas/Universidad Veracruzana, 2006), il panorama latinoamericano rappresenta un originale laboratorio di nuove soluzioni politiche che vede la rinascita, su equilibri tutt’altro che stabili, di un nuovo contratto sociale tra Stato e società civile.

Come ben evidenziato anche dalla produzione politologica e sociologica recente, la mobilitazione in America Latina transita per nuove soggettività e nuovi attori che in molti casi si esprimono al di là delle forme partitiche. Fin dalla fase della post transizione - lo sottolinea opportunamente anche Tiziana Bertaccini in questo forum - molti dei partiti protagonisti del XX secolo si sono trovati fortemente ridimensionati nel consenso, quando non messi letteralmente in crisi. Si tratta di una dinamica per molti aspetti prevedibile, anche considerando che, come lucidamente inquadrato da Davide Grassi (La democrazia in America Latina. Problemi e prospettive del consolidamento democratico, Milano, Franco Angeli, 1999), il ritorno alle urne, primo indicatore delle transizioni dalla metà degli Ottanta del Novecento, rappresenta una condizione necessaria ma di certo non sufficiente per la riacquisizione di un percorso democratico completo da parte della collettività.

È dunque evidente, come ipotizza il contributo di apertura, America Latina in fermento, il peso dettato dalla fragilità delle istituzioni politico-partitiche come veicolo di rappresentanza di queste “democrazie in affanno”. Nell’ultimo decennio, in particolare, sottolinea il politologo argentino Isidoro Cheresky (Las urnas y la desconfianza ciudadana en la democracia argentina, Universidad de Buenos Aires-Instituto de Investigaciones Gino Germani, 2009), si assiste un diffuso sentimento di sfiducia collettiva nonostante il diritto al voto - particolarmente evidente nel suo paese anche a causa delle ripetute svolte autoritarie che si sono susseguite nel XX secolo. Tutta la regione latinoamericana partecipa del resto a un processo globale di trasformazione strutturale della sfera pubblica (Jürgen Habermas, The Structural Transformation of the Public Sphere, Cambridge, 1989) che vede una profonda ridefinizione dei rapporti tra cittadinanza, rappresentanza e legittimazione del nuovo sistema politico (Pierre Rosanvallon, La légitimité démocratique. Impartialité, réflexivité, proximité, Paris, Points Essais, Seuil, 2008). La legittimazione, pertanto, tende ad essere letta come un processo continuo e tutt’altro che lineare, che prescinde di fatto dall’appuntamento elettorale (Isidoro Cheresky (ed.], Ciudadanía y legitimidad democrática en América Latina, Buenos Aires, CLACSO-Prometeo, 2011). Nell’ambito di questa crisi generalizzata dei soggetti politici tradizionali, messi a dura prova nell’arena pubblica, sono emerse nuove possibilità di espressione della cittadinanza (Alberto Olvera, Democratización, Rendición de Cuentas y Sociedad Civil: Participación Ciudadana y Control Social, México, Miguel Ángel Porrúa/CIESAS/Universidad Veracruzana, 2006).

Ipotizzando dunque una prima e parziale risposta alle domande poste in America Latina in fermento, è possibile dire che le angolazioni da cui guardare i percorsi della ricostruzione democratica si sono articolate, differenziate, ed enormemente arricchite, divenendo molteplici e sfaccettate come in un prisma. Ne scegliamo una, quella della cittadinanza al femminile.

Empoderamiento de las Mujeres.

Il Documento di Santiago espone i contenuti essenziali delle politiche di genere auspicate dalla quattordicesima Conferenza Regionale sulla Donna dell’America Latina e dei Caraibi svoltasi, come si è detto, all’alba del 2020. I punti salienti, di cui si espone una specifica selezione, sembrano rappresentare in potenza diverse espressioni di questa nuova cittadinanza latinoamericana, enormemente plurale e dinamica.

