Contesto, motivazioni, obiettivi strategici e condizioni per il Piano Mattei
Che i governi succedutisi negli ultimi anni, incluso l'attuale, abbiano dichiarato un crescente interesse verso il continente africano è senz'altro una notizia positiva. Tuttavia, questo interesse non si è sempre tradotto in azioni concrete che rispecchiassero le ambizioni dichiarate.
Negli ultimi anni, l’Africa è stata al centro di visite istituzionali da parte di Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio e Ministri degli Esteri con una frequenza mai registrata in passato. Eppure, prendendo come riferimento un indicatore specifico che non esaurisce la totalità dei rapporti, gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo e i fondi effettivamente utilizzati, al netto dell’inflazione, sono stati e rimangono meno della metà rispetto agli anni ottanta.
L'interscambio e gli investimenti diretti continuano inoltre ad essere dominati dalle importazioni nel settore energetico, così come in buona parte le esportazioni (prodotti raffinati e attrezzature per l'estrazione, il trattamento e il trasporto di idrocarburi). Quanto annunciato dall'attuale Governo con il Piano Mattei si inserisce quindi in un quadro di continuità, seppure con una nuova enfasi comunicativa, che se vuole produrre un effettivo salto di qualità dovrà essere dotato di risorse, capacità progettuali e sinergie internazionali anche per l'incentivazione dei necessari interventi dei settori produttivi privati e pubblici e del terzo settore.
L'Italia si era mossa fin dall'immediato dopoguerra in favore del processo di decolonizzazione e aveva stabilito rilevanti rapporti con i paesi di nuova indipendenza, spinta anche dalle sue esigenze di approvvigionamento energetico nell'ambito di un disegno strategico promosso, come per il Medio Oriente, soprattutto da Enrico Mattei e sostenuto dai Governi che da allora si sono succeduti.
La novità introdotta dall'attuale Governo è che la motivazione principale fin dall'inizio annunciata del Piano Mattei è l'arresto o quanto meno il freno della pressione migratoria, che in mancanza di effettivi canali di immigrazione legale si manifesta con arrivi irregolari, estrema pericolosità dei viaggi gestiti da organizzazioni criminali, tragici naufragi e difficoltà di gestione del fenomeno, anche in tema di sicurezza, nel paese di arrivo. Seguendo questa logica occorrerebbe quindi che i flussi finanziari pubblici e privati abbiano un concreto effetto sulle migrazioni, tenendo anche presente che a questa motivazione è stata aggiunta quella di favorire flussi di immigrazione legale di cui ha bisogno il sistema produttivo e di welfare italiano. In quanto reso noto del Piano Mattei significativo è infatti l'aspetto relativo alla formazione di quadri per lo sviluppo locale ed anche per nostre necessità di risorse umane variamente qualificate. Affinché tali flussi legali siano effettivi occorrerà tuttavia una revisione di norme sui requisiti per l'ingresso in Italia, sull'accoglienza e sull'integrazione. Senza questa revisione persisterebbero i fattori di illegalità, marginalizzazione e insicurezza che si vogliono contrastare.
Occorre essere anche consapevoli che senza canali legali di immigrazione non vi potranno essere o non funzioneranno i perseguiti accordi per il rientro degli immigrati non regolari e per l’arresto delle loro partenze, considerato il rilievo delle rimesse dei migranti per le economie dei paesi e delle comunità di provenienza. Rimesse che in Africa hanno raggiunto nel 2023 la cifra di 100 miliardi di dollari, provenienti non soltanto dall'Europa e da altri paesi OCSE, ma anche da quelli del Golfo ove in misura analoga si dirigono i flussi migratori africani. Si tratta di cifre ben superiori a quelle dell’aiuto pubblico allo sviluppo e degli investimenti produttivi diretti, che nello stesso anno sono stati rispettivamente di 53,5 e 53 miliardi di dollari sia pure con punte negli ultimi anni dieci anni fino ad oltre 80 miliardi .
In ciò che si presenta come la filosofia del Piano Mattei, ma non solo, l'arresto e la regolamentazione dei flussi migratori dovrebbero avere come principale fattore lo sviluppo economico e sociale dei paesi di provenienza nella prospettiva di un rapporto privilegiato tra Italia, ed Europa, e Africa che dovrebbe condurre a prosperità e sicurezza comuni.
Pur tenendo presente che le spinte migratorie verso l’Europa sono attualmente minime rispetto ai movimenti interafricani e analoghe a quelle verso i paesi del Golfo, la realizzabilità e il successo di quel disegno richiederebbero una massiccia azione sulle cause delle migrazioni, tra le quali i conflitti e i cambiamenti climatici, operando nei paesi di origine e di transito con tutto il necessario impegno politico e di investimento economico. Questo impegno dovrebbe essere necessariamente di carattere internazionale per favorire uno sviluppo sostenibile, secondo le linee indicate dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e condizioni di pace e stabilità basate su assetti di composizione degli interessi all’interno dei paesi e tra gli stessi con tutti gli strumenti disponibili di gestione delle crisi valorizzando il ruolo dell’Unione Africana e delle organizzazioni sub-regionali. Andrebbero quindi corrette le distorsioni delle prevalenti modalità di crescita verificatesi negli scorsi anni in Africa foriere, accanto a fenomeni positivi come riduzioni della povertà e crescita di classi medie in molti paesi, anche di grandi diseguaglianze e fattori di instabilità con ritorni a sistemi di governo dittatoriali dopo periodi di multipartitismo e di assetti più o meno democratici dopo la fine della guerra fredda. Dovrebbero essere quindi incentivate attività generatrici di occupazione e di reddito soprattutto nei settori manifatturiero, dei servizi, e della sicurezza alimentare, nonché fonti di energia rinnovabile per il consumo locale e potenzialmente per l’esportazione verso l’Europa avendo anche l’idrogeno come vettore, evitando il land grabbing, favorendo il rafforzamento delle istituzioni e dei sistemi di protezione sociale ed affrontando anche la questione di un indebitamento che dopo le cancellazioni, i riscadenzamenti e le riconversioni degli anni 90 del secolo scorso ha ripreso a strozzare la crescita delle economie africane.
Si tratterebbe di un impegno che richiederebbe un notevole sforzo nel quale è richiesta la partecipazione più ampia possibile dei maggiori attori della comunità internazionale, pur avendo ciascuno le proprie agende e i propri obbiettivi spesso in contrasto tra loro in un competitivo mondo multipolare. Tra questi saranno necessari, oltre ovviamente all'Unione Europea, le Istituzioni finanziarie internazionali e regionali, l'insieme del G7, i paesi del Golfo ed anche una interlocuzione con la Cina considerato il ruolo assunto da questo paese in Africa. E ciò anche in un’ottica di sviluppo del commercio interafricano, attualmente a livelli minimi rispetto ad altri continenti, per il quale oltre agli accordi di libero scambio già conclusi occorrono le infrastrutture di trasporto per renderli effettivamente operativi.
In conclusione, il successo del rinnovato impegno annunciato dall'Italia nel continente africano avrà tanto più successo quanto più si inserirà in un contesto multilaterale in grado di conseguire i risultati voluti e di dare al tempo stesso un ruolo al nostro paese in un quadro internazionale dal quale possano derivare ricadute positive anche su altri scacchieri e temi di nostro prioritario interesse.