Articolo di Dario Conato

Riflessioni a partire dalle elezioni in Ecuador e Perù

Le recenti elezioni in Perù ed Ecuador riflettono la profonda inquietudine che l’intero continente latinoamericano sta vivendo da almeno tre anni. L’America Latina è attraversata da un malessere crescente, che nella maggior parte dei paesi non sembra trovare soluzioni legate alla costruzione di una stabilità democratica. Le forze politiche storiche di destra, di centrosinistra e di sinistra “bolivariana” stanno perdendo la capacità di offrire proposte e modelli che diano risposta a questo malessere. La pandemia Covid-19 ha esacerbato le diseguaglianze e la povertà.

Secondo la Banca Mondiale, l’America Latina è la regione più colpita dalla pandemia di Covid.19. “La forte contrazione determinata dalla crisi sanitaria ha avuto costi economici e sociali enormi, dal momento che è questa è arrivata dopo alcuni anni di debole crescita economica e di avanzamenti molto limitati negli indicatori sociali”.

med_foto_1.pngIn Ecuador la Banca Mondiale ha registrato negli ultimi anni la tendenza a un aumento del coefficiente di Gini, stimato nel 2018 al 45,4 rispetto alle precedenti oscillazioni tra 44 e 45 (anche se nei primi anni di Correa si registrò una marcata discesa dovuta a opere sociali rese possibili dal buon andamento dei prezzi delle commodities a livello internazionale). In Perù il dato è rimasto più o meno stabile intorno a 43. Questo prima della pandemia, che ha aggravato tutto. 

In Ecuador la pandemia ha indotto una forte recessione (9%) che si è tradotta in un aumento della povertà (700 mila persone hanno perso il lavoro, su una popolazione di 18 milioni di abitanti). La crisi ha aggravato gli squilibri macroeconomici derivanti dalla fine del boom del petrolio e ha costretto a ristrutturare l’indebitamento pubblico. La crisi ha poi messo in luce la mancanza di un sistema di ammortizzatori sociali, l’elevata informalità, la fragilità del sistema sanitario e dei servizi pubblici.

Nel 2020 il PIL del Perù è sceso dell’11,1%, secondo la Banca Mondiale, con una perdita di circa il 20% dei posti di lavoro. Il governo ha attivato importanti misure per mitigare l’impatto economico-sociale nelle fasce più vulnerabili, ma ciononostante la povertà è aumentata del 6% (oggi al 27%), intrappolando due milioni di “nuovi poveri”, su una popolazione di 32,5 milioni).

(Vorrei ricordare che fra l’Unione Europea, il Perù, l’Ecuador e la Colombia esiste un Accordo di libero scambio multilaterale che ci auguriamo possa contribuire alla ripresa economica di questi paesi)

I processi elettorali del 2021 in Ecuador e Perù non sono completamente simultanei.

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In Ecuador abbiamo un presidente eletto al secondo turno – Guillermo Lasso della coalizione di destra CREO/PSC – e il turno unico che ha determinato la nuova assemblea nazionale, estremamente frammentata (tra l’altro si è subito rotta l’alleanza fra CREO e PSC che aveva sostenuto la candidatura di Lasso), mentre le “tre sinistre” di UNES, Pachakútik (Yaku Pérez) e Izquierda Democrática (Xavier Hervas) sono radicalmente alternative: da una parte UNES, dall’altra MUPP e ID che stanno avviandosi verso un accordo su economia, istruzione, salute, ambiente, diritti umani, trasparenza e lotta alla corruzione. Non credo sia pensabile che questi due blocchi possano confluire in un progetto comune, visto il livello di scontro cui si è assistito in campagna elettorale: la diffidenza di una parte significativa del centro sinistra verso il correismo è fortissima, al punto che MUPP al secondo turno si è orientato verso l’astensione mentre il leader di ID Xavier Hervas ha dichiarato che avrebbe votato per Lasso; ID e Pachakutik rimproverano al correismo il discorso populista, illiberale e divisivo, la sudditanza alla Cina, lo sfruttamento insostenibile dell’ambiente, la privatizzazione di infrastrutture e dell’estrazione petrolifera e mineraria, la gestione opaca dei fondi pubblici. D’altra parte l’elezione di Lasso segna un ulteriore tappa nella crisi continentale del “Socialismo del XXI Sec" del progetto ALBA promosso dal Venezuela e da Cuba, anche se poco meno della metà del paese si mostra ancora attratta dal progetto politico di Correa.

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Anche in Perù è stata eletta la nuova Assemblea Nazionale e siamo alla vigilia del secondo turno di elezioni presidenziali fra Pedro Castillo, leader sindacale e dirigente di una forza politica di sinistra che si autodefinisce “marxista, leninista e mariateguista”, non particolarmente forte, che ha aggregato voti nelle ultime due settimane della campagna elettorale e che ha un elettorato considerato piuttosto fragile dagli analisti politici; e Keiko Fujimori, figlia ed erede politica dell’ex presidente Fujimori, oggi in carcere con una pesante condanna per violazioni dei diritti umani. Il secondo turno diviene così uno scontro estremamente polarizzato. Può suonare banale, ma davvero in questo scenario il voto sarà più “contro” che “per”. Anti-fujimorismo contro anti-izquierdismo, la paura verso un modello autoritario di estrema destra già sperimentato con Fujimori padre e riproposto da Keiko, la paura di un modello autoritario di estrema sinistra “alla venezuelana” peraltro condito con posizioni conservatrici quanto a diritti civili. Anche la minaccia di sciogliere il parlamento nel caso in cui non approvi la convocazione di un’Assemblea costituente è secondo molti osservatori un segnale preoccupante dell’autoritarismo di Castillo.

Due paesi che l’impatto fortissimo della pandemia ha portato in primo piano sulla stampa internazionale. Venivano da un buon andamento dell’economia, poi precipitata e da cui hanno difficoltà a riprendersi.

Intervento al webinar America latina oggi – Riflessioni a partire dall’esito del voto in Ecuador e Perù