Al netto delle considerazioni di carattere macroeconomico, già ampiamente analizzate in questo forum, ed esplicitate nel documento La autonomía de las mujeres en escenarios económicos cambiantes, emerge chiaramente dalla Conferenza, come seconda priorità, l’adesione ai contenuti e alle relative indicazioni prescrittive della Strategia di Montevideo per un’Agenda regionale di Genere nel quadro dello Sviluppo Sostenibile verso il 2030.

Tale scelta rappresenta un’ulteriore conferma di come, specialmente negli ultimi decenni, istanze di genere e istanze ambientali vadano ripetutamente intrecciando i loro percorsi. Anche in questo senso l’America Latina s’inserisce in una tendenza globale, condivisa da molte delle moderne democrazie occidentali, che vede la formazione di una cittadinanza vigile, “al centro della scena” (Isidoro Cheresky, La ciudadanía en el centro de la escena, Buenos Aires, Miño y Dávila, 2006), rappresentata da uno spettro di associazioni molto variegato dove i gruppi ambientalisti, femministi e dei consumatori critici emergono per capacità comunicativa e visibilità. La politica istituzionale corre parallela a queste spinte dal basso. Non a caso, quantomeno a livello programmatico e prescrittivo, nell’ambito degli strumenti del dialogo politico e sociale tra i nostri paesi e la regione latinoamericana acquisiscono peso crescente i temi del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile; è questo infatti uno dei temi previsti dal progetto di accordo economico-commerciale fra Unione Europea e Mercosur.

Negli ultimi anni hanno avuto luogo manifestazioni pubbliche di gruppi di attiviste all’insegna del pregnante slogan Nuestros cuerpos, nuestros territorios. È questo il caso, tra i vari esempi possibili, di un sit-in tenutosi nell’ottobre del 2017 nella Patagonia argentina, nella località andina di El Bolsón. Gruppi di donne rivendicavano la scomparsa di Santiago Maldonado, attivista argentino tragicamente desaparecido (poi ritrovato cadavere) durante uno sgombero forzato di esponenti della comunità Mapuche nei territori di proprietà della famiglia Benetton (Patagonia argentina, una sfida comune per donne e mapuche, Veronica Gago, 4 ottobre 2017, “Il Manifesto”). Particolarmente carica di significato si è rivelata dunque questa manifestazione di pubblico dissenso, che condensava nel suo slogan un richiamo potente al rispetto dei diritti umani, ambientali e delle comunità indigene, denunciando al contempo diseguaglianze di genere nella percezione e nel rispetto dei corpi.

Hanno avuto luogo svariate manifestazioni di tale natura, riprova visibile di queste alleanze trasversali che mostrano la particolare vivacità della nuova cittadinanza latinoamericana, come conferma anche l’articolazione teorica raggiunta nella regione del cosiddetto ecofemminismo (termine introdotto a livello internazionale già dal 1974 con Françoise d'Eaubonne -Le féminisme ou la mort). Sempre meno sporadica si fa infatti la produzione scientifica del’ecofemminismo latinoamericano, inteso come specifica fusione di istanze di protesta tra sfruttamento ambientale e sfruttamento dei soggetti femminili, all’insegna di una condivisa matrice di rapporti asimmetrici di potere dettati da società fondamentalmente antropocentriche e patriarcali. A titolo di esempio, ad articolare ancor più il quadro, si pensi alla riflessione scaturita dal collettivo della rivista Con-spirando di Santiago del Cile, attiva dai primi anni Novanta del Novecento; in essa i discorsi femminista ed ecologista sono fortemente segnati da un preciso richiamo alla spiritualità (Mary Judith  Ress, Remembering Who We Are: Reflections on Latin American Ecofeminist Theology. “Feminist Theology”, 16(3), 383–396., 2008). Significativa, in tal senso, è la principale matrice teorica di Con-spirando, dettata dal pensiero della teologia ecofemminista promossa dalla monaca agostiniana, teologa e attivista brasiliana Ivone Gebara (E. Aguila, “Con-spirando juntas”: hacia una red latinoamericana de ecofeminismo, espiritualidad y teologia, in “Con-spirando: Revista latinoamericana de ecofeminismo, espiritualidad y teología”, 1, 1992).

