Il Piano Mattei visto dal campo, “con” l’Africa
Attorno al “Piano Mattei” è stato detto molto. Dalla speranza che non sia una cornice vuota, ai dubbi e alle tante domande su come si potrà concretizzare.
Il Piano è stato annunciato in modo solenne nell’Aula del Senato il 29 gennaio del 2024, di fronte ai rappresentanti di 46 paesi e 25 leader provenienti dal continente africano, tra cui anche il presidente dell’Unione Africana. Non dimentico le critiche iniziali, legittime e condivisibili, riguardo al limite, sottolineato proprio dal presidente dell’Unione Africana in quella stessa occasione, di averlo presentato senza informare e coinvolgere i diretti interessati. Allo stesso modo, ho visto compiere, nei mesi successivi, dei passi in avanti.
Qualcosa, dunque, si muove. I primi passi ci pare siano positivi, speriamo che il proseguo vada verso la giusta direzione.
La presentazione così solenne del Piano è segno di una profonda determinazione nel renderlo centrale. Dice la rilevanza sociale, economica e culturale che l’Italia riconosce all’Africa, per il bene del nostro stesso paese e del futuro di tutti noi. E questo è già un primo segnale positivo, che ho accolto con interesse e curiosità. L’Africa è tornata a essere al centro del dibattito.
Finalmente, tra i suoi pilastri, il Piano pone l’accento sulla salute, un pilastro fondamentale su cui costruire un futuro migliore, per tutti.
Permane, allo stesso tempo, la preoccupazione per il fatto che proprio il tema della salute, in Africa, continui ad avere un peso politico inferiore rispetto ad altri, come agribusiness, energia, infrastrutture. Nel 2021 solo il 43% della popolazione dell’Africa sub-Sahariana ha avuto accesso ai servizi sanitari essenziali, mentre la proporzione della popolazione che affronta spese sanitarie catastrofiche è rimasta praticamente stagnante e si è attestata all’8,8%. È fondamentale che si tenga alto il tema del diritto alla salute e l’importanza dei sistemi sanitari nell’agenda dei Governi e dei donatori.
C’è poi la questione dei contesti e dei contenuti. Quando si fa riferimento alla mappa della povertà, troviamo un’Africa estrema, quella ad esempio della Repubblica Centrafricana o del Sud Sudan, che è connotata dai conflitti armati e dalla violenza sistemica. Qui a mancare sono i servizi sanitari essenziali, specie quelli materno-infantili. Non può essere trascurata, perché non attrattiva.
Ma ogni giorno, nel nostro lavoro, veniamo in contatto anche con un’Africa che cambia, che presenta nuovi bisogni. L’aspettativa di vita aumenta. La mortalità infantile sotto i 5 anni si è ridotta ed è paragonabile a quella dell’Italia degli anni ’60. Un numero crescente di persone vive in contesti urbani, cambia gli stili di vita, sviluppa delle malattie croniche (ipertensione, diabete, tumori) che i servizi sanitari, specie quelli ospedalieri, non riescono a gestire. E poi ci sono le nuove povertà. A Dar Er Saalam, la seconda città africana con il più alto tasso di crescita (avrà 50 milioni di abitanti nel 2100) ci sono nuovi gruppi vulnerabili come i sex workers e i tossicodipendenti. A Beira, in Mozambico, stiamo realizzando un progetto socio-sanitario sulle malattie sessualmente trasmissibili e sulla mental health degli adolescenti...
L’Africa è un continente giovanissimo, circa 1,4 miliardi di abitanti, con un’età media di 19 anni. Ha energia, vitalità, forza dirompente e vuole far sentire la propria voce, è stanca di aspettare, di dipendere da altri, stanca di essere il fanalino di coda. I giovani chiedono risposte per il loro futuro, lo tocchiamo con mano con il nostro impegno in 9 paesi dell’Africa a sud del Sahara, negli ospedali, nelle scuole di formazione, nei villaggi.
