E dopo Mali, Sudan, SudSudan, Burkina Faso, anche il Niger è sconvolto da un golpe militare che sovverte l’ordine democratico che dal 2021, con l’elezione del presidente Bazoum, aveva consentito al Paese di imboccare la strada di una lenta, ma costante ripresa economica. Il Sahel si conferma così l’area più critica del continente, resa instabile e turbolenta da dittature militari, attività jihadiste e presenza della compagnia mercenaria russa Wagner.
Il Niger appariva fino ad oggi il Paese più affidabile della regione, orientato ai valori democratici. Lì si sono stabiliti i contingenti francese, americano e italiano impegnati nella lotta al terrorismo. Con il golpe e la involuzione autoritaria non solo si interrompe un percorso democratico, ma si allarga la macchia d’olio delle autocrazie e dell’instabilità.
Autocrazie che esprimono una forte ostilità all’Occidente - in particolare alla Francia che sconta il suo passato coloniale - e volgono il loro sguardo sempre di più a Cina e Russia. E se la presenza di Pechino vanta un radicamento ormai ultradecennale in un’ampia platea di nazioni del continente, oggi si manifesta con rinnovata ambizione la presenza russa, segnalata con enfasi anche dal recente vertice di Putin con i leader dei Paesi africani. Si rafforza e si estende così una penetrazione russa nel continente africano che ha precedenti nelle relazioni con l’Egitto e con l’Algeria fin dai tempi di Nasser e di Ben Bella e nella presenza russa e cubana in Angola negli anni ‘90.
E anche se la Russia non dispone delle risorse e della forza della Cina, oggi con la penetrazione nel continente africano Mosca tenta di uscire dall’isolamento prodotto dalla guerra ucraina. La promessa di Putin ai paesi africani di fornire le granaglie necessarie all’alimentazione dei loro popoli conferma l’obiettivo di divenire uno dei punti di riferimento del global south. Strategia peraltro già anticipata dai numerosi viaggi del Ministro degli Esteri Lavrov nei Paesi africani.
L’Africa si conferma così centrale negli equilibri geopolitici del XXI secolo.
Peraltro la demografia è inequivoca: vivono oggi nel continente 1 miliardo 300 milioni africani che saliranno a 2 miliardi e mezzo nel 2050 per avvicinarsi a fine secolo ai 4 miliardi, pari a più di un terzo dell’intera popolazione mondiale. La Nigeria sorpasserà la popolazione degli Stati Uniti attestandosi come il terzo Paese più popoloso del pianeta, dopo India e Cina.
La metà della popolazione africana è costituita da persone con meno di 35 anni e i nuclei familiari sono costituita da 6 componenti nelle zone rurali e da 5 nelle zone urbane. Se a questo si aggiunge che l’Africa è il continente più investito dalle conseguenze del cambio climatico - siccità, desertificazioni, migrazioni forzate - si può ben comprendere come il futuro del pianeta dipenderà in buona misura da quale sviluppo si assicurerà a quella immensa popolazione.
È una sfida che riguarda direttamente l’Europa. La prossimità geofisica dei due continenti, le intense relazioni derivanti dall’eredità coloniale (non scevra di forti criticità come si vede nelle dimostrazioni antifrancesi), i rapporti economici rafforzatisi via via negli ultimi decenni, gli intensi flussi migratori e i legami demografici che ne discendono: tutto dice che Europa, Mediterraneo e Africa sahariana e subsahariana costituiscono sempre di più un grande “macrocontinente verticale” che lega in un destino comune i popoli che vi vivono.
D’altra parte l’Europa esprime un potenziale economico, finanziario, tecnologico, sociale e politico in grado di promuovere una politica che traini lo sviluppo dei Paesi africani. E lo dice un dato: la somma aritmetica degli investimenti dei paesi UE e Gran Bretagna in nazioni africane è 10 volte superiore all’insieme degli investimenti cinesi nel continente. Ma si tratta di una somma aritmetica e non l’espressione di un organico programma europeo. Ed è proprio questo il salto che l’Europa è chiamata a fare: un grande programma di sviluppo economico, sociale e istituzionale dell’Africa coprogrammato e cogestito con i Paesi del continente.
L’Europa è in grado di offrire ai Paesi africani cose che né la Cina, né la Russia sono nelle condizioni di fornire. Cina e Russia possono costruire dighe, porti, strade, edifici scolastici, case popolari (che peraltro le imprese europee sono in grado di fornire con tecnologie e qualità superiori). Ma quel che Pechino e Mosca non possono offrire sono sistemi di welfare, politiche ambientali, programmi sociali ed formativi, e ancor di meno promozione di democratic institution building. Beni che invece proprio l’Europa, per la sua storia e i caratteri del suo sviluppo, è in grado di fornire.
Quel che serve insomma è una scelta che faccia assumere all’Unione Europea e ai suoi Paesi l’Africa come una priorità strategica a cui indirizzare risorse, tecnologie, programmi di sviluppo.
È un tema che dovrà essere centrale nei programmi di partiti e candidati in vista delle elezioni del Parlamento europeo. E l’Africa e il suo sviluppo sarà uno dei passaggi cruciali su cui si misurerà la capacità dell’Unione europea di essere un attore globale.
