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Politica

La bomba a orologeria è scoppiata

13 June 2024
Massimo Nava - Editorialista Corriere della Sera

L’analisi dei risultati delle elezioni europee tende a sovrapporre una dimensione del voto continentale a una dimensione nazionale, spesso confondendo entrambe. È un errore che impedisce di valutare le ragioni degli elettori di un singolo Paese e che rischia di non comprendere la composizione del futuro Parlamento di Strasburgo che non è la somma dei risultati delle diverse forze politiche, ma un mosaico in cui continueranno a pesare logiche nazionali, sia nelle nomine istituzionali sia nell’elaborazione delle politiche sociali e agricole.

Dire ad esempio che la cosiddetta “maggioranza Ursula” ha limitato al minimo le perdite e che potrebbe confermarsi l’asse tradizionale socialisti/popolari, magari con il sostegno dei liberali, significa non tenere conto di quanto avvenuto nei tre maggiori Paesi: il successo di Giorgia Meloni in Italia che condizionerà le strategie del gruppo dei conservatori a Strasburgo, la straordinaria vittoria dell’estrema destra francese e la pesante sconfitta di socialdemocratici e verdi in Germania, dove peraltro è avanzata la formazione della destra più xenofoba e in odore di nazismo, quell’Alternative für Deutschland che ha superato addirittura l’SPD.

Se la posizione del cancelliere tedesco Olaf Scholz appare annebbiata, ancora più oscuro è il quadro politico francese dopo che il presidente Macron ha annunciato elezioni anticipate. A prescindere dalla probabile vittoria del Rassemblement National della coppia Sbardella/Marine Le Pen, la politiche estera e di difesa restano di competenza dell’Eliseo, ma risultano evidenti la debolezza del presidente e i rischi per l’Europa qualora la Francia fosse costretta a correggere gli impegni e le politiche.

Alla luce di queste considerazioni, emergono tre considerazioni dal voto europeo.

-La conferma di una distanza fra valori ed ideali europei conclamati e scelte dei cittadini elettori che hanno guardato più all’interesse nazionale. Scelte cui hanno contribuito, soprattutto in Italia, i messaggi dei leader dei vari partiti. In particolare, le destre hanno spinto per diluire l’impegno europeo. Tipico lo slogan leghista “più Italia, meno Europa”.

- Il congelamento, forse irreversibile, del motore franco-tedesco, oggi più che mai inceppato dai contrasti fra Berlino e Parigi e dall’estrema debolezza delle due leadership. Scholz e Macron hanno reciprocamente scarso feeling, nonostante la posta in gioco avrebbe consigliato una vicinanza straordinaria: guerra in Ucraina, minaccia russa, sfida cinese, elezioni americane, rivoluzione tecnologica, transizione energetica, reindustrializzazione...Ma entrambi pagano la complicata situazione interna e il calo di consensi. Macron è indebolito sulla scena europea. La Francia è stata screditata perché comincia a essere vista per quello che è: il Paese malato d'Europa, con una traiettoria di bilancio sconcertante.

Olaf Scholz non se la passa meglio: ha solo un anno per agire, con le prossime elezioni parlamentari tedesche previste per l'autunno 2025.

- Il terzo fattore che ha spostato gli equilibri è la guerra in Ucraina. Il conflitto ha certamente indebolito le posizioni più anti europee e le varie exit strategy dalla Ue. La grande maggioranza degli elettori ha un'immagine più favorevole dell'integrazione europea e l’attuale clima internazionale ha contribuito a consolidare lo status dell'UE come punto di riferimento per la sicurezza e la difesa dei confini. Ma è altrettanto evidente che i partiti sovranisti e populisti si sono adattati, hanno allargato il bacino di consenso e tendono ad adottare il modello Orban, ovvero la strategia del premier ungherese di combattere dall’interno della Ue, ottenere concessioni su vari dossier e mettere in discussione alcune scelte strategiche come il sostegno all’Ucraina.

La grande battaglia di questi partiti alle elezioni europee del 2024 è per l'influenza sulle priorità. Molti dei partiti radicali, anti-sistema ed estremisti stanno cercando di imporre un'agenda nazionalista, chiedendo poteri e eccezioni per ciascuno degli Stati membri e sostenendo il controllo nazionale su un numero sempre maggiore di questioni. È qui che possono emergere alleanze trasversali tra le varie famiglie ideologiche del Parlamento europeo.

Il fatto che gli elettori abbiano ovunque premiato questi movimenti, alcuni dei quali considerati sotto vari aspetti filo russi e comunque contrari a forniture di armi a Kiev e all’allargamento del conflitto dovrebbe far riflettere sulla strategia che la nuova leadership europea vorrà adottare in futuro. La sconfitta dell’asse Parigi-Berlino è in fondo anche la sconfitta dei due Paesi e dei due leader (Macron prima di tutti) che hanno imposto la più risoluta e costosa strategia di sostegno all’Ucraina e hanno più premuto per l’aumento delle spese militari. Macron si è spinto ad ipotizzare l’invio di truppe Nato sul terreno e ha deciso di inviare istruttori militari francesi in Ucraina. Una fuga in avanti che evidentemente non è piaciuta ai francesi.