Con il Piano Mattei, l’Italia mostra di voler mettere in pista alcune risposte a questa domanda di futuro. E in questa scelta, sarebbe auspicabile coinvolgere l’Europa tutta. Europa che con i suoi valori fondanti potrebbe, se davvero lo volesse, portare risposte che non siano dettate solo da meri interessi economici. La mia speranza più grande è che si riesca a realizzare quanto, nel 2021, al vertice Italia-Africa, auspicava il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Parlava di un “continente verticale”, sviluppato tra Nord e Sud, con al nord una regione che si chiama Europa e a sud un’altra che si chiama Africa, separate solo da un laghetto, il lago Mediterraneo. Per farlo diventare realtà, lunga è la strada da percorrere, ma mi chiedo se il Piano Mattei non possa essere davvero il primo passo.
Rispetto al Piano Mattei, visto dal campo, lo sforzo del Cuamm è duplice: da un lato tenere alta la priorità della salute e il dialogo con i Governi africani e dall’altro mettere in evidenza le buone prassi con interventi progettuali concreti, appropriati, focalizzati sui bisogni e sulla promozione delle competenze degli operatori locali, un po’ come prevede il nostro Programma “Prima le mamme e i bambini. Persone e competenze”.
Dalla proclamazione ufficiale, dicevo, sono stati fatti dei passi avanti concreti, coinvolgendo diversi attori della società civile e il Piano Mattei sta prendendo forma. Se l’indirizzo e la cornice sono stati disegnati dall’alto, il metodo adottato ha permesso una maggiore partecipazione dal basso, attraverso delle missioni sul campo, che hanno visto il coinvolgimento del Ministero degli Affari Esteri, nelle varie sue espressioni, del Ministero degli Interni, di quello dell'Economia, della Cassa Depositi e Prestiti e, insieme, di esponenti del mondo corporate e della società civile, in particolare dell’ambito agroalimentare come Lavazza, Illy, Bonifiche ferraresi, per citarne alcune.
Da aprile a giugno sono state realizzate tre missioni: la prima nell’Africa dell’Est, ovvero in Etiopia, Uganda, Tanzania e Kenya; la seconda nell’Africa dell’Ovest, quindi in Senegal, Ghana, Costa d'Avorio e Guinea Conakry; la terza nell'Africa australe, ovvero Mozambico, Malawi, Zimbabwe e Sudafrica. Ho preso parte a due su tre, a nome del Cuamm, insieme a una cinquantina di persone che si sono messe in ascolto, che hanno dedicato tempo, energie e pensiero a conoscere le diverse realtà dei paesi africani visitati e hanno cercato di capire come dare risposte concrete.
Ho apprezzato la scelta di coinvolgere soggetti diversi e di strutturare delegazioni eterogenee. È stata una vera innovazione che ha permesso un lavoro di squadra. Mettere d’accordo tutti, partire dall’ascolto delle autorità locali, è uno stile che come Cuamm applichiamo da oltre 70 anni, è faticoso e richiede grande impegno, ma è anche estremamente interessante e stimolante.
Siamo ancora agli inizi, ma già nell’ultimo Comitato congiunto sono stati approvati alcuni progetti pilota, concreti, sostenuti in parte con fondi che già erano stati allocati per il 2024, e in parte con fondi ulteriori per finanziare interventi nati proprio dalle missioni realizzate. Siamo consapevoli che la strada non è semplice e lineare, che tanti sono gli interessi in gioco, ma il nostro auspicio è che a guidare non sia solo la leva degli interessi economici e del profitto, ma anche quella del prendersi cura della salute e dello sviluppo di questo continente. La speranza è che il “Piano Mattei” non rimanga solo un piccolo lumicino nel mare del bisogno, ma sia la miccia che possa innescare davvero reazioni a catena, reazioni buone e positive che aiutino questo continente a trovare risposte per il bene e il futuro della sua gente. Questo approccio ci sembra un buon inizio per una cooperazione dal basso, per evitare “cattedrali nel deserto”, vuote e insostenibili create da interventi spot.
L’Africa si sta trasformando a passi giganteschi e tutto questo va trasferito in progettualità ben disegnate e realizzate. È il compito che ci aspetta nei prossimi anni: trovare risposte alle nuove esigenze che si presentano; creare partnership sempre più ampie; mantenere un atteggiamento critico, riflessivo sugli approcci e sui risultati attraverso la ricerca e la valutazione. E infine, mantenere il dialogo, la collaborazione e il rispetto delle comunità, degli operatori e delle istituzioni locali.