Ripartire dall’Africa
E dopo Mali, Sudan, SudSudan, Burkina Faso, anche il Niger è sconvolto da un golpe militare che sovverte l’ordine democratico che dal 2021, con l’elezione del presidente Bazoum, aveva consentito al Paese di imboccare la strada di una lenta, ma costante ripresa economica. Il Sahel si conferma così l’area più critica del continente, resa instabile e turbolenta da dittature militari, attività jihadiste e presenza della compagnia mercenaria russa Wagner.
Il Niger appariva fino ad oggi il Paese più affidabile della regione, orientato ai valori democratici. Lì si sono stabiliti i contingenti francese, americano e italiano impegnati nella lotta al terrorismo. Con il golpe e la involuzione autoritaria non solo si interrompe un percorso democratico, ma si allarga la macchia d’olio delle autocrazie e dell’instabilità.
Autocrazie che esprimono una forte ostilità all’Occidente - in particolare alla Francia che sconta il suo passato coloniale - e volgono il loro sguardo sempre di più a Cina e Russia. E se la presenza di Pechino vanta un radicamento ormai ultradecennale in un’ampia platea di nazioni del continente, oggi si manifesta con rinnovata ambizione la presenza russa, segnalata con enfasi anche dal recente vertice di Putin con i leader dei Paesi africani. Si rafforza e si estende così una penetrazione russa nel continente africano che ha precedenti nelle relazioni con l’Egitto e con l’Algeria fin dai tempi di Nasser e di Ben Bella e nella presenza russa e cubana in Angola negli anni ‘90.
E anche se la Russia non dispone delle risorse e della forza della Cina, oggi con la penetrazione nel continente africano Mosca tenta di uscire dall’isolamento prodotto dalla guerra ucraina. La promessa di Putin ai paesi africani di fornire le granaglie necessarie all’alimentazione dei loro popoli conferma l’obiettivo di divenire uno dei punti di riferimento del global south. Strategia peraltro già anticipata dai numerosi viaggi del Ministro degli Esteri Lavrov nei Paesi africani.
L’Africa si conferma così centrale negli equilibri geopolitici del XXI secolo.
Peraltro la demografia è inequivoca: vivono oggi nel continente 1 miliardo 300 milioni africani che saliranno a 2 miliardi e mezzo nel 2050 per avvicinarsi a fine secolo ai 4 miliardi, pari a più di un terzo dell’intera popolazione mondiale. La Nigeria sorpasserà la popolazione degli Stati Uniti attestandosi come il terzo Paese più popoloso del pianeta, dopo India e Cina.
La metà della popolazione africana è costituita da persone con meno di 35 anni e i nuclei familiari sono costituita da 6 componenti nelle zone rurali e da 5 nelle zone urbane. Se a questo si aggiunge che l’Africa è il continente più investito dalle conseguenze del cambio climatico - siccità, desertificazioni, migrazioni forzate - si può ben comprendere come il futuro del pianeta dipenderà in buona misura da quale sviluppo si assicurerà a quella immensa popolazione.
È una sfida che riguarda direttamente l’Europa. La prossimità geofisica dei due continenti, le intense relazioni derivanti dall’eredità coloniale (non scevra di forti criticità come si vede nelle dimostrazioni antifrancesi), i rapporti economici rafforzatisi via via negli ultimi decenni, gli intensi flussi migratori e i legami demografici che ne discendono: tutto dice che Europa, Mediterraneo e Africa sahariana e subsahariana costituiscono sempre di più un grande “macrocontinente verticale” che lega in un destino comune i popoli che vi vivono.
D’altra parte l’Europa esprime un potenziale economico, finanziario, tecnologico, sociale e politico in grado di promuovere una politica che traini lo sviluppo dei Paesi africani. E lo dice un dato: la somma aritmetica degli investimenti dei paesi UE e Gran Bretagna in nazioni africane è 10 volte superiore all’insieme degli investimenti cinesi nel continente. Ma si tratta di una somma aritmetica e non l’espressione di un organico programma europeo. Ed è proprio questo il salto che l’Europa è chiamata a fare: un grande programma di sviluppo economico, sociale e istituzionale dell’Africa coprogrammato e cogestito con i Paesi del continente.
L’Europa è in grado di offrire ai Paesi africani cose che né la Cina, né la Russia sono nelle condizioni di fornire. Cina e Russia possono costruire dighe, porti, strade, edifici scolastici, case popolari (che peraltro le imprese europee sono in grado di fornire con tecnologie e qualità superiori). Ma quel che Pechino e Mosca non possono offrire sono sistemi di welfare, politiche ambientali, programmi sociali ed formativi, e ancor di meno promozione di democratic institution building. Beni che invece proprio l’Europa, per la sua storia e i caratteri del suo sviluppo, è in grado di fornire.
Quel che serve insomma è una scelta che faccia assumere all’Unione Europea e ai suoi Paesi l’Africa come una priorità strategica a cui indirizzare risorse, tecnologie, programmi di sviluppo.
È un tema che dovrà essere centrale nei programmi di partiti e candidati in vista delle elezioni del Parlamento europeo. E l’Africa e il suo sviluppo sarà uno dei passaggi cruciali su cui si misurerà la capacità dell’Unione europea di essere un attore globale.