Il terzo punto cardine del Documento di Santiago richiama le indicazioni formulate nella Piattaforma d’Azione di Pechino nei paesi dell’America Latina e dei Caraibi, a venticinque anni dalla sua approvazione. All’insegna della formula Empoderamiento de las Mujeres gli aspetti di maggiore interesse - indicatori più che eloquenti dei problemi cogenti che campeggiano nell’attuale scenario latinoamericano sono:

a) l’avanzamento di leggi e normative ad hoc relative a femmicidio o femminicidio,

b) l’aumento significativo, ma giudicato ancora insufficiente, della partecipazione femminile nel quadro della democrazia paritaria stabilito dalla Strategia di Montevideo.

Per un paradosso forse solo apparente, come noto dai primi anni Duemila l’America Latina ha mostrato al mondo intero un panorama di eccezionale, inedito protagonismo femminile nell’ambito della politica istituzionale; al contempo, tuttavia, cifre agghiaccianti fornite dai media raccontano di efferati episodi di violenza perpetrati sulle donne, che non di rado arrivano all’eliminazione fisica delle stesse. In altro contesto sarebbe opportuno cercare di tracciare ipotesi, per quanto sommarie, sui possibili nessi tra i due fenomeni; più che auspicabile in tal senso sarebbe magari un’analisi che attinga agli strumenti della sociologia o dell’antropologia sociale, contribuendo a gettar luce in un coacervo di problematiche di grande opacità e certo non di immediata soluzione.

Tuttavia, per quanto congiunturale e relativo al decennio appena trascorso, si ricordi che “[…] tra il 1991 (Argentina) e il 1998 (Venezuela), dieci paesi dell’America Latina hanno approvato le quote rosa. Questa tendenza regionale non ha precedenti nella storia mondiale. Nel 2009 occupano il 21% dei seggi dei parlamenti latinoamericani su una media mondiale del 18%. Si sono imposte, nella maggior parte dei casi, grazie al loro radicamento nella società e non per designazioni avvenute dalle segreterie dei partiti” (Maria Rosaria Stabili, Il protagonismo delle donne nell’America Latina del Novecento, in Nuove frontiere per la storia di genere eds. L. Guidi, Maria Rosaria Pellizzari, Salerno, Università di Salerno, 2013, p. 355). Michelle Bachelet in Cile, Dilma Roussef in Brasile, Cristina Fernández in Argentina, Violeta Barrios de Chamorro in Nicaragua, Laura Chinchilla in Costarica -  solo per citare i casi più noti ma che ovviamente non riassumono la totalità dell’esito delle quote rosa nel panorama latinoamericano - hanno dimostrato, in una precedente congiuntura, come l’accesso alla politica ‘alta’ sia stata una barriera invisibile quantomeno ampiamente sfidata. Si è costituita una breccia, seppur limitata nella sua durata temporale, nel glass ceiling.

Ben più lunghi saranno invece i tempi per intaccare le radici profonde delle diseguaglianze nella valorizzazione del ruolo e delle capacità di gestione delle risorse da parte delle donne (come richiamato anche, in questo dossier, dal contributo di Gianni La Bella), obiettivo dichiarato parte integrante del tanto auspicato sviluppo sostenibile. Non a caso, il Documento di Santiago richiama, come ultimo punto, l’inserimento nell’agenda pubblica del tema della cura e del lavoro non remunerato come parte integrale del sistema di protezione sociale – riprova evidente, anche in questo caso, di come l’intera regione latinoamericana partecipi attivamente a un dibattito di natura globale.

17 Gennaio 2020
di
CeSPI (articolo introduttivo)