UN'EUROPA DELLA DIFESA E DELLA SICUREZZA
di Piero Fassino e Alfonso Iozzo
Parigi, Bruxelles, Nizza, Monaco, Ansbach, Rouen: l'Europa è sotto shock e la paura per l'incolumità propria e dei propri figli e' prepotentemente entrata nel vissuto quotidiano di milioni di famiglie. E ancorché distanti dall'Europa gli attentati a Tunisi, Istanbul, Gerusalemme, Dacca, Kabul, Baghdad accrescono l'angoscia per una violenza che non conosce confini. Un sentimento di insicurezza ulteriormente accentuato dal modo incerto e convulso con cui i paesi europei affrontano immigrazione e emergenza profughi. E l'esito del referendum inglese ha radicato ancor di più la percezione di vivere in un'Europa troppo fragile e divisa per essere sicura.
L'agenda di governi e istituzioni europee va dunque riscritta. Se negli ultimi due anni al centro vi è stata la crisi economica, il fiscal compact e la sua flessibilità, oggi è il tema della sicurezza a imporsi come priorità. Naturalmente realizzare una flessibilità finanziaria rimane un obiettivo strategico e fa bene il governo italiano a battersi per ottenerla. Ma è un tema necessariamente affidato alle cancellerie di Stato, alla Bce e alle istituzioni comunitarie. Per le persone, le famiglie e le opinioni pubbliche, le ansie principali derivano oggi sempre di più dall'inquietudine per un fenomeno migratorio vissuto come pericolo e dalla paura che incute un terrorismo che colpisce ovunque e chiunque. Da qui una domanda di sicurezza a cui è urgente dare risposta. E il vertice promosso per fine agosto a Ventotene dal premier Renzi con il presidente Hollande e la cancelliera Merkel per gettare le basi di nuovo patto europeo e' l'occasione per un salto di qualità nell'affrontare il tema della sicurezza.
Il tema peraltro ha accompagnato l'intero percorso dell'integrazione europea. Fallito nel '52 il progetto di dare vita a una Comunità Europea di Difesa, per lungo periodo l'Europa ha affidato la propria sicurezza alla NATO. I Trattati di Roma che avviarono la costruzione della comunità europea furono possibili perché l'Alleanza Atlantica offriva un contesto di sicurezza che consentì a nazioni che si erano combattute per secoli di pensare e costruire il proprio futuro insieme. E all'ombra della NATO l'Europa si è sentita sicura fino alla caduta del muro di Berlino. Tant'è che all'indomani di quell'evento che cambiò la vita dell'Europa e del mondo, l'allargamento dell'Alleanza apparve la naturale e necessaria scelta per accompagnare e rendere sicuro l'allargamento ad est dell'Unione Europea. E fu ancora la NATO lo strumento per spegnere nei Balcani l'incendio che negli anni '90 riportò lo spettro della guerra nel cuore dell'Europa.
Oggi lo scenario è profondamente mutato. La NATO è un'istituzione militare in grado di intervenire in situazioni di conflitto, in un territorio definito e con un nemico individuabile. Il terrorismo invece è un nemico senza bandiera, senza divise e senza territorio. Colpisce ovunque e chiunque. E agisce con modalità che difficilmente gli strumenti militari tradizionali sono in grado di contrastare. Peraltro sempre di più gli Stati Uniti ritengono che della sicurezza europea debba farsi carico in prima persona l'Europa. Lo pensano Obama e Hillary Clinton. E in modo brutale lo ha detto Donald Trump. Senza contare che i drammatici eventi che sconvolgono la Turchia indeboliscono la NATO e la sua coesione.
Insomma l'Unione Europea è di fronte a scelte non più eludibili. E il vertice di Ventotene può e deve essere la sede per delineare i pilastri di una "Strategia europea per la sicurezza". A questo fine avanziamo qui tre proposte.
1. Italia, Francia e Germania diano corso a una "cooperazione strutturata permanente in materia di difesa" prevista dall'art. 42.6 del Trattato. Una iniziativa naturalmente aperta anche ad altri Stati disponibili e che integrando anche i sistemi di prevenzione e di sicurezza interna, costituirebbe il primo forte nucleo di quell'European Security Compact proposto in queste settimane dai Ministri degli Esteri tedesco e francese Steinmeier e Ayrault.
2. Si dia piena attuazione al Migration Compact - adottato su proposta italiana - e lo si accompagni con gli investimenti per l'Africa previsti con il Piano Juncker 2, sostenendo progetti strategici quali il gasdotto Nigeria/Algeria e l'Agenzia Africana per l'Elettrificazione. E ciò nella consapevolezza che soltanto con una strategia per l'immigrazione condivisa e capace di investire nei paesi da cui le correnti migratorie muovono, si possono ridurre i flussi e l'impatto che producono nelle nostre opinioni pubbliche.
3. Si lanci un Piano per il Mediterraneo, capace di tenere insieme sicurezza, sviluppo economico e sociale, democrazia e rispetto dei diritti umani. Tra le due sponde del Mediterraneo vi è peraltro già oggi una profonda convergenza di interessi: i paesi europei sono caratterizzati da invecchiamento della popolazione, mancanza di fonti energetiche, alte capacità produttive e tecnologiche, necessita' di nuovi mercati; i paesi nordafricani hanno ampie fonti energetiche, necessita' di investimenti e una popolazione giovane che vuole lavoro e consumi. Già oggi le esportazioni europee nell'area mediterranea mediorientale superano quelle dirette negli Stati Uniti! Un Piano che veda un forte impegno europeo a sostegno di progetti infrastrutturali di grande scala, come la realizzazione di una "Comunità dell'energia rinnovabile e dell'acqua" che coinvolga Egitto, Libia, Algeria, Tunisia e Marocco (così come i paesi europei con la CECA fecero della gestione comune di acciaio e carbone uno dei pilastri dell'edificio europeo).
Insomma: in un frangente cruciale della vita dell'Europa e del mondo, l'Italia può assolvere ad un ruolo propulsivo strategico, contribuendo a ridisegnare profilo e politiche dell'Unione Europea nel segno della sicurezza e dello sviluppo. Certo, serve coraggio e visione, ma solo così l'Europa potrà offrire agli europei e al mondo speranza e certezza di futuro.
Pubblicato sul Corriere della Sera il 28 luglio 2016